
L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)
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Scritta nell’inverno del 57-58 d.C., “La Lettera ai Romani” si colloca in un particolare momento storico dell’impresa missionaria di San Paolo. Conclusa l’opera di evangelizzazione dell’Oriente (Asia Minore, Grecia e Macedonia) alla fine del suo terzo viaggio, egli si trova a Corinto e sta per ritornare a Gerusalemme per riferire al collegio degli Apostoli i risultati della sua missione sulla conversione dei “non circoncisi”, cioè dei Pagani. In seguito, ha in animo il progetto di compiere il quarto viaggio verso l’Occidente, specificamente in Spagna. Durante questo nuovo viaggio, egli pensa di poter fare tappa a Roma, dove esiste già una comunità cristiana, non fondata da lui, notoriamente affermata per la fede e per lo spirito di solidarietà comunitaria. Le informazioni che ha su questa comunità sono notizie di seconda mano, riferitegli da altri, dalle quali, tuttavia, si deduce che essa è una popolazione mista, composta da cristiani provenienti dal giudaismo e cristiani provenienti dal paganesimo.
Gli argomenti trattati sono molto simili a quelli già esposti nella precedente Lettera ai Galati: il confronto tra la Gerusalemme terrestre (la schiavitù dell’Antica Legge) e la Gerusalemme celeste (la nuova Chiesa fondata da Gesù Cristo); il confronto tra l’uomo vecchio (carnale) e l’uomo novo (spirituale); i frutti malefici di chi vive secondo la carne (fornicazioni, impurità, dissolutezza, inimicizie, liti, gelosie ecc.) a confronto con i frutti benefici dello Spirito (gioia, amore, pace, fratellanza ecc.). Egli analizza alcuni aspetti complementari e altri conflittuali esistenti tra la Legge mosaica e la fede in Cristo; tra l’etica di chi vive secondo la Legge (Giudaismo) e l’etica di chi vive secondo la fede cristiana, basata sul comandamento dell’amore. Rispetto alla Lettera ai Galati, la materia concettuale è più approfondita e il tono espositivo è più pacato.
Il significato generale di questo prezioso documento evangelico e storico insieme è quello di una dichiarazione di autopresentazione. L’Apostolo desidera farsi conoscere dalla comunità cristiana di Roma già da prima che egli si presenti di persona. In questo modo egli anticipa le sue credenziali per i meriti ottenuti nell’attività di evangelizzazione dell’Oriente, attraverso la fede trasmessa, la testimonianza profusa, le esperienze compiute, a volte facili ed entusiasmanti, a volte difficili o addirittura pericolose per la sua stessa incolumità fisica. Chiede di essere sostenuto con la preghiera e, possibilmente, anche con le offerte materiali, che i cristiani convertiti dal paganesimo dovrebbero fare di buon cuore in favore dei poveri bisognosi, anche in considerazione dei favori più grandi ricevuti dallo Spirito Santo. Si tratta di gesti di solidarietà cristiana, come i beni raccolti attraverso la “colletta spontanea dei nuovi fedeli della Macedonia e dell’Acaia”, che l’Apostolo si accinge a portare di persona in dono “ai poveri santi di Gerusalemme”.
Nell’Epistola troviamo una grande varietà di forme letterarie: il ragionamento sicuro e tranquillo, sviluppato con enfasi calorosa e con una logica serrata e incalzante, spesso rinforzata e legittimata da opportune citazioni di frasi prese dai testi delle Sacre Scritture: Genesi, Esodo, Salmi e Canti liturgici. Sono frequenti le calde esortazioni a un tenore di vita onesta ed esemplare, modellato secondo lo stile del Vangelo. Alcune parti sono veri e propri inni di devozione al Signore; altre sono pagine dense di poesia lirica; ma la forma narrativa non è sempre chiara, scorrevole e lineare. Di tanto in tanto s’inciampa in periodi oscuri o contorti, grammaticalmente contratti o prolissi; forme sintattiche incomplete, il cui significato autentico può essere dedotto soltanto attraverso la parafrasi o la ricostruzione della proposizione con termini semantici affini, ma più semplici.
Il presente saggio è finalizzato a fare del documento un commento semplificato, sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista linguistico e lessicale, ma sempre aderente al significato autentico dell’opera. Infatti, la fedeltà al documento storico è dimostrata dal metodo narrativo adottato: cioè la frequente iniziativa di riportare, all’interno del saggio commentato, il discorso diretto dell’Apostolo, quando egli fa le dichiarazioni solenni, pronunzia le frasi e i periodi più significativi del suo pensiero o della sua fede, con l’indicazione dei punti di riferimento bibliografico. Lo scopo del lavoro è stato quello di rendere semplice e facilmente comprensibile il testo di una delle opere più importanti della fondazione del cristianesimo. Pensiamo così di aver reso un buon servizio a tutti i lettori del testo evangelico, compresi quelli che non sanno, né di teologia, né di filosofia, ma che sono desiderosi di conoscere le Sacre Scritture, attraverso il linguaggio semplice della comunicazione ordinaria.
Anche se non contiene tutta la teologia dell’Apostolo, questa Lettera rappresenta una sintesi importante della dottrina paolina, perché scritta in tempi abbastanza vicini al succedersi degli avvenimenti narrati: la morte e resurrezione di Gesù e la conversione dello stesso Paolo, da violento persecutore dei primi cristiani ad apostolo delle genti che converte i suoi piani al vangelo di Cristo. Per questo motivo, l’epistola ha un grande valore, oltre che di carattere storico-documentale, ancor di più sul piano filosofico e teologico; e proprio per questo ha suscitato nei secoli successivi importanti dibattiti negli studi della filosofia e della teologia in tutti i tempi, dall’Alto Medioevo ai giorni nostri:
A giudizio di alcuni commentatori “Nella storia della Chiesa, nessun altro documento ha avuto tanta importanza teologico-filosofica, quanta ne ha avuta la Lettera ai Romani” (U. Vanni, Edizioni Paoline, 1983).
La Lettera si apre con l’autopresentazione e il saluto dell’Apostolo ai destinatari della missiva: i cristiani di Roma. Paolo si qualifica come missionario del Vangelo di Gesù Cristo, di cui traccia un brevissimo profilo, mettendo in primo piano la sua missione salvifica per l’uomo. Egli, Paolo, è stato designato dal collegio degli apostoli per portare la buona novella ai Gentili (i pagani), “tra i quali vi trovate anche voi, chiamati da Gesù Cristo e a tutti coloro che si trovano in Roma, amati da Dio, chiamati santi” (Rom 1, 5-7).
Commento: Ringrazia Dio per averlo destinato a portare la sua preghiera e il suo annuncio alla comunità di Roma, la cui fede è notoria a tutti, perché la loro fama di buoni cristiani si espande in tutto il mondo. Egli esprime il desiderio ardente di vedere e di conoscere i membri di codesta comunità, per poter comunicare loro qualche dono spirituale o meglio, per provare insieme il sentimento di gioia della comunanza nella fede “vostra e mia”. Dichiara che più volte egli si era proposto di venire a visitare la comunità, ma gli era stato impossibile perché aveva dovuto attendere ad altri impegni più urgenti. Lo scopo è sempre stato quello di raccogliere qualche frutto anche tra di loro, come ben lo raccolse tra i Gentili dell’Oriente. Dichiara, altresì, che la sua missione evangelica è doverosa verso i cittadini di Roma, come lo era stata quella profusa a favore dei cittadini dell’Asia, della Grecia, della Macedonia e di tutti i popoli Gentili della terra, i sapienti e gli ignoranti.
Testo: “Il Vangelo è “un’energia di Dio operante tra gli uomini per apportare salvezza a ognuno che crede, Giudeo anzitutto e Greco (sinonimo di pagano). Infatti, la giustizia di Dio si rivela da fede a fede, secondo la norma scritta: Il giusto però in forza della fede, vivrà (Rom 1,16-17). La cattiveria e la malvagità morale di tutti quegli uomini, che soffocano la verità, ha scatenato in cielo l’ira di Dio. Ciò che è noto a Dio, è noto anche agli uomini, perché, anche se Egli è di per sé invisibile, si rende visibile come energia operante attraverso le sue creature e l’ordine costante del creato. Certi uomini commettono un peccato imperdonabile perché, pur conoscendo la verità, anziché ringraziare Dio ed essergli devoti e reverenti per il bene che ha profuso all’umanità, “scambiarono la gloria di Dio con le sembianze di un uomo corruttibile, di volatili, di quadrupedi, di serpenti” (Rom 1, 21-23). “Per questo motivo Dio li ha abbandonati alle loro sbrigliatezze e allo sfogo delle passioni ignominiose: le donne scambiarono il rapporto sessuale naturale con quello contro natura; gli uomini, lasciato il rapporto naturale con la donna, bruciarono di desiderio gli uni verso gli altri, compiendo gravi turpitudini per cui, per la loro aberrazione, hanno ricevuto la meritata ricompensa. Tutto questo perché non ritennero saggio possedere Dio, approfondendone la conoscenza; ma data la loro ingratitudine, Dio li abbandonò in balia della loro insipienza e così compirono ogni malvagità, cattiveria, cupidigia, malizia; tutti invidia, omicidio, lite, malignità, maldicenti in segreto, calunniatori, odiatori di Dio, insolenti, superbi, orgogliosi, ideatori di male, ribelli ai genitori, senza intelligenza, senza lealtà, senza amore, senza misericordia. Essi, per il semplice fatto che conoscono la legge di Dio e tuttavia compiono queste azioni malvage, sono degni di morte; e non soltanto per le azioni cattive che compiono loro direttamente, ma anche perché approvano le cattiverie che compiono gli altri” (Rom 1, 26-32).
Nel capitolo secondo l’Apostolo rivolge una severa apostrofe alla gente della sua stessa stirpe: Testo: “E tu Giudeo, che giudichi severamente gli altri per le azioni che compiono, per lo stesso motivo, condanni te stesso, perché sei reo delle stesse colpe di cui accusi quelli che tu condanni. O forse credi che con la tua ipocrisia possa sfuggire all’azione della giustizia divina?”; E qui l’apostrofe diventa invettiva: “Quando questo avverrà, compenserà ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a quelli che, nella perseveranza di un agire onesto cercano gloria, onore e immortalità; ma per quelli che sono ribelli, disobbediscono alla norma della verità e obbediscono alla malvagità, ci sarà ira e sdegno. Tribolazioni e angustie opprimenti cadranno su ciascun essere umano che attua il male, Giudeo in primo luogo e Greco; gloria, onore e pace a chiunque opera il bene, Giudeo in primo luogo e Greco” (Rom 2, 6-10). Dio non fa favoritismi nei confronti delle persone. Tutti quelli che peccarono senza la legge, saranno giudicati senza la legge; mentre tutti quelli che peccarono con la legge, saranno condannati secondo la legge. Non basta conoscere la legge, l’importante è metterla in pratica per essere dichiarati giusti. Infatti, i pagani che non hanno la legge mosaica ma osservano e rispettano la legge della natura, dettano legge a se stessi. Essi dimostrano che le finalità volute dalla legge possono essere raggiunte osservando le leggi della natura e i dettami della ragione umana, che sono doni del Creatore, ugualmente inscritti nella coscienza di ogni creatura, Giudeo o pagano che sia, perché Dio non fa preferenze di presone.
Tutto questo accadrà “nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il mio Vangelo per mezzo di Gesù Cristo” (Rom 2, 16). E qui l’Apostolo, giudeo anche lui, rincara la dose contro gli stessi Giudei non credenti: “Tu giudeo, che ti appoggi alla legge, te ne vanti perché la conosci e sai distinguere il bene dal male, hai la presunzione di essere guidatore di ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, dottore d’ignoranti, maestro di fanciulli, possedendo nella legge il paradigma della scienza e della verità ….tu, che istruisci gli altri, non istruisci te stesso? Tu, che proclami che non si deve rubare, rubi? Tu, che dici che non si deve compiere adulterio, lo compi? Tu, che hai in orrore gli idoli, ma spogli i templi dei loro averi? Tu, che ti vanti di conoscere la legge, poi la trasgredisci? Ma non ti rendi conto che, così facendo, ti comporti da ipocrita disonorando Dio?” (Rom 2, 17-24).
Commento: In questo brano Paolo mette in evidenza lo stridente contrasto tra il dire e il fare dei Giudei, il fariseismo più volte rinfacciato al suo popolo da Gesù stesso, come si legge in diverse parti delle parabole dei Vangeli. Soprattutto mette in evidenza le difficoltà che ne derivano nell’impresa che l’Apostolo porta avanti: l’evangelizzazione dei pagani. Questi, infatti, vedendo l’ipocrisia dei Giudei, saranno spinti a rifiutare in blocco tutto il giudaismo. Quindi viene rifiutato Dio stesso, il Dio d’Israele, il Dio unico di tutte le genti. Quel Dio che, nella sua onnipotenza e infinito amore per le sue creature, ha concepito il piano salvifico per l’uomo, realizzato con il sacrificio gratuito del suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo.
La circoncisione, come marchio di appartenenza alla razza eletta, ha senso se si osserva la legge mettendola in pratica, altrimenti non ha nessun valore salvifico. Invece, se uno è incirconciso, ma osserva la legge e la mette in pratica, la sua coerente condotta tra la norma e la pratica di vita, lo salva. “La vera circoncisione non è quella che porti nella carne, ma è quella che porti nel cuore, secondo lo Spirito. Colui che porta questo marchio ha la lode, non dagli uomini, ma da Dio” (Rom, 2, 25-29).
In questa sezione Paolo continua a sviluppare l’argomento iniziato nel capitolo precedente, chiedendosi: Testo “Quale è la superiorità dei Giudei? Quale utilità può portare la circoncisione? Quali vantaggi implica l’essere Giudeo? Se queste condizioni sono correttamente intese, possono portare molti vantaggi. Anzitutto perché a loro sono state affidate le parole di Dio; e se alcuni non hanno creduto, non per questo viene meno la fedeltà di Dio verso gli uomini, che sono le sue creature. Dio è sempre veritiero, solo l’uomo è menzognero (Rom, 3, 1-4).
Il vero Giudeo cristiano praticherà le buone opere in modo coerente con le prescrizioni della legge voluta da Dio. Se alcuni sono stati infedeli, la loro infedeltà non annullerà la fedeltà di Dio verso di noi. Se la malvagità umana mette in risalto la giustizia divina, che diremo? Che Dio è ingiusto perché scatena su di noi la sua collera? Non sia mai detto! Se così fosse, come farebbe Dio a giudicare l’umanità? Se la veracità fedele di Dio ha mostrato la sua di misericordia in connessione con la nostra infedeltà menzognera, non è che noi, coscienti del peccato, dobbiamo abusare della pazienza di Dio! Secondo quanto dicono i testi delle Sacre Scritture, tutti gli uomini, Giudei e Greci, sono sotto il dominio del peccato. Secondo la legge, infatti, nessun uomo, nel suo stato di debolezza ontologica, verrà giustificato dinanzi a Dio.
“Ma ora, a prescindere dalla legge, la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai Profeti, si è rivelata per mezzo della fede in Gesù Cristo, si è riversata in tutti coloro che credono in Lui. Non c’è distinzione: infatti, tutti peccarono, ma tutti vengono giustificati gratuitamente per un favore benevolo di Dio, in forza della redenzione che ha portato Gesù Cristo” (Rom, 3,21-24). Dio ha esposto il suo figlio unico, come vittima sacrificale, al versamento del suo sangue in croce e quel sangue costituisce il prezzo della nuova alleanza tra Dio e l’uomo, tra Dio e il popolo. I peccati degli uomini, che hanno fede in Cristo, sono emendati e cancellati per mezzo di quel sangue da Lui, versato sulla croce. Dio giudicherà gli uomini, circoncisi o incirconcisi che siano, in base a un solo criterio: la fede in Lui per mezzo del sacrificio del figlio, Gesù Cristo. Allora l’antica legge mosaica sarà abolita? Manco per sogno! Essa sarà modificata e integrata con la nuova legge che promana dallo Spirito.
Il capitolo IV è dedicato a riepilogare la storia di Abramo, considerato il padre di tutti quelli che credono in Dio per fede. Egli ha creduto nella parola di Dio e la sua fede gli è bastata per ottenere da Dio la giustificazione dei suoi peccati; e l’ha ottenuta quando non era stato ancora circonciso. Quindi Abramo può essere considerato il padre di tutti quelli che credono, anche se sono nello stato di non circoncisione. Pertanto, la paternità di Abramo si estende ai Giudei solo se, oltre ad essere circoncisi, seguono le norme che ha seguito Abramo credente. “Infatti, non in forza della legge fu fatta ad Abramo e alla sua discendenza la promessa che egli sarebbe stato l’erede del mondo, ma in forza della giustizia che viene dalla fede” (Rom, 4, 13).
Quando Dio gli disse “Ti ho costituito padre di molte nazioni; faccia a faccia con Dio credette a Lui, come a colui che dona la vita ai morti e chiama ad essere le cose che non sono (Rom, 4, 17).
Egli credette, sperando contro ogni speranza, in modo da divenire il padre di molte nazioni, secondo quanto gli era stato detto: così sarà la tua discendenza. Egli non era indebolito nella fede, nonostante una sua considerazione oggettiva: il suo corpo era ormai già privo di vitalità, avendo egli circa cento anni e riteneva devitalizzato anche il seno materno della moglie Sara. Tuttavia, confidando nella promessa, non esitò nell’incredulità, ma si rafforzò nella fede, dando gloria a Dio, fermamente persuaso che Dio è anche potente per realizzare ciò che promette. Per questo gli fu computata la fede come giustificazione” (Rom, 4, 12-22). E questa giustificazione fu accreditata, non solo a lui, ma anche a noi che crediamo in Colui che ha risuscitato Gesù dai morti per compiere la nostra giustificazione.
Nel capitolo quinto, l’Apostolo fa tutto un discorso incentrato sui concetti della giustificazione e della vita vissuta. Avendo ottenuto la giustificazione per mezzo di Gesù Cristo, abbiamo la pace, la grazia e la speranza della gloria in Dio; e la speranza dell’amore di Dio non delude perché, anche quand’eravamo senza questa forza, Dio ha sacrificato il suo Figlio sulla croce per salvarci.
Testo: “Come a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e, attraverso il peccato, la morte che dilagò su tutti gli uomini perché tutti peccarono, così per la benevolenza di Dio e il dono gratuito di un solo uomo, Gesù Cristo, sovrabbondò la grazia della giustificazione …. Come a causa della caduta colpevole di uno solo si ebbe in tutti gli uomini una conseguenza di condanna, così, attraverso l’atto di giustizia di uno solo, si avrà in tutti gli uomini la giustificazione per la vita. Come a causa della disobbedienza di un solo uomo molti furono costituiti peccatori, così attraverso l’obbedienza di uno solo, molti saranno costituiti giusti … Dove si moltiplicò il peccato, là sovrabbondò la grazia affinché, come regnò il peccato nella morte, così regni la grazia della giustificazione per la vita eterna in forza di nostro Signore Gesù Cristo” (Rom, 5, 12-21).
Da notare che quando l’Apostolo parla di “morte” o di “vita” vuole intendere, non la morte o la vita in senso fisico, ma la morte o la vita in senso spirituale, la morte che toglie, la vita che ridona la grazia di Dio, garanzia per la vita eterna.
Nel capitolo sesto l’Apostolo dibatte il tema del peccato, eliminato dal battesimo. Al riguardo egli dichiara:
Testo: “Chi muore è giustificato e liberato dal peccato. Se poi morimmo con Cristo, crediamo che vivremo con lui, ben sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più … perché egli vive in Dio. Così anche voi, se siete morti al peccato, siete viventi in Dio, in unione con Gesù Cristo. Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale, obbedendo ai suoi impulsi sfrenati; non presentate le vostre membra come armi di iniquità per il peccato, ma offrite voi stessi e le vostre membra come armi di giustizia a Dio … (Rom, 6, 7-13); e conclude dicendo: “Ora che siete stati liberati dal peccato e resi schiavi a Dio, raccogliete i frutti per la vostra giustificazione, il cui termine è la vita eterna. La ricompensa del peccato è la morte, il dono della grazia di Dio è la vita eterna, in unione con Gesù Cristo nostro Signore (ibidem, 22-23).
Aprendo il discorso sul capitolo settimo, l’Apostolo si rivolge ai Romani, come persone esperte di diritto e di leggi, per introdurre un discorso teorico sui diritti e i doveri dei coniugi in regime di matrimonio consacrato.
Testo: “Secondo la legge, finché i due coniugi sono in vita entrambi, l’uno ha tutti i diritti coniugali sull’altro; ma se uno dei due dovesse venire a mancare, il coniuge sopravvissuto ha il diritto di sposarsi di nuovo con un altro partner, uomo, se è donna; donna, se è uomo. Ma se uno dei due, essendo ancora in vita l’altro coniuge e per un motivo o per l’altro dovesse unirsi, se donna a un altro uomo o se è uomo, a un’altra donna, commetterebbe adulterio. “Così fratelli miei, anche voi siete stati fatti morire con Cristo in croce alla vecchia legge, per rinascere a nuova vita con la resurrezione di Cristo risorto, affinché portiate frutti secondo Dio. Quand’eravamo sotto il controllo della legge, eravamo in balia delle passioni più sfrenate connesse ai peccati perché, i divieti imposti, paradossalmente, acuivano le passioni stesse, spingendoci a un agire sbagliato, che portava frutti di morte. Allora, implicitamente, si può dedurre che la legge stessa fosse causa di peccato? Ma adesso che siamo stati liberati dalla legge, siamo stati liberati anche dalle tentazioni peccaminose, cui ci inducevano i divieti imposti dalla legge al fine di non peccare. Perciò, adesso siamo liberi di servire Dio, secondo la nuova legge dello Spirito” (Rom, 7, 1-6).
Il problema non era tanto quello d’identificare il peccato con la legge, quanto quello di avere o non avere coscienza del peccato stesso. Se non esistesse la norma di legge che stabilisce: non desiderare, io non avrei conosciuto il desiderio passionale. La norma che vieta di fare un’azione, paradossalmente, scatena il desiderio di compiere proprio quell’azione che la legge vieta. Ma, prima che ci fosse la legge, io avrei potuto compiere la stessa azione, senza che mi fosse imputata a colpa perché avrei ignorato il fatto di compiere un’azione proibita.
“Il peccato, una volta trovato un punto d’appoggio nella mia debolezza, mi ha sedotto, scatenandomi il desiderio passionale. Quindi la legge è salva, il comandamento è santo, giusto e buono!” (Rom, 7, 11-12). L’Apostolo continua il suo discorso facendo un’analisi psicologica sulle contraddizioni dell’animo umano: la legge è buona perché è spirituale, ma io sono di carne. “Non capisco quello che faccio: non faccio quel che voglio, mentre faccio quel che non voglio; e proprio perché faccio ciò che non voglio, riconosco la bontà e la giustezza della norma”. Ma nel ragionamento di Paolo il paradosso continua: “Infatti, se non faccio il bene che voglio e compio il male che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che inabita in me. Approvo la legge di Dio, la legge interiore dello Spirito, ma poi c’è un’altra legge diversa del corpo e delle membra che osteggia la legge della mente e mi rende schiavo del peccato. Uomo infelice che sono! Chi mi libererà dal corpo che porta questa morte? (Rom, 7, 15-24). Allora Paolo, un’identica persona, da una parte con la mente serve la legge di Dio, dall’altra, con il corpo serve la legge del peccato. Tuttavia, per coloro che sono uniti a Cristo, non vi è nessun elemento di colpa o di condanna.
Nel capitolo ottavo continua l’analisi del dissidio tra le tendenze istintive dell’uomo. Per fortuna nostra, la precaria condizione umana, divisa tra le appetizioni della carne e le aspirazioni dello Spirito, è stata risolta da Dio, inviando tra gli uomini, il suo Figlio, Gesù Cristo. Egli, vivendo nello stato carnale di affinità ontologica con i figli di Adamo, condannò il peccato nella carne, facendo trionfare la componente dello Spirito.
Testo: “I pensieri e le aspirazioni della carne sono la morte, mentre i pensieri e le aspirazioni dello Spirito sono vita e pace. Quelli che vivono secondo la carne non piacciono a Dio perché non si sottomettono a Lui. Voi (Romani), invece, non siete in relazione con la carne, ma con lo Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Chi non ha lo Spirito di Cristo, non appartiene a Lui. Se Cristo è in relazione con voi, il corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita in vista della giustificazione. Se lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù dai morti abita in voi, come risuscitò Gesù, egli darà vita anche ai vostri corpi mortali per vivere secondo lo Spirito. Se vivrete secondo la carne, morrete. Se, invece, con lo Spirito ucciderete le azioni del corpo, vivrete. Infatti, riceveste lo Spirito di adozione a figli, in unione col quale gridiamo: Abbà, Padre! (cfr Ga, 4, 7) Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. Se figli, anche eredi, eredi di Dio, coeredi di Cristo; dal momento che soffriamo insieme a lui, è perché possiamo essere glorificati insieme a lui” (Rom, 8, 6-17).
Lo stato presente e la gloria futura
Lo stato di sofferenza del tempo presente non ha, non può avere, alcun valore in rapporto con lo stato di felicità che comporterà la gloria futura.
Testo: “Le cose create subiscono l’insulsaggine peccatrice, non di loro volontà, ma in forza di colui che ve le ha sottoposte, in attesa della loro liberazione dalla schiavitù della corruzione … Sappiamo, infatti, che tutte le cose create gemono insieme e soffrono insieme le doglie del parto fino al momento presente. Non solo queste, ma anche noi, che abbiamo il dono dello Spirito, gemiamo in noi stessi in attesa dell’adozione a figli, del riscatto del nostro corpo. Lo Spirito ci soccorre, viene in nostro aiuto con preghiere e gemiti inespressi. Colui che scruta i cuori, sa quali sono i pensieri e le aspirazioni dello Spirito, poiché intercede per i santi secondo Dio. Sappiamo, poi, che per coloro che amano Dio, tutto confluisce attivamente in bene, per coloro che secondo il piano di Dio, si trovano ad essere chiamati. E noi stessi, che ascoltiamo la voce dello Spirito, sappiamo che quelli che amano Dio saranno anche i chiamati da Lui. Quelli che ha fatto oggetto delle sue premure, li ha predeterminati ad essere conformi all’immagine del figlio suo, facendo in modo che egli sia il primogenito di molti fratelli. Colui che predeterminò, anche chiamò, questi anche giustificò; quelli che giustificò anche glorificò. I chiamati saranno i predeterminati ad essere conformi all’immagine di suo Figlio e gli stessi saranno giustificati e glorificati (Rom, 8,18-30)
Certezza, fiducia e speranza, basati sull’amore di Dio
Testo: “Che diremo di tutte queste cose? Se Dio è con noi, chi potrebbe essere contro di noi? Lui, che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo diede in sacrificio per noi tutti, come non ci darà in dono insieme a lui tutte le cose? Chi farà l’accusatore contro gli eletti di Dio? Dio che li ha dichiarati giusti? Chi li condannerà? Gesù Cristo che è morto, o piuttosto risuscitato, lui che siede alla destra di Dio, lui che intercede in nostro favore? Chi ci separerà dall’amore che Cristo ha per noi? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, i pericoli, la spada? Secondo quanto sta scritto: per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, fummo reputati come pecore da macello (Sl 44). Ma in tutte queste cose stravinciamo in forza di colui che ci amò. Sono persuaso, infatti, che né la morte, né la vita, né Angeli, né Potestà angeliche, né presente, né futuro, né altezze, né profondità, né qualunque altra cosa creata avrà la forza di dividerci dall’amore che Dio ha per noi in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom, 8,31- 39).
Nel capitolo nono Paolo pone al centro del discorso la situazione degli Ebrei, suoi fratelli di sangue e di dottrina, divisi tra credenti e non credenti.
Testo: “Essi sono Israeliti, di loro è l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, a loro è stata data la legge, il culto, le promesse, i Patriarchi; da loro proviene Cristo nella sua natura umana; ma non tutti gli Israeliti sono Israele (nel senso che, tra di loro, non tutti sono credenti). Né per il fatto che discendano da Abramo sono tutti figli suoi, ma: In Isacco sarà la tua discendenza. Cioè: non i figli della carne sono, gli stessi, figli di Dio; ma i figli della promessa saranno computati come discendenza. E la promessa suona così: In questo tempo ritornerò e Sara avrà un figlio. Ma non solo: anche Rebecca ebbe prole da uno solo, Isacco padre nostro. Quando ancora non erano nati, quando ancora non avevano compiuto niente di bene o di male — in modo che la predeterminazione di Dio rimanesse secondo la sua scelta e non dipendesse dalle opere ma dall’iniziativa di colui che chiama — fu detto a lei: Il maggiore servirà al minore. Come è stato scritto: Amai Giacobbe, odiai Esaù” (Rom, 9, 4-13).
Commento: Qui interviene il disegno imperscrutabile del Creatore, che decide le sorti delle creature. Infatti, tra i due figli di Abramo, solo Isacco fu l’erede; e anche tra i due figli di Isacco, Giacobbe fu il prediletto, non Esaù, per quanto questi fosse il maggiore di età. E’ Dio, e soltanto lui, che decide sulla sorte dei suoi figli, senza lasciarsi influenzare da alcun elemento di giudizio umano. L’azione trascendente di Dio è incomprensibile alla creatura. L’uomo non ha il potere di mettersi in contradditorio con Lui.
A questo riguardo porta alcuni esempi tratti dalle normali esperienze dell’attività umana. In particolare, cita il caso del vasaio che, da una stessa massa argillosa plasma due vasi uguali, di cui, uno destinato ad uso onorifico, l’altro destinato ad un uso banale. Anche Dio, nella sua grande longanimità, può trasformare vasi d’ira preparati per la perdizione, in vasi di misericordia per far conoscere la ricchezza della sua gloria; e qui il discorso è rivolto a tutti, non solo al popolo giudaico, ma viene esteso anche ai pagani. Per sottolineare la coerenza di Dio con le norme del Vecchio Testamento, l’Apostolo cita una serie di esempi tratti dalle Sacre Scritture, soprattutto dai testi dei profeti Osea e Isaia. Se, per le promesse fatte ai padri, il popolo d’Israele dovesse accampare diritti di primazia sugli altri popoli, quali ragioni di merito vanterebbe davanti a Dio? Di che cosa potrebbe lamentarsi? Che i pagani, che non perseguivano la giustificazione, si sono impadroniti della giustificazione che deriva dalla fede? Che Israele, pur conoscendo la legge che non sempre osservava, è stata retrocessa rispetto ai pagani? Purtroppo, questa legge conosciuta nella forma ma disattesa nella sostanza, non poteva mai dare, da sola, la giustificazione. Se si vuole trarre un concetto chiaro da un periodo involuto e poco chiaro, il ragionamento dell’Apostolo dovrebbe essere il seguente: i pagani, che non cercavano la giustificazione, l’hanno ottenuta per un dono gratuito di Dio, il quale richiede soltanto una risposta affermativa alla domanda di fede. Israele, invece, ha cercato la giustificazione attraverso la legge e ha sbagliato, perché la giustificazione non proviene dalla legge o dalle opere della legge, ma dalla fede in Dio, annunciata e testimoniata dal suo Figlio, Gesù Cristo. Perciò non poteva realizzare, né l’osservanza della legge, né la giustificazione. Quando venne Cristo e mostrò loro che la via che seguivano era sbagliata, non lo ascoltarono e non lo seguirono.
Ed ecco allora avverarsi la profezia del profeta Isaia quando dichiarò: Ecco, pongo in Sion una pietra di inciampo e di scandalo, chi crederà in essa non sarà svergognato.
Commento: Nell’esordio del capitolo decimo, Paolo cambia di tono e assume un atteggiamento più conciliante di quello precedente nei confronti dei Giudei. Dichiara di pregare Dio, affinché i suoi fratelli, Ebrei, si convertano per il loro bene e per la loro salvezza. A loro merito bisogna ricordare che essi hanno sempre avuto zelo per Dio e che, nella storia umana, Israele era sempre stato il popolo prediletto da Dio, ma non ha realizzato una conoscenza approfondita e adeguata alla fede. Gli Israeliti si sono intestarditi nella giustizia fatta da se stessi, per cui non hanno riconosciuto la giustizia di Dio. Invece l’obiettivo più alto della legge è Cristo, da cui bisogna attingere la linfa vitale della grazia per ottenere la giustificazione. L’Apostolo, nel tentativo di spiegare il rapporto tra giustificazione e salvezza, fa tutto un discorso prolisso, contorto e intricato, con diverse citazioni prese dalle Scritture, il cui senso appare, più o meno, il seguente: Cristo è il punto di arrivo del progetto salvifico di Dio. Per ottenere la salvezza, l’uomo deve dare il suo assenso, profondo, sincero e convinto alla promessa di Cristo risorto e deve testimoniarlo esteriormente negli atti di culto pubblico e privato; non solo, ma deve testimoniarlo nel vissuto quotidiano dentro la comunità cristiana in cui vive, professando la fede e invocando Cristo nella preghiera. A questo riguardo l’Apostolo afferma:
Testo: “Questa è la parola della fede che noi proclamiamo: se tu professerai con la tua bocca Gesù come Signore, e crederai nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato da morte, sarai salvato. Nell’intimo infatti si crede ottenendo la giustificazione, con la bocca si fa la professione per ottenere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crederà in lui non rimarrà confuso. Infatti, non c’è distinzione di Giudei o di Greci: poiché lo stesso Cristo è il Signore di tutti, e spande le sue ricchezze su tutti coloro che lo invocano … ” (Rom, 10, 8-12). Ma gli Ebrei non hanno scusanti. Non possono dire di non aver udito l’annuncio o di non aver capito il messaggio, quando tutti avevano udito e capito l’annuncio, ma loro non erano disponibili ad accogliere il messaggio. E conclude dicendo: “Invece a Israele dice: Per tutto il giorno stesi le mie mani a un popolo che disobbediva e si ribellava…(Rom, 10, 21).
Nell’esordio di questa sezione, Paolo si pone una domanda cruciale: Dio ha forse ripudiato il suo popolo?” Risposta: Testo: “Non sia mai detto: Infatti, io stesso sono un Israelita, appartenete alla discendenza di Abramo, proveniente dalla tribù di Beniamino. Dio non ripudiò il suo popolo da lui eletto nella sua prescienza. O non sapete che cosa dice la Scrittura a proposito di Elia, quando questi interviene intermediario presso Dio contro il popolo d’Israele? Signore, uccisero i tuoi profeti, demolirono i tuoi altari fin dalle fondamenta: unico superstite sono rimasto io, ed essi cercano di togliermi la vita. Ma che cosa dice la risposta divina? Riservai per me settemila uomini, i quali non piegarono i ginocchi davanti a Baal” (Rom, 11, 1-4)
Intanto è rimasta “una quota residuale di benevolenza gratuita. Israele non ha ottenuto quello che cercava, l’hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri sono stati induriti e, come dice la Scrittura, Dio ha dato loro uno spirito di torpore: occhi tali per non vedere, orecchi per non udire, fino al giorno di oggi. E Davide dice: la loro mensa divenga un laccio, un trabocchetto, una pietra d’inciampo e sia la loro retribuzione. i loro occhi siano ottenebrati in modo da non vedere, e fai curvare loro costantemente la schiena” (Rom, 11, 5-10).
Israele dev’essere considerato con stima e rispetto
Testo: Ma se gli Ebrei sono caduti per la loro incredulità, per fortuna la caduta non è definitiva; inoltre, la loro caduta ha determinato indirettamente la salvezza dei Gentili e questo fatto speriamo che ecciti la loro emulazione. E aggiunge: “Se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro perdita una ricchezza per i Gentili, quanto più lo sarà la loro completezza una volta raggiunta. A voi Gentili poi dico: in qualità di Apostolo dei Gentili onoro il mio ministero, nella speranza di poter provocare a emulazione coloro che sono del mio sangue e salvare alcuni di loro. Se infatti la loro ripulsa è riconciliazione per il mondo, che cosa sarà mai la loro riammissione, se non una risurrezione?
” Se infatti è santo il pane delle primizie, lo è anche la massa della pasta; e se la radice è santa, lo sono anche i rami. Se ora alcuni rami sono stati tagliati via e tu, essendo olivastro selvatico, sei stato innestato al loro posto venendo così a partecipare della linfa che proviene dalla radice dell’olivo, non ti gloriare a discredito dei rami! poiché, se tu ti glori, non sei tu a sostenere la radice, ma è la radice che sostiene te. Dirai comunque: i rami furono tagliati via perché io fossi innestato. Bene: essi furono tagliati via per mancanza di fede, mentre tu stai in piedi in forza della fede. Non avere pensieri e sentimenti di superbia; ma mantieniti in uno stato di timore. Se Dio non risparmiò i rami naturali, non risparmierà neppure te. Vedi dunque la bontà e la severità di Dio: la severità nei riguardi di coloro che sono caduti, la bontà di Dio nei riguardi tuoi, se tu ti mantieni aderente a questa bontà; altrimenti sarai tu pure, tagliato via. D’altra parte anch’essi, se non rimarranno nella loro incredulità, saranno innestati: Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo. Se tu, in effetti sei stato tagliato via da un olivastro che era secondo la tua natura e contro la tua natura sei stato innestato in una magnifica pianta di olivo, quanto, a maggior ragione, saranno innestati nel proprio olivo coloro che sono della sua stessa natura!” (Rom, 11, 11-24).
Commento: Questo per ricordare che il popolo di Dio, depositario delle promesse, sono gli Ebrei; essi costituiscono l’ambiente naturale, in cui le stesse promesse divine si verificano; mentre i pagani sono da considerarsi un corpo estraneo. Soltanto cause contingenti: l’infedeltà d’Israele e il disegno imperscrutabile di Dio, hanno consentito che i pagani sostituissero gli Ebrei, come nuovo popolo di Dio. Ad ogni modo, il popolo d’Israele rimane sempre l’ambiente storico naturale, in cui Dio ha fatto le promesse ai Patriarchi e ai Profeti ed è il luogo in cui le promesse divine si sono verificate. D’altra parte, essi non resteranno sempre nell’incredulità, ma prima o poi, si convertiranno. Anche voi Gentili, da pagani che eravate come olivastri selvatici, siete stati innestati in rami d’olivo e portate buoni frutti; a maggior ragione porteranno buoni frutti i rami di olivo, innestati nuovamente in un tronco della stessa natura di olivo. D’altronde gli Israeliti non resteranno sempre nell’incredulità, ma prima o poi si convertiranno; prima o poi, saranno innestati nuovamente a olivo da produzione.
A conclusione del capitolo, Paolo rivolge ancora una raccomandazione ai destinatari della Lettera:
“ Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, il pano misterioso di Dio e in modo che così non siate superbi nei riguardi di voi stessi. L’indurimento parziale d’Israele è avvenuto e perdura finché tutti i Gentili non siano entrati (nel regno) raggiungendo il loro numero completo; e così tutta Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il Salvatore/ egli allontanerà le empietà da Giacobbe. E questo è il patto mio con loro/ quando toglierò i loro peccati.
Per quanto riguarda il Vangelo, sono nemici a vostro vantaggio; ma per quanto riguarda l’elezione sono amati a causa dei padri; i doni della benevolenza e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Come infatti, voi una volta disobbediste a Dio, ora siete stati fatti oggetto di misericordia per la loro disobbedienza, così anch’essi sono ora divenuti disobbedienti in grazia della misericordia da usarsi verso di voi, in modo che possano anch’essi, ora, cominciare ad essere oggetto di misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti quanti nella disobbedienza, per avere misericordia di tutti quanti” (Rom, 11, 25-32).
La sintesi di un discorso appare la seguente: quando ci sarà la resurrezione finale e sarà completato il disegno salvifico di Dio, la riammissione degli Ebrei sarà un evento importante nel quadro generale della salvezza escatologica dell’intera umanità. Poi la dossologia finale:” O profondità della ricchezza, saggezza e conoscenza di Dio! Quanto insindacabili sono i suoi giudizi e impossibili a rintracciare le sue vie! Chi conobbe infatti la mente del Signore? O chi fu suo consigliere? O chi gli dette per primo perché ne possa avere il contraccambio? Poiché le cose provengono da Lui, esistono in forza di Lui, tendono a Lui, tutte quante. A lui gloria nei secoli. Amen.
Gli ultimi cinque capitoli dell’epistola costituiscono la parte parenetica, cioè esortativa del discorso. In questa parte L’Apostolo invita i cristiani a condurre un corretto ed esemplare modello di vita, coerente con i principi ispiratori del Vangelo. Infatti, inizia il capitolo dodicesimo con un esordio solenne e impegnativo:
Testo: “Vi esorto dunque, fratelli, in nome della misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come un dono sacrificale vivente, santo e gradito a Dio e questo è il vostro culto spirituale. Non uniformatevi nel vostro comportamento al mondo presente , ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento progressivo della vostra coscienza, in modo che possiate discernere praticamente cos’è che Dio vuole da voi, cos’è buono, particolarmente a Lui gradito, perfetto” (Rom, 12, 1-2).
Precetti generali
Testo: “Dico infatti personalmente a ciascuno che si trova tra di voi in forza della grazia a me concessa, di non avere pensieri ed aspirazioni superiori a voi stessi a voi stessi, diverse da quelle che bisogna avere, ma di avere pensieri e aspirazioni saggi, secondo la misura di fede che Dio ha assegnato a ciascuno. Come infatti in un solo corpo troviamo molte membra e, d’altra parte le membra non hanno tutte le stesse funzioni, così anche noi, in molti siamo uniti a Cristo, un unico corpo, membra ciascuno in rapporto con gli altri, in possesso di doni differenti secondo la benevolenza riversata su di noi, sia che si tratti di profezia, secondo il rapporto che ha con la fede, sia che si tratti di servizio, sia che si tratti di maestro per quanto concerne l’insegnamento, dell’esortatore per quanto riguarda l’esortare. Chi distribuisce elargizioni, lo faccia con autentica semplicità, chi dirige queste elargizioni, lo faccia con sollecitudine, chi esercita queste opere di bontà, lo faccia con gioia. L’amore è incompatibile con l’ipocrisia. Aborrite il male, aderite con tutte le forze al bene. Amatevi cordialmente con l’amore tipico dei fratelli, prevenitevi vicendevolmente nella stima e nell’onore; siate solleciti, non pigri; ferventi nelle azioni dello Spirito, servite il Signore, abbiate gioia mediante la speranza, siate costanti nelle avversità, dedicatevi con assiduità alla preghiera; prendete parte alle necessità dei santi, praticate a gara l’ospitalità. Invocate benedizioni su chi vi perseguita, benedizioni e non maledizioni; prendete parte alla gioia di chi gioisce, al pianto di chi piange; abbiate gli uni per gli altri gli stessi pensieri e le stesse sollecitudini; non abbiate aspirazioni di grandezza, ma lasciatevi attrarre dalle cose umili. Non siate saggi presso voi stessi, non restituite a nessuno il male col male. Studiatevi di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, quanto dipende da voi, siate in pace con tutti gli uomini; non vi vendicate, carissimi per i torti subiti, ma cedete il posto all’ira divina. Sta scritto infatti: a me spetta la vendetta, io darò ciò che spetta , dice il Signore. Se il tuo nemico ha fame, dagli del cibo; se ha sete, dagli da bere: facendo così, infatti, accumulerai dei carboni accesi sul suo corpo. Non lasciarti vincere da male, ma vinci il male con il bene” (Rom, 12, 1-21).
Osservazione: In poche parole, il cristiano non deve combattere il male con lo stesso mezzo e sullo stesso piano del male, ma, al contrario, deve combatterlo con il bene e vincerlo mediante le buone azioni. Nell’insieme il discorso dell’Apostolo è un bagno integrale di morale cristiana in una scaturigine di acqua pura.
Commento: Paolo apre il discorso di questo capitolo con un’affermazione chiara e inequivocabile: ” Ogni persona si sottometta alle autorità che le sono superiori”. Quanto ai rapporti con le autorità civili, egli raccomanda i cristiani di avere il massimo rispetto delle autorità costituite, preposte a garantire l’ordine e la sicurezza dei cittadini nella pacifica convivenza delle comunità e dei popoli. Le autorità legittime sono state preposte agli ordini di comando per garantire questa finalità: ordine, pace e sicurezza sociale. Perciò, il loro potere promana da Dio stesso, che vuole l’ordine e la pace dei cittadini. Non solo, ma i cittadini che godono di questo beneficio sociale devono anche pagare i tributi e le imposte dovuti per garantire il buon funzionamento della società civile organizzata. Dichiara: Testo “Le autorità attuali sono state stabilite e ordinate da Dio; chi si contrappone ad esse, si contrappone ad un ordine stabilito da Dio e perciò si attira la condanna divina. I magistrati, infatti, non fanno paura a chi opera il bene, ma a chi opera il male. La spada del magistrato che si abbatte sul malfattore è vindice dell’ira divina che si abbatte su di lui per il male commesso. Date a tutti ciò che è loro dovuto: il contributo a chi è dovuto il contributo, l’imposta a chi è dovuta l’imposta; il rispetto a chi è dovuto il rispetto, l’onore a chi è dovuto l’onore”.
La carità è pienezza di tutti i comandamenti
Non solo, ma il discorso dell’Apostolo si allarga dall’ordine giuridico a quello morale, quando ai destinatari raccomanda: Testo “Amatevi gli uni gli altri. Chi, infatti ama l’altro, ha portato al suo compimento. l’intera legge. Infatti, tutta la legge, antica e nuova, non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non abbandonarti all’impulso passionale e qualunque altro comandamento, è sintetizzato e trova il suo culmine nell’espressione: amerai il tuo prossimo come te stesso. (E’ questa la risposta che Gesù diede ai farisei che lo interrogavano su quale fosse il comandamento più grande, poi riportata nel Vangelo di Matteo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mt, 22,40). L’amore non procura del male al prossimo; quindi, l’amore rappresenta la pienezza della legge” (Rom, 13, 8-10).
Siccome si avvicina il tempo della salvezza finale (la parusia), l’Apostolo sollecita i cristiani a deporre le opere delle tenebre (le azioni cattive) e a rivestirsi delle opere della luce (le opere buone). “Comportiamoci con dignità, come fa chi agisce alla luce del giorno, consiglia l’Apostolo: non gozzoviglie o orge, non lussurie o impudicizie, non litigi o gelosie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, non obbedite agli impulsi sfrenati della carne, seguendo i suoi appetiti istintuali” (Rom, 13, 13-14).
L’attesa cristiana
Egli continua il discorso dicendo: Testo “Rendetevi conto del periodo salvifico che stiamo vivendo; è ormai tempo per voi di svegliarvi dal sonno. Adesso la salvezza è più vicina che non quando demmo assenso alla fede. La notte è avanzata nel suo corso, il giorno è imminente. Perciò mettiamo da parte le opere delle tenebre e rivestiamoci delle armi della luce. comportiamoci con la dignità che conviene a chi agisce di giorno: non gozzoviglie o orge, non lussurie e impudicizie non litigi o gelosie. Ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non fate conto della carne, seguendo i suoi impulsi sfrenati” (Rom, 13, 11-14).
Concetti riassuntivi: Tutto il capitolo quattordicesimo tratta il problema di coscienza dei rapporti tra deboli e forti. Paolo allude alle differenze di comportamento che esistono tra i membri delle stesse comunità cristiane, compresa quella di Roma. Alcuni individui sono forti nella fede e, di conseguenza, anche nelle altre prove della vita; altri appaiono deboli e abbisognano di essere sostenuti; perciò, raccomanda la solidarietà dei primi nei confronti dei secondi, quando questi vacillano per la debolezza del loro carattere. Al riguardo scrive: Testo “Ciascuno approfondisca le proprie convinzioni intellettuali. Chi si dà pensiero del giorno, si dà pensiero per il Signore; chi mangia, lo fa per il Signore perché rende grazie a Dio; e anche chi non mangia, non mangia per il Signore e rende grazie a Dio. in effetti nessuno di noi vive per se stesso, né muore per se stesso. Se viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore: quindi sia che viviamo, sia che moriamo, siamo sempre del Signore; per questo scopo, infatti, visse e morì Gesù Cristo per esercitare il dominio sui morti e sui vivi; ma tu perché condanni il fratello? O perché lo disprezzi? Tutti, infatti, saremo presentati davanti al tribunale di Dio. Sta scritto, infatti: Io vivo, dice il Signore: davanti a me si piegherà ogni ginocchio e ogni lingua riconoscerà Dio” (Rom, 14, 7-11).
“Ciascuno di noi renderà conto a Dio per se stesso. Mai giudichiamoci gli uni gli altri. Piuttosto datevi pensiero di non porre al fratello inciampo o scandalo. Penso che non ci sia nessuna cosa impura di per se stessa, se no per chi la considera tale e per lui lo è veramente. In tal caso non rovinare i rapporti con tuo fratello a causa del cibo che mangi o non mangi…. Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma giustificazione, pace e gioia sotto l’influsso dello Spirito Santo. Chi serve a Cristo in questo è gradito a Dio e ritenuto valido dagli uomini. Perciò diamoci da fare per le cose riguardanti la pace e l’edificazione reciproca. Non distruggere a causa del cibo l’opera di Dio. Tutto è puro, ma è male per chi mangia a causa dello scandalo E’ bello non mangiare carne, né bere vino, né fare alcunché per cui il tuo fratello possa prendere occasione d’inciampo. Hai fede: mantienila secondo te stesso davanti a Dio. Beato chi non giudica se stesso in ciò che approva. Chi invece distingue, se mangia è già condannato perché fa ciò non in forza della fede: ora tutto quello che non viene dalla fede è peccato” (Rom, 14, 12-23).
Nel capitolo quindicesimo l’Apostolo, come fa in altre parti del suo epistolario, riprende il tema già trattato nel capitolo precedente: le relazioni umane all’interno della comunità tra deboli e forti. Tra questi ultimi, Paolo, consapevole della sua missione apostolica, ci si mette in mezzo lui stesso, sostenendo:
Testo: “Noi, che siamo forti, dobbiamo portare la fragilità dei deboli; e non piacere a noi stessi. Ciascuno di noi piaccia al prossimo per il bene di questi, in vista dell’edificazione. Anche Cristo infatti, non piacque a se stesso ma come sta scritto, gli oltraggi di quelli che ti oltraggiano ricaddero su di me (Sl 69,10). Infatti tutto quanto è stato scritto prima , è stato scritto per nostro ammaestramento, in modo che per mezzo della costanza e della consolazione che ci vengono dalla Scrittura, noi abbiamo la speranza. Il Dio poi della speranza e della consolazione vi conceda di avere nelle vostre relazioni reciproche le stesse aspirazioni secondo Gesù Cristo, in modo che con un solo cuore e un’unica bocca glorifichiate Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Accoglietevi a vicenda come Cristo accolse noi nella gloria di Dio. Voglio dire che Cristo è divenuto il servitore dei circoncisi per la veracità di Dio, compiendo le promesse fatte ai padri; i pagani, invece, glorificano Dio per la misericordia secondo quanto sta scritto:
Per questo ti loderò in mezzo ai pagani/e canterò la gloria del tuo nome. E di nuovo dice: gioite, nazioni, insieme al suo popolo. E inoltre: lodate il Signore tutte le genti/ lo celebrino tutti i popoli (= Laudate Dominum omnes gentes; Laudate eum omnes populi …).
E ancora Isaia dice: Verrà il germoglio della radice di Isai/ colui che sorge a dominare le nazioni/le genti sperereranno in lui. “Il Dio della speranza vi ricolmi di ogni gioia e pace nel credere, in modo che voi abbondiate nella speranza in forza dello Spirito Santo” (Rom 15, 1-13).
Osservazioni: In questo paragrafo, Paolo esprime la fiducia che la comunità cristiana di Roma sia abbastanza matura nella fede e autosufficiente nell’organizzazione interna, in modo tale che sappia gestirsi da sola nelle pratiche del culto e nei rapporti sociali. Tuttavia, dichiara di aver scritto la Lettera con una certa audacia per due motivi: primo, per ricordare loro i doveri dei cristiani, che essi già conoscono; secondo, per la responsabilità che gli stata affidata di evangelizzare i pagani. Questo è il suo merito e il suo vanto. Testo: “Non avrei osato parlare di questo, dice l’Apostolo, se Cristo non avesse operato in me con parole e opere, con segni e prodigi e con la potenza dello Spirito per condurre i pagani alla fede. In forza di questa missione, partendo da Gerusalemme e muovendomi a largo raggio fino all’Illirico, ho portato a termine l’annuncio del Vangelo di Cristo. Posso attribuirmi, come punto di merito, di aver annunciato il Vangelo là dove ancora non era giunto il nome di Cristo, in modo da non costruire sul fondamento già posto da un altro. Ma come sta scritto: lo vedranno quelli ai quali non era stato annunciato/ e quelli che non ne avevano udito parlare comprenderanno. (Rom 15, 17-22).
“Anche per questo sono stato impedito molte volte di venire da voi; ora però, non avendo più opportunità di lavoro in questa zona (perché ormai aveva già evangelizzato l’Oriente: Asia, Grecia e Macedonia), e avendo da molti anni il desiderio ardente di venire da voi, volendo recarmi in Spagna … ; spero infatti di vedervi passando da voi e di essere da voi indirizzato colà, se però prima, almeno in parte, avrò gustato, fino a saziarmi la vostra presenza. Ma ora mi metto in viaggio verso Gerusalemme per rendere un servizio ai santi. E’ parso bene, infatti, alla Macedonia e all’Acaia di fare una colletta per i poveri che si trovano tra i santi di Gerusalemme. E’ parso loro bene: sono infatti anche debitori verso di essi. Se infatti i Gentili sono venuti a far parte dei beni spirituali di quelli, devono rendere loro un servizio sacro per quanto concerne i beni materiali. Quando avrò condotto a termine tutto questo e presentato loro ufficialmente questo frutto, mi recherò in Spagna, passando da voi. So poi che, venendo da voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo” (Rom, 15, 22-29) .
Commento: Paolo vuole tornare presto, possibilmente per la Pentecoste, a Gerusalemme per portare ai poveri santi di quella città le offerte materiali che i volontari cristiani della Macedonia e dell’Acaia (Grecia) hanno fatto attraverso una colletta spontanea. Si tratta di beni fatti in regalo dai Gentili neoconvertiti come segnale di riconoscenza anche verso i missionari, dai quali hanno ricevuto i doni spirituali, il più grande dei quali è stato il dono della fede. Pertanto, appare doveroso che essi siano stati riconoscenti con altri beni, necessari a soddisfare i bisogni materiali dei poveri e degli stessi missionari. Dopo aver compiuto gli adempimenti del suo programma, l’Apostolo conta di andare in Spagna e, durante il viaggio, pensa di fermarsi a Roma per visitare la comunità cristiana, destinataria della sua missiva. (Ma come sappiamo dagli Atti degli Apostoli, a Gerusalemme accaddero altri fatti imprevisti e imprevedibili (la rivolta dei nemici e l’arresto di Paolo) che scompaginarono completamente i programmi dei viaggi dell’Apostolo). A conclusione del suo messaggio egli rivolge ai Romani la seguente allocuzione:
“Vi esorto, fratelli, in grazia di Gesù Cristo, nostro Signore e in grazia dell’amore effuso su di noi dallo Spirito Santo, a lottare insieme a me, nelle preghiere che per me rivolgete a Dio, affinché io sia difeso contro coloro, in Giudea, che non credono e affinché il servizio che io presto andando a Gerusalemme risulti gradito ai santi; in modo che venendo a voi in uno stato di gioia, in forza della volontà di Dio, possa riposarmi e rinfrancare il mio spirito con voi. Che il Dio della pace sia con tutti voi. Amen”.
Osservazioni: Il capitolo sedicesimo, che costituisce una specie di appendice del documento generale, contiene i saluti e le raccomandazioni finali, che l’Apostolo rivolge ai destinatari della sua missiva. Paolo manda i saluti e le sue premurose raccomandazioni per tutti quelli che erano stati suoi collaboratori e amici nelle sue precedenti campagne di missione.
Testo: “Vi raccomando Febe, la nostra sorella, che è anche attualmente diaconessa nella chiesa di Cencre: accoglietela nel nome del Signore, in maniera degna dei santi, assistendola in ogni affare in cui possa avere eventualmente bisogno di voi: essa infatti è stata di aiuto e protezione in molti casi, per molti, e anche proprio nei riguardi miei . Salutate Prisca e Aquila, che hanno collaborato con me in unione con Cristo Gesù: essi, per salvare la mia vita, hanno offerto il proprio collo alla spada (riferimento al tumulto di Efeso, scatenato dall’argentiere Demetrio?) ; non li ringrazio io soltanto, ma tutte le chiese dei Gentili. Salutate anche la comunità che si raduna a casa loro. Salutate Epeneto, a me particolarmente caro, che rappresenta le primizie dell’Asia offerte a Cristo. Salutate Maria che ha molto lavorato per voi. Salutate Andronico e Giunia, della mia stessa stirpe, che sono stati prigionieri insieme a me; essi si sono segnalati tra gli apostoli, e si sono uniti a Cristo prima di me. Salutate Ampliato, a me carissimo, in unione al Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in unione con Cristo, e il nostro amato Stachi. Salutate Apelle, provetto in Cristo. Salutate quelli della casa di Aristobulo. Salutate Erodione della mia stessa stirpe; salutate quelli della casa di Narcisso che sono uniti a noi nel Signore. Salutate Trifena e Trifosa che si danno da fare per il Signore; salutate la carissima Perside, che faticò molto per il Signore. Salutate Rufo, l’eletto del Signore, la madre sua e mia. Salutate Asincrito, Flegonte, Ermete, Patroba, Erma, e i fratelli che sono con loro. Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpia e tutti i santi che sono con loro. Salutatevi reciprocamente col bacio santo. Vi salutano tutte le varie comunità della Chiesa unite in Cristo.
Vi esorto poi, fratelli, a guardarvi da coloro che suscitano divisioni faziose e intralci contro a dottrina che voi avete imparato: evitate costoro! Gente come loro, infatti, non servono a Cristo, nostro Signore, ma alla loro cupidigia personale, e con parole carezzevoli e promesse di benedizioni, ingannano l’animo dei semplici. La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti. Gioisco quindi per causa vostra, ma voglio che voi siate saggi per il bene e immuni del tutto dal male. Il Dio della pace schiaccerà Satana sotto i vostri piedi, presto! La benevolenza del Signore nostro Gesù sia con tutti voi. Vi saluta Timoteo, il mio collaboratore; Lucio, Giasone e Sosipatro, della mia stessa stirpe. Vi saluto in unione col Signore, io, Terzo, che ho scritto la lettera. Vi saluta Caio, ospite mio e di tutta la comunità. Vi saluta Erasto, tesoriere della città e il fratello Quarto” (Rom, 16, 1-23).
Commento: Nella lunga lista dei raccomandati, la prima indicata è la diaconessa Febe, per la quale chiede adeguata accoglienza e assistenza in quanto, in precedenza, ella aveva aiutato e assistito, anche materialmente, molti cristiani, compreso lo stesso apostolo Paolo. Seguono i saluti ai due coniugi, Prisca e Aquila che, per salvare lui e gli altri cristiani dal tumulto di Efeso, avevano rischiato la loro vita. (Probabilmente allude al tumulto scatenato dall’argentiere Demetrio contro Paolo, che aveva osato screditare la figura della dea Artemide e degli altri dei pagani; l’evento, per altro, è narrato, con dovizia di particolari, negli Atti degli Apostoli). Seguono i saluti per gli altri collaboratori: Epeneto, Maria, Andronico e Giunia, che l’Apostolo definisce “della mia stessa stirpe”, evidentemente Giudei come lui. Segue una lista di oltre una dozzina di nomi di collaboratori, amici e santi nella fede, attivi seguaci delle comunità cristiane già costituite in Oriente. Segue l’esortazione dell’Apostolo ai destinatari della missiva affinché si guardino bene da coloro che suscitano divisioni e intralci contro la dottrina, che essi avevano già imparato a conoscere. Evitino queste persone perché esse non servono a Cristo, ma a soddisfare la loro stessa cupidigia personale perché, con false promesse e adulazioni, ingannano l’animo dei semplici. Si complimenta con i destinatari per l’obbedienza alla fede. Esorta i fedeli ad essere saggi nel fare opere di bene e nel fuggire il male. Poi l’auspicio: “La benevolenza del Signore nostro Gesù sia con tutti voi”. Seguono i saluti di Timoteo e di altri stretti collaboratori dell’Apostolo, tra i quali uno che scrive: “Vi saluto in unione col Signore io, Terzo, che ho scritto la Lettera”. Evidentemente si tratta dell’amanuense che ha scritto la Lettera sotto dettatura dell’Apostolo. Egli ha ritenuto opportuno mandare, di proprio pugno, il suo saluto ai posteri, a sua imperitura memoria.
Dossologia finale
“A colui che può darvi stabilità nella condotta di vita conforme al mio Vangelo, conforme all’annuncio che ha per oggetto Gesù Cristo – secondo la rivelazione del piano misterioso taciuto per una durata indeterminata, ma reso noto e fatto conoscere adesso, per mezzo delle Scritture profetiche, secondo l’ordinamento stabilito da Dio eterno, per portare l’obbedienza della fede a tutte le nazioni – a Dio unico e sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, a Lui la gloria per tutti i secoli! Amen” (Rom, 16, 25-27).
Secondo la concezione del Vecchio Testamento, l’uomo giusto è colui che è timorato di Dio, è intimamente religioso e scrupoloso osservante della legge divina.
Applicando questo concetto al Nuovo Testamento, Paolo parte da una premessa: non tutti gli uomini sono a conoscenza della legge; e tra quelli che la conoscono (i Giudei), non tutti la osservano scrupolosamente. Quelli che conoscono la legge e non la rispettano, peccano più gravemente di quelli che non la conoscono. Pertanto, abbandonato a se stesso, l’uomo non riesce a conformare la sua condotta di vita alla norma voluta da Dio, a causa della debolezza della natura umana. Questa debolezza congenita dell’umana natura deriva dal peccato originale, che ha trasmesso, all’intera specie umana, la colpevole l’affinità ontologica all’eredità di Adamo. Al peccato originale, inoltre, si aggiungono i peccati personali, che inevitabilmente seguiranno. Pertanto, lasciato a se stesso, l’uomo si trova in una condizione di peccato e di desolazione spirituale tale che, lo porta inevitabilmente a uno stato di morte eterna.
Davanti a questa sua triste situazione, di sofferenza e di condanna spirituale senz’appello, per fortuna, abbiamo l’intervento salvifico di Dio. E’ un intervento gratuito, determinato dalla benevolenza divina, che si realizza soltanto attraverso Gesù Cristo. Confidando in Lui e aderendo con fede sincera al suo messaggio di salvezza, l’uomo ottiene da Dio la giustificazione che lo salva dai suoi peccati. Praticamente, la giustificazione lo sottrae all’affinità ontologica di Adamo e lo promuove all’affinità ontologica di Cristo. Con la giustificazione, che gli conferisce la fede, ottiene una nuova vita nello Spirito, che gli offrirà le risorse morali e spirituali necessarie per seguire un altro cammino e osservare una nuova norma, indicati, appunto, dalla legge dello Spirito. Questa riverserà in lui l’abbondanza dei doni messianici e la giustificazione che riceverà, innesterà in lui un percorso pedagogico virtuoso nella strada della salvezza, portandolo alla progressiva perfezione spirituale che, a sua volta, lo condurrà all’escatologia finale nel regno dei giusti.
SOMMARIO
Cap.I°: Come nelle altre sue lettere, l’Apostolo esordisce con i saluti e l’autopresentazione ai suoi destinatari: i credenti della comunità cristiana di Roma. Egli ancora non li conosce perché questa comunità non è stata fondata da lui, come quelle dell’Oriente e della Grecia. Perciò ci tiene a presentarsi in anteprima con il merito delle sue migliori credenziali: quelle di aver evangelizzato il mondo pagano dell’Asia, della Macedonia e della Grecia. Adesso sente il desiderio di conoscere questi nuovi fedeli per comunicare loro “qualche dono spirituale e gioire insieme per la comunanza della fede”.
Afferma che il Vangelo è un’energia spirituale che promana da Dio e opera universalmente tra gli uomini per salvare tutti e ciascuno, Giudeo o Greco (pagano) che sia. Gli uomini, beneficiari della salvezza e degli altri doni che il Signore aveva loro liberalmente profusi, anziché essere grati e devoti a Dio per i beni ricevuti, “scambiarono la gloria di Dio con le sembianze dell’uomo corruttibile, di volatili, di quadrupedi, di serpenti” (1, 21-23). Per questo Dio li ha abbandonati alle loro sbrigliatezze e alle loro passioni ignominiose; ed essi compirono ogni malvagità, cupidigia, malizia, invidia, omicidio, lite, maldicenza, calunnia; superbi, orgogliosi, ribelli ai loro genitori, senza intelligenza, senza amore, senza misericordia. Conoscono la legge di Dio, ma non la rispettano e, quel che è peggio, inducono anche gli altri a non rispettarla. Per questo essi sono degni di morte” (1, 26-32).
Cap. II: In questo capitolo, Paolo lancia una delle sue tante invettive contro i Giudei (suoi connazionali ma nemici nella fede in Cristo). Al riguardo egli dichiara: “E tu Giudeo che giudichi severamente gli altri per le loro azioni non rette, per lo stesso motivo condanni te stesso perché sei reo delle stesse colpe, di cui accusi gli altri. O credi di poter sfuggire alla giustizia divina? Quando essa si abbatterà sulle nostre teste, i giusti riceveranno il premio con la vita eterna, ma per i malvagi ci sarà ira e sdegno con il castigo eterno, chiunque esso sia, Giudeo o Greco” (2, 1-10). Non basta conoscere la legge, l’importante è metterla in pratica per essere chiamati giusti. I pagani, che non conoscono la legge mosaica ma rispettano la legge della natura, dettano legge a se stessi , perché le finalità della legge positiva possono essere raggiunte osservando le leggi della natura. Infatti, i dettami della ragione umana sono altrettanti doni dati all’uomo dal Creatore. Tutto questo accadrà il giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini, secondo il Vangelo che predica Paolo. ” Se poi tu Giudeo, che ti vanti di essere la legge e ti credi guidatore di ciechi e dottore d’ignoranti; tu che dici di non rubare ma rubi; tu che disapprovi l’adulterio, ma lo compi; tu che dici di avere in orrore gli idoli, ma spogli i templi; tu, con le tue trasgressioni, disonori Dio. La circoncisione ha valore se tu rispetti e applichi la legge, altrimenti essa non ha alcun valore. Il vero Giudeo non è quello che appare all’esterno, ma quello che è veramente nella sua coerenza interiore. la vera circoncisione che conta non è quella che appare sulla carne, ma quella che porti nel cuore” (2, 1-29).
Cap. III° Le prerogative dei Giudei
In questo capitolo l’Apostolo continua a sviluppare l’argomento iniziato nel capitolo precedente sulla polemica antigiudaica. Si chiede: “Quali vantaggi porta l’essere Giudeo? Indubbiamente molti, se rettamente intesi, egli risponde. Anzitutto a loro è stata affidata la parola di Dio; e, nonostante l’infedeltà di molti, Dio è sempre fedele con il suo popolo. Secondo la legge, tutti gli uomini, Giudei e Greci, sono sotto il dominio del peccato; secondo la legge, infatti, nessun uomo, nel proprio stato di debolezza ontologica, verrà giustificato davanti a Dio.
Credere per fede
Ma a prescindere dalla legge, la giustizia di Dio, testimoniata dai Profeti dell’Antico Testamento, si è rivelata per mezzo della fede in Gesù Cristo e si è riversata in tutti quelli che credono in lui. Tutti gli uomini, senza alcuna distinzione, hanno peccato, ma vengono giustificati per un benevolo favore di Dio, in forza della redenzione che ha portato Gesù Cristo. L’antica legge non verrà abolita, ma modificata e integrata con la nuova legge dello Spirito (cfr. Mt 5, 17-20 e Lc 16, 17).
Cap. IV La fede di Abramo
La Sacra Scrittura dice: “Credette Abramo a Dio e la sua fede gli fu computata a giustificazione. Questo avvenne quando egli non era stato ancora circonciso. Fu allora che ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustificazione, ottenuta attraverso la fede, affinché fosse padre di tutti gli uomini che credono, anche senza essere stati circoncisi. (Questa è stata la tesi forte che Paolo sostenne come Apostolo delle Genti (gentili). Egli operò seguendo sempre questa linea che, d’altronde, era stata già autorizzata dal primo Concilio Apostolico di Gerusalemme, durante il quale le voci più autorevoli, Pietro, Giacomo, Giovanni avevano sostenuto la tesi di Paolo e Barnaba, di ammettere direttamente i pagani alla nuova fede, anche senza passare attraverso un tirocinio d’iniziazione nelle fede giudaica e senza essere sottoposti all’obbligo della circoncisione; e questo è il motivo dell’eterno contrasto dell’Apostolo con i Giudei e Giudaizzanti, che gli costò lotte continue, nonché le dolorose esperienze di sottoporsi a giudizi nei tribunali e alla detenzione in carcere, fino ad appellarsi a Cesare a Roma).
Abramo credette contro ogni speranza, in modo da diventare padre di tutte le nazioni, secondo quanto gli era stato detto. La sua fede non vacillò neppure quando si trovò davanti alla alla scelta che sembrava cosa impossibile realizzare; cioè quando il suo corpo era privo di vitalità e devitalizzato era anche il seno della moglie Sara a causa dell’anziana età, tuttavia egli credette alla promessa di Dio. Egli era profondamente convinto del fatto che la potenza di Dio tutto può fare, anche quello che appare impossibile all’impotente sguardo umano; e la sua profonda fede gli fu computata a giustificazione, non solo a lui, ma anche a noi, suoi eredi. Tutto questo se noi crediamo in Colui che ha risuscitato il nostro Signore Gesù Cristo dalla morte, sacrificato per la nostra redenzione dal peccato.
Cap. V La Giustificazione vissuta
Nel capitolo quinto, l’Apostolo incentra il discorso sul tema della giustificazione nelle esperienze della vita pratica. Avendo ottenuto la giustificazione per il gratuito sacrificio di Cristo, abbiamo anche la pace in vita e la speranza della gloria futura. “Come a causa di un solo uomo (Adamo) il peccato entrò nel mondo e la morte dilagò tra tutti gli uomini, così la benevolenza di Dio e il dono gratuito del sacrificio di un solo uomo, Gesù Cristo, sovrabbondò la grazia della giustificazione … Come a causa della disobbedienza di un solo uomo molti furono costituiti peccatori, così attraverso la sovrabbondanza di un solo uomo, molti furono costituiti giusti … Dove si moltiplicò il peccato, sovrabbondò la grazia affinché, come regnò il peccato nella morte, così regni la grazia della giustificazione per la vita eterna (5, 12-21). Bene inteso che l’Apostolo, quando parla di vita o di morte, non intende la vita o la morte in senso fisico, ma la vita e la morte dello Spirito. La morte che toglie la vita spirituale, la grazia di Dio che ridona la vita dello Spirto, a garanzia della vita eterna.
Cap. VI La giustificazione compiuta con il battesimo esclude il peccato
In questo capitolo l’Apostolo sostiene la tesi, secondo cui, il battesimo toglie il peccato. Infatti, al riguardo dichiara: “Chi muore è stato giustificato e liberato dal peccato. Se noi morimmo con Cristo, crediamo che vivremo con lui, ben sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più perché egli vive in Dio. Così è anche per voi, se reputate di essere morti al peccato e viventi in Dio, in unione con Cristo. Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale, obbedendo ai suoi impulsi sfrenati, le vostre membra non siano come armi di iniquità per il peccato, ma offrite voi stessi e le vostre membra come armi di giustizia a Dio… Ora che siete stati liberati dal peccato e resi schiavi di Dio, raccogliete i frutti della giustificazione, il cui termine è la vita eterna. La ricompensa del peccato è la morte, il dono della grazia di Dio è la vita eterna.
Cap. VII L’uomo è liberato dalla schiavitù della legge.
In questa sezione Paolo parla dei diritti e dei doveri dei coniugi. In sostanza, il suo ragionamento sostiene che un individuo, maschio o femmina che sia, quand’è sposato, deve restare fedele al suo partner; ma se l’uno dei due dovesse morire, il coniuge superstite può sposarsi nuovamente con un nuovo compagno o compagna. Ma, se essendo ancora in vita il proprio coniuge, un uomo o una donna sposati si concede a un partner estraneo, colui che tradisce il coniuge vivente è un adultero o un’adultera. Quand’eravamo sotto il dominio della legge, eravamo esposti all’assalto delle passioni più sfrenate, che erano causa di peccato perché i divieti imposti, paradossalmente, inducevano, non tanto al freno imposto dalla legge, quanto alla sua violazione per soddisfare i propri desideri inconfessati. Ma adesso che siamo stati liberati dalla legge, siamo stati liberati anche dall’assalto delle passioni peccaminose e viviamo liberi sotto la nuova legge dello spirito. Paolo continua, poi, il suo discorso facendo un’anali psicologica sulle contraddizioni dell’animo umano. “Non capisco quello che faccio. Non faccio quello che voglio, mentre faccio quello che non voglio. Proprio perché faccio quello che non voglio, riconosco la bontà e la giustezza della norma. Ma se accade questo, non sono più io a fare il male che non voglio, ma è il peccato che inabita in me. Approvo la legge interiore dello spirito, ma c’è un’altra legge del corpo e della membra, che osteggia la legge della mente e mi rende schiavo del peccato. Allora, io, lo stesso Paolo, da una parte s’identifica con la legge di Dio, dall’altra, con il corpo serve la legge del peccato. Tuttavia, per coloro che sono uniti a Cristo, non vi è nessun motivo di condanna” (7, 15-25).
Cap. VIII Le appetizioni della carne e le aspirazioni dello spirito
In questo passaggio della missiva, l’Apostolo sostiene un serrato dibattito tra le due forze istintive dell’uomo, antagoniste tra di loro: le appetizioni della carne e le aspirazioni dello spirito. Per nostra fortuna, questa dicotomia istintuale è stata risolta dalla venuta di Gesù Cristo. Egli, vivendo nella stato carnale di affinità ontologica con i figli di Adamo, condannò il peccato nella carne, facendo trionfare la componente dello Spirito. “Infatti, i pensieri e i desideri della carne portano alla morte, mentre i pensieri e le aspirazioni della Spirito danno la vita e la pace. Quelli che vivono secondo la carne non piacciono a Dio perché non si sottomettono a lui. Voi (Romani) non siete in relazione con la carne, ma con lo Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Chi non ha lo Spirito di Cristo non appartiene a lui … Se lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù dai morti abita in voi, come Egli risuscitò Gesù, così darà la vita anche ai vostri corpi mortali e lo farà in forza dello Spirito che inabita in voi per vivere secondo lo Spirito. Infatti riceveste lo spirito di adozione a figli, in unione col quale gridiamo Abbà … Padre! Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi di Dio, coeredi di Cristo, dal momento che soffriamo con lui, possiamo essere anche glorificati con lui …..
Sappiamo che tutte le cose create gemono insieme e soffrono insieme le doglie del parto fino al momento presente; e non solo queste, ma anche noi che abbiamo il dono dello Spirito, gemiamo in noi stessi in attesa dell’adozione a figli, del riscatto del nostro corpo. Lo Spirito ci soccorre nella nostra debolezza e viene in nostro aiuto con preghiere e gemiti inespressi. Dio che scruta i cuori, conosce i pensieri segreti di ognuno di noi e intercede per i Santi. Noi stessi, che ascoltiamo la voce dello Spirito, sappiamo che quelli che amano Dio saranno anche chiamati da lui … Se siamo stati salvati, allora Dio è con noi e nessuno potrà essere contro di noi. Se per la nostra salvezza Dio ha sacrificato il suo figlio unigenito, che cosa potrà negarci? Chi sarà l’accusatore contro gli eletti di Dio? Se Cristo è morto, risuscitato, siede alla destra del Padre e intercede per noi, chi ci separerà dall’amore che Egli ha per noi? (8, 6-35).