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Scritto Da Felice Moro il giorno 08 Gen 2009

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L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)

 

La lettera di San Paolo a Tito

Posted By Felice Moro on Ottobre 22nd, 2022

Introduzione

Ben poco sappiamo di quest’allievo e collaboratore di San Paolo nelle campagne missionarie per l’evangelizzazione dei Pagani. Ignorato completamente negli Atti degli Apostoli, le poche notizie che si hanno di lui provengono dai lapidari riferimenti che ne fa soltanto l’epistolario paolino. Pare che egli fosse figlio di genitori pagani e che sia stato convertito e battezzato dall’Apostolo stesso in uno dei suoi primi viaggi missionari. Il giovane catecumeno si affeziona a Paolo e lo segue nella sua missione apostolica, per cui, insieme a Timoteo, diventa presto uno dei suoi più validi collaboratori nelle campagne d’Oriente: Asia, Macedonia e Grecia.

Anche l’Apostolo lo apprezza molto, tanto che lo chiama affettuosamente “figliolo verace secondo la fede comune” (Tt 1, 4). Dell’unità d’intenti nello spirito e negli impegni di lavoro è una prova la fiducia che l’Apostolo ha riposto in lui, dato il fatto che se l’è portato con sé, insieme a Barnaba, al Concilio di Gerusalemme (49-50 d. C.). Questa fu la prima grande assise dei vertici apostolici della Chiesa nascente, dove furono stabilite le linee-guida fondamentali per l’evangelizzazione cristiana nel mondo. In particolare furono stabilite norme e strategie per la conversione al cristianesimo dei Pagani, senza obbligarli a sottoporsi a un assurdo tirocinio nella Legge mosaica, osservando le norme e i riti pignoleschi dell’Antico Testamento, come quello della circoncisione; in quel Concilio della Chiesa nascente, inoltre, fu deciso di affidare il compito della conversione dei Pagani all’iniziativa di  Paolo e Barnaba, mentre alla conversione dei Giudei avrebbe provveduto Pietro con i vertici della Chiesa di Gerusalemme; il tutto sotto la regia propulsiva e organizzativa delle missioni della Chiesa di Antiochia di Siria.

Durante il secondo viaggio missionario troviamo Tito, insieme al maestro, a Corinto. Quell’occasione gli consente di farsi conoscere dalla gente del posto e di crearsi una buona base di amicizie nella città dell’istmo. Per questa sua esperienza di vita e di predicazione sulla via dell’Apostolo, durante il terzo viaggio missionario, fu mandato da Paolo, come mediatore di pace, tra lui e la comunità cristiana di quella città. Lo scopo era quello di ristabilire buoni rapporti di collaborazione, dopo alcune incomprensioni e malumori, che erano sorti tra l’Apostolo e i Corinzi, non si sa bene per quali questioni (2Co 2,13 e 7,6). Avendo avuto successo la sua mediazione, Tito si affretta a portare la buona notizia al maestro che, nel frattempo, era dovuto scappare da Efeso, a causa della rivolta degli argentieri, capeggiati dall’artigiano Demetrio (At 19,23-29) e riparare in Macedonia (2Co 7, 5-6). Infatti, per premiarlo di questo suo successo, gli viene affidato l’incarico di organizzare la colletta per raccogliere i fondi in favore dei poveri di Gerusalemme (2Co 8, 6-17; 12,18).

Dalle indicazioni che ne dà l’Apostolo, emerge una figura dalla personalità altamente positiva: pronto, intuitivo, generoso, razionale, uomo di pace, che vuole, cerca e costruisce rapporti di pace con tutti; bravo paciere tra le comunità cristiane, spesso afflitte da dissidi interni. Per queste sue umane capacità conciliative, l’Apostolo lo stima degno di fiducia e di provata capacità strategica, adatto a ritessere i rapporti sfilacciati da conflitti e divergenze di vedute tra i fedeli della primitiva Chiesa cristiana. Per questo Paolo gli affida spesso incarichi importanti e delicati da compiere tra le comunità cristiane divise o riottose, anche a causa della confusione e del disordine sparsi tra la gente dai “falsi profeti” che pullulano ovunque: in Asia, in Grecia e in Macedonia. Per tutti questi suoi meriti, Paolo, nell’ultimo suo viaggio in Oriente, compiuto dopo la prima prigionia romana, intorno al 66 d.C., lo propone presbitero e poi vescovo dell’isola di Creta, dove si dice sia morto all’età di 93 anni.

La Lettera a lui dedicata, come la prima Lettera a Timoteo, sono lettere di carattere pastorale, dove l’Apostolo insegna, dà consigli e guida il discepolo a organizzare l’amministrazione della diocesi, ordinata secondo le regole del Vangelo che egli stesso predica, senza sviamenti di sorta.

Capitolo primo

Indirizzo

Paolo, servo di Dio, Apostolo di Gesù Cristo in favore della fede degli eletti di Dio e della conoscenza della verità conforme alla pietà, in vista della speranza della vita eterna che Iddio, il quale non mentisce, ha promesso fin dai tempi eterni, ed ha manifestato nei tempi stabiliti mediante la sua parola, cioè mediante la predicazione, della quale sono stato incaricato per comando del Salvatore nostro Iddio, a Tito, figliolo verace secondo la fede comune: grazia e pace da Dio Padre e da Gesù Cristo nostro Salvatore” (Tt 1, 1-4).

Commento: Paolo qui esordisce con una solenne dedica teologica sulla carica apostolica di cui ha appena investito il suo allievo e fedele collaboratore Tito. Con questa impegnativa motivazione teologica e missionaria insieme, forse l’Apostolo, a prescindere dalla figura e dal ruolo di Tito, vuole mandare un segnale forte della fede autentica alla comunità di Creta, spesso agitata e disorientata dai soliti perturbatori di turno, i “falsi dottori” che gareggiano per arrogarsi cariche e funzioni che nella Chiesa non hanno.

Contro costoro, Paolo rivendica la sua legittimità apostolica alla predicazione autentica della parola di Dio. Così, riaffermando il suo ruolo e la sua funzione di apostolo di Dio, Paolo legittima e consolida la figura di Tito come suo rappresentante e guida spirituale della comunità. Solo qui Paolo si autodefinisce “servo di Dio”, locuzione frequente usata per indicare i grandi profeti dell’Antico Testamento. Di solito egli preferisce definirsi “servo di Gesù Cristo” o semplicemente “servo di Cristo” in (Rm1,1; Fl 1,1; Ga1,10).

La predicazione, cui l’Apostolo fa riferimento, ha un duplice significato: la conoscenza sempre più approfondita delle verità di fede in Dio, che ci ha “eletti in Cristo fin dal momento della Creazione del mondo” (Ef, 1, 3-6) e l’esortazione a tenere viva la speranza nella vita eterna.

Le qualità richieste dai sacri ministeri

Intanto l’Apostolo continua il suo discorso:

Testo: “Per questo ti ho lasciato a Creta, allo scopo di mettere in ordine quanto rimaneva (da completare) per stabilire dei presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni da me ricevute. Ognuno di loro sia irreprensibile, sia marito di una sola moglie, abbia figli credenti, che non siano accusati di vita dissoluta, non siano insubordinati.

Bisogna, infatti, che l’episcopo, in quanto amministratore di Dio, sia irreprensibile, non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di vile guadagno; al contrario, sia ospitale, amante del bene, saggio, giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla parola sicura secondo la dottrina (trasmessa), per essere capace, sia di esortare nella sacra dottrina, sia di confutare quelli che vi si oppongono” (Tt 1, 5-9).

Commento: Lasciando la comunità di Creta, Paolo affida a Tito il compito di completare la sua opera e, in modo particolare, l’insegnamento della sana dottrina e la creazione di presbiteri nelle diverse città. Sono i provvedimenti basilari per poter avviare la necessaria organizzazione della gerarchia presbiteriale per la funzionalità della Chiesa. Non si sa quando l’Apostolo abbia creato le prime comunità cristiane nell’isola. Di sicuro ha sostato in quella terra per qualche tempo durante il quarto viaggio missionario verso Roma, poco tempo prima del naufragio a Malta, narrato, con dovizia di particolari e grande partecipazione emotiva, negli Atti degli Apostoli (At 27, 14-44). Poi è stato nell’isola quando ha investito Tito della carica episcopale di quella comunità, dandogli anche le necessarie istruzioni per la scelta dei presbiteri da nominare in ciascuna delle comunità cittadine. Quindi gli fa l’elenco delle virtù che gli uomini di Chiesa devono possedere e, in negativo, l’elenco dei vizi che non devono avere. Grosso modo ripete lo stesso elenco che, in precedenza, aveva già fatto a Timoteo, insediandolo nella carica episcopale di Efeso. Le virtù: ciascun amministratore ecclesiastico dev’essere irreprensibile, marito di una sola moglie, abbia figli credenti, non dissoluti, né insubordinati. L’episcopo, che è amministratore di Dio, sia irreprensibile, non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di vile guadagno; al contrario, sia ospitale, amante del bene, saggio, giusto, padrone di sé, attaccato alla parola sicura, secondo la dottrina (trasmessa), sia capace di esortare i fedeli alla conoscenza della vera dottrina, ma anche in grado di contrastare gli oppositori (Tm 3, 1-7).

I falsi dottori

Testo: “Vi sono, infatti, molti insubordinati, parolai ed ingannatori, soprattutto quelli che provengono dalla circoncisione: a costoro bisogna tappare la bocca, perché mettono in scompiglio intere famiglie, insegnando quanto non si deve, per amore di sordido guadagno. Del resto, uno di loro, proprio un loro profeta, ha detto: I Cretesi sono sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri. E tale testimonianza è verace.

Perciò riprendili severamente, perché siano sani nella fede e non si volgano a favole giudaiche o a precetti di uomini che voltano le spalle alla verità.

Tutto è puro per i puri; per quelli, invece, che sono contaminati e infedeli, niente è puro: che anzi, la loro stessa mente e la loro coscienza sono contaminate. Essi professano bensì di conoscere Dio ma, con le loro opere, lo negano, essendo abbominevoli, ribelli e inadatti per ogni opera buona” (Tt 1, 10-16).

Commento: Dal v.10 al v.16 l’Apostolo parla dei falsi dottori. Dice che essi provengono dalla “circoncisione”, perciò dichiara pubblicamente che essi provengono dal mondo giudaico, cioè appartengono alla sua stessa etnia umana, ma sono i suoi avversari nella fede, perché non hanno accolto la parola di Gesù. Essi sono qualificati come falsi dottori, predicatori di menzogne, avidi di danaro e perciò vanno energicamente combattuti.

Capitolo secondo

Doveri delle diverse categorie di persone

Testo: “Tu, però, insegna ciò che è conforme alla sana dottrina. Che i vecchi siano sobri, dignitosi, prudenti, sani nella fede, nella carità e nella pazienza. Anche le donne anziane abbiano un comportamento quale si addice ai santi; non siano malefiche, né schiave del molto vino, ma piuttosto maestre di bontà, per insegnare alle giovani ad essere sagge, ad amare i loro mariti e i loro figli, ad essere prudenti, caste, attaccate ai loro doveri domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché non sia vituperata la parola del Signore.

Esorta anche i più giovani ad essere prudenti in tutto, offrendo te stesso come modello di buone opere: purità nella dottrina, serietà (nella condotta), parola sana e incensurabile, affinché l’avversario sia confuso non trovando niente di male da dire nei nostri riguardi.

Gli schiavi siano sottomessi ai loro padroni in ogni cosa, cercando di piacere a loro, senza contraddirli; non li frodino, ma dimostrino loro la più sincera fedeltà, allo scopo di rendere onore in tutto alla dottrina del Salvatore nostro Iddio” (Tt 2, 1-10).

Commento: Un maestro d’anime, una guida spirituale come Tito, deve stare sempre attento a tutto e a tutti, agli atteggiamenti e ai comportamenti delle varie categorie di persone: i vecchi siano sobri, dignitosi e virtuosi; le donne anziane non siano malefiche, non si ubriachino, ma siano sagge, amino i mariti e i figli e li educhino alla pietà cristiana, abbiano un portamento come quello che si addice ai santi; i giovani siano prudenti, compiano le buone opere, seguano la pura dottrina; siano incensurabili, di modo che l’avversario non abbia niente da dire nei loro riguardi.

Agli schiavi si ricordino i loro doveri di obbedienza e fedeltà ai loro padroni. La loro pazienza e le loro virtù etiche insegneranno qualcosa di buono a tutti, in modo particolare ai loro padroni i quali, quando constateranno che la fede è una grande virtù per tutte le persone, simpatizzeranno per i credenti in Dio. Questo e ben altro prescrive la pastorale paolina!

La “scuola” dell’Incarnazione!

Testo: “E’ apparsa, infatti, la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, insegnandoci a vivere nel secolo presente con saggezza, con giustizia e pietà, rinunciando all’empietà e ai desideri mondani, in attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del grande Iddio e Salvatore nostro, Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi allo scopo di riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo che gli appartenga esclusivamente, zelante nel compiere opere buone. Queste cose predicale e inculcale, riprendendo (gli oppositori) con ogni autorità. Nessuno ti disprezzi” (Tt 2, 11-15).

Commento: Per Paolo la condotta morale degli uomini non è data da un insieme di norme etiche e morali da osservare perché imposte dall’esterno, da qualsiasi autorità o tradizione esse promanino, ma scaturisce dalle grandi motivazioni teologiche; e all’origine di tutto c’è il grande mistero dell’Incarnazione, che raggiunge il vertice con la morte in croce di Gesù, la sua risurrezione dal sepolcro e ora l’attesa della sua manifestazione finale (parusia). Questo sublime mistero può trovare una spiegazione soltanto con l’infinito amore che Dio ha per l’uomo, da cui s’impone la necessità per noi di far scaturire l’amore dell’uomo per il suo prossimo. È proprio da qui, non da imposizioni esterne, che bisogna partire per comprendere tutte le altre implicazioni pastorali, etiche e morali, che ne derivano nella vita del credente, i cui riferimenti espliciti sono rinvenibili nei Vangeli Sinottici: (Matteo 22,37-40; Marco 12,29-31; Luca 10,25-28).

In questo passaggio della sua missiva, in pochi concetti sostanziali, l’Apostolo ribadisce tutta la tematica della “giustificazione”, ricorrente nelle sue grandi lettere: ai Galati (Ga 2, 16; 3, 6-14); (Rm 1,16-17; 3, 19-24; 4,9,25); ai Corinzi. “È stata immolata la nostra Pasqua, Cristo! Celebriamo quindi la festa, non con lievito vecchio, né lievito di malizia e perversità, ma con azzimi di purezza e di verità …; (1Co 5, 8; “Non sapete che il vostro corpo è santuario dello Spirito Santo, che è in voi, che avete da Dio e che non appartenete a voi stessi?” (1Co 6, 19); … “Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto e fu risuscitato il terzo giorno, e apparve a Cefa, e poi ai Dodici …” (1Co 15, 3-4).

Capitolo terzo

Doveri generali dei cristiani

Il maestro prosegue illustrando il suo vademecum pastorale, che il discepolo dovrà osservare nella sua nuova funzione episcopale.

Testo: “Ricorda loro (fedeli) di essere sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti (a compiere) ogni opera buona, di non sparlare di nessuno, di non essere litigiosi ma arrendevoli, dimostrando piena comprensione verso tutti gli uomini.

Anche noi, infatti, un tempo siamo stati insensati, ribelli, fuorviati, asserviti a concupiscenze e voluttà di ogni genere, vivendo immersi nella malizia e nell’invidia, abominevoli, odiandoci a vicenda. Quando, però, apparve la benignità del Salvatore nostro Iddio e il suo amore per gli uomini, egli ci salvò, non in virtù delle opere che avessimo fatto nella giustizia, ma con un atto di misericordia gratuita, mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, che egli effuse sopra di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, affinché, giustificati per mezzo della sua grazia, diventassimo eredi della vita eterna secondo la speranza” (Tt 3, 1-7).

Commento: Il contenuto di questa sezione, che va dal v.1 al v. 7, in sostanza non fa altro che ribadire le stesse cose che l’Apostolo aveva già dette nel capitolo precedente e, in parte, anche in tanti altri punti del suo epistolario. C’è un forte richiamo dei credenti ai doveri e se ne dà la stessa giustificazione teologica, forse più ricca e ancora più articolata di quanto non avesse fatto prima.

Nei primi due versetti di questo brano, l’Apostolo ribadisce quanto aveva già detto altre volte nelle sue lettere: il rispetto per le autorità politiche e civiche, preposte al governo dei popoli e all’amministrazione delle comunità locali; poi allarga l’invito a compiere opere buone, a non sparlare di nessuno, a non essere litigiosi, ma razionali e comprensivi verso tutti gli uomini. Gli insistenti inviti dell’Apostolo a vivere tranquilli all’interno delle comunità probabilmente erano dovuti alla forte tentazione dei credenti d’interpretare il messaggio cristiano di libertà in maniera radicale e libertaria, anche nei confronti delle autorità civili, rasentando così il rischio di disordine e di insurrezioni, che portano all’anarchia sociale. Una ragione in più per vivere in pace nelle comunità e dare il buon esempio anche ai non credenti, sarebbe stata l’ammissione che anche i cristiani, prima della loro conversione, erano stati ribelli e peccatori. Ma quando apparve la benignità di Dio, nostro Salvatore, e il suo grande amore per gli uomini, egli ci salvò; e non per meriti di giustizia nell’esperienza di vita pregressa, pagana o giudaica, ma per un atto di misericordia e di amore gratuito, concedendo all’umanità il grande mistero dell’Incarnazione di Gesù. Allora egli ci concesse il “lavacro (il battesimo) di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, che effuse sopra di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore”. Il battesimo, quindi, non è soltanto un cerimoniale di purificazione esteriore del corpo, ma anche un atto di rigenerazione interiore con la profusione dello Spirito Santo, un rinnovamento totale dell’essere ontologico dell’uomo. Questo gesto di misericordia infinita ha compiuto Dio nei nostri confronti, “affinché fossimo giustificati per mezzo della sua grazia e diventassimo eredi della vita eterna”. Ma quest’eredità sublime, per adesso, è fruibile soltanto nella speranza.

Ultimi consigli a Tito

Avviandosi alla conclusione della sua missiva, l’Apostolo scrive:

Testo: “Queste parole sono degne di fede, ed io voglio che tu (le abbia a mente) e stia ben fermo riguardo a tali cose, affinché quelli che hanno creduto in Dio si diano premura di eccellere nelle opere buone. Tali cose, infatti, sono buone e utili agli uomini.

Procura, invece, di evitare sciocche investigazioni, genealogie, risse e polemiche riguardo alla Legge, perché sono cose inutili e vane.

Dopo un primo ed un secondo ammonimento evita l’uomo eretico, sapendo che un tale individuo è ormai pervertito e continuerà a peccare, condannandosi da se medesimo.

Conclusione

Quando ti avrò mandato Artema o Tichico, affrettati a raggiungermi a Nicopoli, perché lì ho deciso di passare l’inverno. Provvedi diligentemente di tutto l’occorrente per il viaggio di Zena, il giureconsulto, e di Apollo, affinché non manchi loro nulla. Anche i nostri devono imparare a eccellere nelle opere buone, per essere di aiuto nelle necessità, affinché non rimangano infruttuosi.

 Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede. La grazia sia con tutti voi” (Tt 3, 8-15).

Commento: Prima di licenziare la sua lettera, l’Apostolo richiama tutta l’attenzione del suo interlocutore e discepolo, Tito, a tenere bene a mente le istruzioni che gli ha appena date. Si tratta di “parole (consigli) degne di fede” cioè che riguardano i principi fondamentali della fede in Dio. Tito, nella sua missione apostolica, si tenga ben fermo nei principi autentici e fondanti della vera dottrina, che il maestro gli ha trasmesso con la parola e con l’esempio della vita vissuta. Questo per stimolare e guidare i credenti ad “eccellere nel compiere opere buone”. Egli eviti, piuttosto, le polemiche, le risse verbali, le discussioni inutili sulla Legge e tutte le questioni di carattere capzioso perché sono tutte cose inutili e vane.

A chi sbaglia, gli dia un primo ed un secondo ammonimento: se si ravvede, bene! Se non si ravvede, lo lasci perdere, perché l’uomo eretico, se è ormai pervertito, continuerà a peccare condannandosi da se stesso.

Poi Paolo ordina a Tito che, quando arriveranno da lui Artema o Tichico, si faccia sostituire nelle sue funzioni ed egli lo raggiunga a Nicopoli, dove l’Apostolo ha deciso di passare l’inverno.

Inoltre, Tito provveda diligentemente a fornire tutto l’occorrente per il viaggio al giureconsulto Zena (Zenodoro?) e al predicatore Apollo (che, molto probabilmente, dovevano essere i latori itineranti che dovevano portare la Lettera di Paolo a Tito). Proprio per questo, egli esorta il destinatario a fornire loro   tutto l’occorrente che serve per il viaggio come, d’altronde, già facevano i pagani e gli Ebrei. Pertanto, nell’equipaggiare i propri missionari, i cristiani non dovevano stare da meno dei non credenti.

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