
L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)
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La comunità cristiana di Colosse fu fondata insieme a quella di Laodicea e di Gerapoli, durante la missione apostolica di Paolo a Efeso, tra gli anni 54-57 d.C. Egli tace, come altrove, sui dati anagrafici del documento. Non dà alcuna indicazione né di luogo, né di tempo della sua redazione. I commentatori li deducono questi elementi indirettamente, sia dalle notizie riportate negli Atti degli Apostoli (At 18, 18-21; 19, 1-20), sia dalle citazioni che l’Apostolo fa nella lettera del suo collaboratore Epafra (Cl 1,7-8; 4, 12-13), calossese anche lui e protagonista diretto dell’evangelizzazione, non solo di Colosse, ma probabilmente anche di Laodicea e di Gerapoli. Le notizie sulla fondazione, l’attività e la salute di questa comunità sono contenute solo all’interno della lettera stessa, non altrove. Dal testo si evince che questa comunità, nell’insieme, si mantiene coesa, attiva e fedele osservante della dottrina e degli insegnamenti autentici che Epafra, sull’ombra di Paolo, aveva loro trasmesso fin dalla prima ora.
Con Paolo ci sono anche Onesimo, Tichico ed Epafra. Sembra che Onesimo sia il primo che torni a Colosse con un biglietto di raccomandazione per Filemone. Tichico, più tardi, porta la lettera di Paolo diretta alla comunità. Epafra era con Paolo per fargli compagnia durante la prigionia e, nello stesso tempo, informava l’Apostolo sulla tenuta della fede nella stessa comunità e, forse, anche nelle altre comunità vicine della Frigia. Pare che la lettera sia stata scritta proprio sulla base delle informazioni che gli davano questi suoi due collaboratori, Epafra e Onesimo. Nell’insieme sembra che la comunità viva in pace e in armonia al suo interno. Tuttavia, arrivano alle orecchie dell’Apostolo alcune notizie allarmanti che suscitano in lui alcuni sospetti. Egli teme che alcuni nemici cerchino d’insidiare l’autenticità della fede e la purezza della dottrina, perché un ristretto numero di persone non si attiene ai canoni ortodossi ricevuti e cercano vie alternative alla salvezza. Sono tutti germi di veleno sociale, seminato dalla filosofia della gnosi. D’altronde, essendo la lettera unica fonte a se stessa, i significati devono essere ricavati dal suo interno, dai suoi contenuti, come, per esempio, i significati degli elementi del mondo (Col 2, 8-20) e le potenze cosmiche (2, 8, 10-15). Le preoccupazioni più grandi, che suscitano i sospetti dell’Apostolo, sembra che siano diverse, tra cui: le ossessive osservanze alimentari, che certi Colossesi utilizzavano per le celebrazioni delle feste annuali, mensili e settimanali e la pratica della circoncisione.
Il sistema che <<la gnosi>> propone è una dottrina eclettica, dove confluiscono elementi di paganesimo ed elementi di giudaismo. Probabilmente le forme del culto provenivano dalle religioni misteriche, svolte in forma privata e rese attraenti dalla pratica della circoncisione e dal distacco dalle preoccupazioni del mondo. Non mancano elementi e coloriture del rigorismo giudaico e di influenze esoteriche (pratiche occulte, riservate agli iniziati, che non devono essere note agli estranei all’associazione o seta che le pratica.
Ma, qualunque siano le dottrine e culti che professano queste persone, Paolo li condanna tutti in blocco, perché contengono sempre elementi fuorvianti e inconciliabili con l’autentica professione della fede cristiana.
Chi crede in queste idee e si affida a questi culti misterici, perde Cristo e i benefici spirituali che egli ci ha dispensati con il suo sacrificio sulla croce. Chi è stato battezzato, è morto alle forze del mondo e alle seduzioni della carne, ma è risuscitato alla vita dello spirito. Il credente, per ottenere la salvezza che Cristo ci ha donato, non può cercare vie alternative alla genuina professione della fede cristiana.
Paolo è prigioniero, ma non dice dove, né quando è stata redatta la sua missiva, perché queste cose non interessano ai destinatari. Essi sappiano soltanto che il suo amore per il Vangelo gli è costato la prigionia. Ma non si preoccupa tanto della sua sorte, perché è ormai votato a tutto, compreso il martirio, quanto della salute della fede dei suoi fedeli. Le indicazioni di luogo e di tempo possono essere ricavate indirettamente dai contenuti di alto significato teologico e dottrinale del documento. Qualcuno ha dato la sua spiegazione in merito: “La lettera agli Efesini, la più prossima a quella dei Colossesi per stile, linguaggio e teologia, in molte parti sembra esserne il primo commento; ne chiarisce il pensiero e ne sviluppa le idee” (E. Peretto, Roma, 1984).
La ricchezza di contenuto e le ampie visioni teologiche che si trovano in Efesini suppongono in Paolo una lunga riflessione sulla rivelazione. Questo periodo di tempo non può essere quello della detenzione efesina, databile negli anni 53-54. Stile, idee e riscontri vari presuppongono l’esistenza degli altri importanti documenti paolini: la Lettera ai Galati, le due Lettere ai Corinzi e la Lettera ai Romani … Le forti affinità della Lettera agli Efesini e i riscontri con il biglietto a Filemone rendono improbabile la redazione durante la detenzione a Cesarea di Palestina.
In Fm 23-24 e in Col 4, 10-14 sono elencate le medesime persone. Onesimo porta il biglietto a Filemone. Ricordiamo che egli era schiavo disperato, fuggito dal padrone, non poteva incontrare Paolo nella prigione di Cesarea in attesa di partire per Roma … Scartata la tesi della redazione durante la carcerazione a Efeso e a Cesarea di Palestina, appare più accettabile l’ipotesi della redazione verso la fine della prima prigionia romana, negli anni 62-63” (Peretto, Roma, 1984).
“Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volere di Dio e il fratello Timoteo, ai santi di Colosse, fedeli fratelli in Cristo. Grazia e pace a voi da Dio, padre nostro”.
Commento: L’indirizzo, eccetto alcuni particolari, è simile a quello di tante altre lettere paoline, dove il nome di “Paolo Apostolo è associato quello del fratello Timoteo”. Questo non significa che Timoteo fosse necessariamente presente insieme a lui nel momento della redazione del documento. A differenza della Lettera agli Efesini, che non contiene destinatari specifici, questa indica, come destinatari, i Colossesi. Ma quest’indicazione non significa che il messaggio, oltre i cristiani di Colosse, non intendesse raggiungere anche i fedeli di altre comunità vicine, come quelle di Gerapoili, Laodicea e altre comunità della valle del Lico. In tal caso, la missiva sarebbe stata scritta come lettera-circolare, diretta ai cristiani di una determinata zona o regione della Frigia, più vasta di quella della sola città di Colosse. Tuttavia, per restare fedeli al testo, assumiamo come destinatari i Colossesi.
“Noi ringraziamo costantemente Dio, padre del Signore nostro Gesù Cristo, pregando per voi, perché siamo stati informati della vostra fede in Gesù Cristo e dell’amore che praticate verso tutti i santi a motivo della speranza che vi è riservata in cielo. Di questa avete udito l’annuncio mediante la parola di verità, il Vangelo, a voi giunto, e come in tutto il mondo stia dando frutto e sviluppandosi, così anche tra di voi fin da quel giorno, nel quale udiste e conosceste nella verità la grazia di Dio. Questo apprendeste da Epafra, nostro diletto compagno di servizio e fedele ministro di Cristo in vece nostra; egli ci ha informati del vostro amore nello Spirito” (Col, 3-8).
Commento: Paolo qui intende sottolineare il fatto che la predicazione del cittadino di Colosse, Epafra, si è svolta secondo i canoni da lui indicati. Questa preghiera è una formula di ringraziamento originale, ricca di alto contenuto teologico e di raffinata sensibilità spirituale.
Il discorso, dedicato al ringraziamento, è un periodo lungo, complicato e non facilmente dominabile dal punto di vista grammaticale e sintattico, perché prescinde dalle regole morfologiche dell’attuale sistema linguistico italiano. D’altronde, oltre che in questo brano, in molti altri passaggi di questa e delle altre lettere dell’Apostolo, si trovano periodi complicati, prolissi o contratti, espliciti e impliciti, completi e incompleti. Ma questi inconvenienti formali sono comprensibili, se si tiene conto del fatto che l’autore è un missionario ebreo di duemila anni fa, che detta i testi delle sue lettere in lingua greco-ellenistica ad amanuensi, e che questi testi hanno subito, nel tempo, più traduzioni in diverse altre lingue prima di essere riportati in lingua italiana attuale. La cosa importante è non fermarsi ai difetti formali, lessicali o linguistici perché ciò che conta è il valore semantico della prosa, i suoi contenuti sostanziali.
Il discorso dell’Apostolo continua con la sua preghiera rivolta a Dio per i suoi fedeli: “Perciò anche noi, dal giorno in cui ne fummo informati, non tralasciamo di pregare per voi e di domandare che vi sia concesso di conoscere perfettamente la sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, per comportarvi in maniera degna del Signore e piacergli in tutto; così dando frutti in ogni genere di opera buona e crescendo nella piena conoscenza di Dio, irrobustiti con forza, secondo la potenza della sua gloria, per tutto sopportare con perseveranza e magnanimità, ringraziando con gioia il Padre, che ci ha fatti capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Egli ci ha strappati dal dominio delle tenebre e ci ha trasferiti nel dominio del suo amato figlio, nel quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Col 1, 9-14).
Commento: Anche questo brano, dal punto di vista formale, è lungo e complicato non meno di quello precedente. In questo passaggio si capisce che l’animo di Paolo è soddisfatto per le buone notizie riportate da Epafra, che in lui suscitano energia ed entusiasmo per ribadire con forza la cosa che gli sta più a cuore: chiedere ai fedeli che facciano uno sforzo in più per poter conseguire una migliore conoscenza, una maggiore sapienza spirituale, una più perfetta intelligenza di Dio. Questo per conoscere quali cose piacciano a Dio e adeguare, di conseguenza, la nostra condotta alla sua volontà. Per fare questo occorre irrobustire maggiormente il dono della fede per sopportare le difficoltà con spirito di servizio e generosità d’animo, ringraziando sempre il Padre per averci salvati dal dominio del Maligno. Egli, infatti, ci ha sottratti al triste destino di condanna eterna nel regno delle tenebre, per trasferirci nel regno della luce dei redenti dal prezioso sangue del suo diletto figlio, Gesù Cristo. Questo è l’unico modo per ottenere la redenzione dal male e il perdono dei nostri peccati.
La narrazione continua in modo serrato: “Egli (Cristo redentore)è l’immagine di Dio invisibile, Primogenito di tutta la creazione poiché in lui sono stati creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra, i visibili e gli invisibili: Troni, Signorie, Principi, Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui; ed egli esiste prima di tutti loro e tutti in lui hanno consistenza. (A nessun lettore può sfuggire la forte affinità, di concetti e di linguaggio, che esiste tra questo passaggio di Paolo e il Prologo del Vangelo di Giovanni). Cristo è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa. Egli è principio, primogenito dei risuscitati, così da primeggiare in tutto, poiché piacque a tutta la pienezza di risiedere in lui e di riconciliarsi, per suo mezzo, tutti gli esseri della terra e del cielo, facendo la pace mediante il sangue della sua croce”.
Nota: Tutto questo passaggio non è meno complesso dei brani precedenti. I periodi non sono chiaramente definiti, ma restano troncati, indeterminati o sospesi. Ciò nulla toglie alla comprensione dei significati logici e teologici del pensiero dell’Autore). Egli continua: “E voi (Colossesi), che un tempo con le opere malvagie eravate stranieri e ostili per il modo di pensare, ora, mediante la sua morte siete stati riconciliati nel suo corpo mortale (corpo fisico) per presentarvi santi, integri e irreprensibili davanti a lui, — purché perseveriate saldamente fondati sulla fede e irremovibili nella speranza del Vangelo che avete udito, il quale è predicato a ogni creatura che è sotto il cielo e del quale io, Paolo, sono divenuto ministro —“(Col, 1, 21-23).
Commento: Cristo redentore visibile è l’immagine di Dio invisibile. (Chi ha veduto me, ha veduto il Padre, rispose Gesù a Filippo che gli chiese: Mostraci il Padre e ci basta (Gv, 14, 9). Prima della conversione i Colossesi erano stranieri (pagani) che adoravano gli idoli e, non conoscendo Dio, avevano modi di pensare e di agire diversi da quelli che piacciono a Lui. Ma ora che sono stati riconciliati con Dio per mezzo del sacrificio di Cristo, devono mantenersi integri nella fede e irreprensibili nella speranza che offre il Vangelo, predicato a tutte le creature del mondo, e di cui Paolo è divenuto ministro per volontà di Dio.
L’Apostolo continua il suo discorso carismatico in modo accalorato:
“Ora io gioisco nelle sofferenze che sopporto per voi e completo nel mio corpo ciò che manca dei patimenti di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa, della quale sono divenuto ministro in conformità al compito che Dio mi ha affidato a vostro riguardo per realizzare la Parola di Dio; il mistero che, nascosto ai secoli eterni e alle generazioni passate, ora è stato svelato ai suoi santi. A questi Dio volle far conoscere quale fosse la splendida ricchezza di questo ministero tra i gentili: Cristo in voi, la speranza della gloria. Lui, noi (missionari) annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ogni uomo in ogni saggezza, per rendere ciascun uomo perfetto in Cristo. A questo scopo mi affanno, battendomi con quell’energia, che egli sviluppa con prepotenza in me” (Col 1, 24-29).
Commento: Questo brano è lungo e complesso come tanti altri dell’epistolario paolino. Paolo espone le sue idee e i suoi sentimenti forti e coerenti con la prepotente voglia di persuadere i suoi fedeli. La carcerazione che deve sopportare non toglie smalto alla sua grinta e al suo zelo apostolico, anzi li esalta perché, pur nelle sofferenze della prigionia, egli prova sentimenti di gioia per essere accomunato alle sofferenze che Cristo ha patito sulla croce e patisce ancora per la sua Chiesa, perseguitata nelle figure dei suoi martiri. Di questa Chiesa perseguitata Paolo è diventato ministro per volontà di Dio, che gliel’ha affidata per portare la parola di salvezza anche a Colossesi, che erano pagani e idolatri. Questo mistero di salvezza, che fu tenuto nascosto per secoli e millenni, ora è stato svelato da Dio ai suoi santi missionari. Ad essi Dio volle far conoscere quanto grande fosse la ricchezza e lo splendore di questo ministero tra i Gentili: la parola della salvezza fatta giungere anche a loro. Infatti, i missionari hanno compiuto il dovere, che è stato loro affidato, annunciando il Vangelo a tutti gli uomini e istruendo ciascuno nella dottrina della fede, di modo che egli diventasse un perfetto cristiano. A questo compito l’Apostolo è votato e a questo si dedica ancora con tutte le energie, che la fede riesce a sommuovere in lui.
Paolo continua il discorso del capitolo precedente, dichiarando:
“Voglio, infatti, informarvi quale dura lotta affronto per voi, per quelli di Laodicea e per quanti non mi hanno visto di persona, affinché il loro cuori siano confortati, uniti strettamente nell’amore e protesi verso una ricca e perfetta intelligenza, verso una profonda conoscenza del mistero di Dio, Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Dico questo affinché nessuno vi seduca con argomenti speciosi. Se, infatti, con il corpo sono lontano, con lo spirito sono con voi e vedo con gioia la vostra disciplina e la vostra saldezza nella fede per Cristo” (Col, 2, 1-5).
Commento: L’Apostolo non ha mai incontrato i fedeli di Colosse e Laodicea, tuttavia questo non impedisce che egli si rivolga a loro in tono confidenziale per esprimere i suoi complimenti e i suoi ringraziamenti per la loro puntuale rispondenza alla fede, che hanno appresa dalla predicazione del suo collaboratore Epafra. L’invito che rivolge loro è quello di restare sempre uniti nell’amore per Cristo, protesi a raggiungere una perfetta comprensione del mistero di Dio, racchiuso in Cristo, in cui sussistono tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Con questo monito i Colossesi sono avvertiti a diffidare dei ragionamenti sottili, apparentemente innocui, di certe persone, ma in realtà ingannevoli perché tendono ad inquinare la purezza del messaggio della fede. Egli, purtroppo per lui, è fisicamente assente, ma spiritualmente presente in mezzo a loro, segue le loro vicende religiose e si complimenta con loro per la disciplina e la saldezza nella fede in Cristo.
Poi continua il discorso: “Come dunque, avete ricevuto il Cristo, Gesù il Signore, in lui continuate a vivere, radicati e sopraelevati su di lui e consolidati nella fede come siete stati istruiti, abbondando in ringraziamenti. Badate che nessuno vi faccia sua preda con la <<filosofia>>, questo fatuo inganno, che si ispira alle tradizioni umane, agli elementi del mondo e non a Cristo, poiché è in lui che dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi siete stati riempiti in lui, che è il capo di ogni principio e potenza; in lui, inoltre, siete stati circoncisi di una circoncisione non operata dall’uomo, denudando il corpo carnale, ma della circoncisione del Cristo. Sepolti con lui nel battesimo, in lui siete stati anche risuscitati in virtù della fede nella potenza di Dio, che lo ha ridestato da morte. Proprio voi che eravate morti per le trasgressioni e la non circoncisione della vostra carne, ha richiamato in vita con lui, condonandoci tutti i falli; annullando le nostre obbligazioni dalle clausole a noi svantaggiose, le ha soppresse inchiodandole alla croce. Egli, spogliati i Principi e le Potenze, ne fece pubblico spettacolo, dopo aver trionfato su loro per suo tramite” (Col, 2, 6-15).
Commento: Se siete stati battezzati in Cristo, siete morti con lui agli elementi del mondo, agli appetiti della carne, ma con lui siete stati anche risuscitati, in virtù della fede nella potenza di Dio, che ha risuscitato suo figlio dalla morte. Se siete entrati in comunione con Cristo, essendo stati battezzati e quindi risuscitati in virtù della forza del suo spirito e non appartenete più agli interessi del mondo, restate saldi in lui perché in lui è la pienezza di tutta la divinità. Pertanto, non lasciatevi traviare “dalla filosofia (la gnosi), questo fatuo inganno”. Questo dice, in sostanza, Paolo ai Colossesi! dai quali, se, suo malgrado, è assente nella presenza fisica, è presente e molto attento ai loro comportamenti riguardanti la fede in Cristo redentore e la loro vita spirituale.
Continuando il suo discorso, l’Apostolo sviluppa meglio il suo pensiero:
“Allora nessuno vi recrimini per cibi, bevande o in materia di festa annuale, novilunio o di settimane, che sono ombra delle cose avvenire, mentre la realtà è il corpo di Cristo. Nessuno, prendendo a pretesto le mortificazioni, che sono il culto degli angeli, indagando su ciò che ha visto, arbitrariamente vi giudichi, scioccamente inorgoglito della sua mentalità carnale e staccato dal capo, dal quale tutto il corpo, ricevendo, attraverso le giunture e i legamenti, nutrimento e coesione, realizza la crescita di Dio.
Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi sottomettete a prescrizioni, quali: <<Non prendere! Non gustare! Non toccare! (cose tutte desinate a logorarsi con l’uso) secondo i precetti e gli insegnamenti umani? Hanno riputazione di saggezza a motivo di un culto volontario, di mortificazione e di austerità verso il corpo, ma sono prive di ogni valore, perché saziano la carne” (Col, 2, 16-23).
Commento: In maniera molto diretta, qui l’Apostolo intende significare un concetto più semplice di quanto non appaia nel testo. In concreto vuole dire questo: chi segue Dio nel trionfo di Cristo sulla morte, è libero dalle costrizioni degli elementi del mondo e dalle obbligazioni verso le potenze cosmiche; non deve lasciarsi condizionare da millantatori incalliti o plagiatori d’occasione, che vantano esperienze personali in tal senso, perché chi è morto in Cristo, è morto agli elementi del mondo. Pertanto, le vecchie prescrizioni non lo riguardano più; non solo, ma egli considera i beni del mondo un dono di Dio, che chiunque può usare liberamente per rendere più piacevole e meno gravoso il peso dell’esistenza terrena.
In questo brano Paolo riprende e sviluppa meglio il discorso che faceva in precedenza, scrivendo:
“Se dunque siete risorti in Cristo, cercate le cose di lassù, dove il Cristo è assiso alla destra di Dio Padre; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra: voi, infatti, siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. quando il Cristo, nostra vita, apparirà, allora anche voi apparirete con lui rivestiti di gloria.
Fate dunque morire le membra terrene: fornicazione, impurità, libidine, desideri sfrenati e avidità di guadagno che è poi idolatria; per questi vizi piomba l’ira di Dio. Anche voi un tempo li praticaste, quando di loro vivevate. Ora però banditeli tutti anche voi: collera, escandescenze, cattiveria, maldicenza, ingiurie che escono dalla vostra bocca. Non mentitevi a vicenda, poiché vi siete spogliati dell’uomo vecchio e del suo modo di agire e vi siete rivestiti del nuovo, che si rinnova, per una più piena conoscenza, a immagine di colui che lo ha creato: in questa condizione non è più questione di Greco o di Giudeo, di circoncisi o incirconcisi, di barbaro, Scita, schiavo, libero, ma di Cristo, tutto e in tutti.
Voi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, vestitevi di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza, di longanimità – sopportandovi a vicenda e perdonandovi, se avviene che uno si lamenti di un altro: come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi – sopra tutto ciò, dell’amore che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati in un solo corpo, regni sovrana nei vostri cuori
e siate riconoscenti. La Parola del Cristo abiti in voi con tutta la sua ricchezza; istruitevi e consigliatevi reciprocamente con ogni sapienza; con salmi, inni e cantici ispirati, cantate a Dio nei vostri cuori con gratitudine; e qualunque cosa possiate dire o fare, agite sempre nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Col, 3, 1-17).
Commento: L’Apostolo parte dal presupposto che i cristiani, essendo morti al peccato e risorti con il battesimo, hanno interrotto i rapporti con gli interessi di questo mondo. La superstiziosa religione mondana, che giustificava anche i vizi e i peccati, è ormai superata per entrare nella vita divina della fede escatologica, che dona la salvezza. Essa era stata programmata fin dalle origini del mondo da Dio Creatore per la salvezza delle sue creature e realizzata da Cristo con il suo sacrificio sulla croce. Dal momento in cui i cristiani hanno ottenuto la salvezza, essi lascino perdere le cose di qua giù, vizi e difetti di ogni tipo e, piuttosto, cerchino le cose di lassù, le cose che piacciono a Dio, le cose che sono in cielo. Lì, nel cielo (secondo la ben nota locuzione di un articolo del Credo Apostolico, ispirata al Salmo 110), c’è il Signore Gesù, l’Unto del Signore, assiso alla destra di Dio Padre onnipotente. In lui, soltanto in lui, c’è la piena verità dell’autentica vita del credente. La vita del cristiano è nascosta con Cristo in Dio. Ma quando Cristo apparirà trionfante (quando sarà la parusia), anche la nostra vita sarà svelata, nel senso che sarà tolto il velo (metonimia, l’astratto per il concreto) che ora la nasconde allo sguardo degli altri. In vista di questo trionfo dello spirito, i cristiani spengano i loro vizi e le loro passioni terrene: fornicazione, impurità, libidine, desideri sfrenati e avidità di guadagno, tutte espressioni di idolatria. Su questi vizi si abbatte l’ira di Dio.
Un tempo, dice l’Apostolo, prima della vostra conversione a Cristo, anche voi eravate immersi in questi vizi, eravate pagani idolatri. Ma ora che avete appreso la retta via, fate pulizia di tutte le incrostazioni peccaminose, che possono deturpare la bellezza dell’anima vostra. Dismettete le vecchie abitudini dell’uomo cornale e rivestiti degli abiti nuovi dell’uomo spirituale. Amatevi gli uni gli altri, come Cristo ha amato voi, rispettatevi, siate sinceri e leali tra di voi. In una tale dimensione della vita dello spirito, non c’è differenza tra Greco o Giudeo, tra circoncisi e incirconcisi, barbaro, Scita, schiavo o libero, ma tutti siete di Cristo, senza differenza di nazione o condizione sociale. Amatevi come Cristo vi ha amati; perdonatevi come Cristo vi ha perdonati; siate riconoscenti! Ringraziate il Signore Gesù continuamente con salmi, inni e cantici e, attraverso di lui, ringraziate Dio Padre per tutti i doni ricevuti nella vita!
Dopo le regole date per la vita nella Chiesa, in questa sezione l’Apostolo continua il suo discorso, dettando le regole per le buone condizioni di vita nell’ambito della famiglia, esortando i credenti a rispettare l’ordine della tradizione consuetudinaria:
“Donne! Siate sottomesse ai vostri mariti, come conviene nel Signore. Mariti! amate le vostre donne e non siate indipendenti verso di loro. Figli! Obbedite ai vostri genitori in tutto, perché è gradito al Signore. Padri! Non provocate i vostri figli, perché non si perdano di coraggio e si ribellino.
Schiavi! obbedite ai vostri padroni terreni in tutto, non solo sotto i loro vigili sguardi perché volete piacere agli uomini, ma con cuore semplice e sincero (anche in loro assenza) perché temete il Signore. Qualunque cosa facciate, agite con cuore (sincero) come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che riceverete dal Signore, come ricompensa, l’eredità. Servite il Signore Cristo! Certo, chi commetterà ingiustizie, riceverà la ricompensa della sua ingiustizia e non c’è riguardo a persona (Col, 3, 18-25).
(Continua il discorso diretto del capitolo precedente e continuerà per tutto il capitolo quarto fino alla fine. Paolo ammonisce): Padroni! date ai servi il giusto e l’onesto, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.
Perseverate nella preghiera e vegliate in essa con riconoscenza; pregate anche per noi, affinché Dio ci apra una porta alla parola, per predicare il mistero di Cristo – a causa del quale sono prigioniero – in modo che lo manifesti predicando (apertamente) come si conviene. Comportatevi saggiamente con gli estranei, cogliendo le occasioni opportune. Il vostro discorso sia sempre pieno di grazia, “condito con sale”, in modo da saper come rispondere a ciascuno” (Col, 4, 1-6).
“Su quanto mi riguarda, vi informerà Tichico, diletto fratello, fedele ministro e mio compagno nel Signore. Ve lo mando perché vi metta al corrente della nostra situazione e consoli i vostri cuori, insieme con Onesimo, fedele e diletto fratello, che è dei vostri: vi informeranno di tutte le cose di qua.
Vi salutano Aristarco, mio compagno di prigionia e Marco, cugino di Barnaba – nei cui riguardi avete avuto istruzioni; se venisse da voi, accoglietelo bene – e Gesù, detto Giusto. Di quelli che vengono dalla circoncisione, questi sono gli unici che collaborano con me al regno di Dio: furono loro il mio unico conforto. Vi saluta Epafra, vostro concittadino, servo di Cristo Gesù; egli lotta continuamente per voi nelle sue preghiere, affinché siate saldi, perfetti e sinceramente dediti a compiere la volontà di Dio. Infatti, attesto che si preoccupa molto di voi, di quelli di Laodicea e di quelli di Gerapoli. Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema. Salutate i fratelli di Laodicea, Ninfa con la chiesa che si raduna in casa sua. Quando avrete letto questa lettera, fatela leggere anche alla chiesa di Laodicea; anche voi leggete quella che riceverete da Laodicea. Dite ad Archippo: bada di compiere bene il ministero che hai ricevuto nel Signore.
Il saluto è di mia mano, di me Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi” (Col, 4, 7-18).
Commento: In generale si può dire che il quadro delle esortazioni parenetiche di questa lettera è molto simile a tanti altri contenuti in altre lettere apostoliche. In particolare, le raccomandazioni prescritte per la tenuta dell’ordine familiare, trovano riscontri e importanti parallelismi nella lettera agli Efesini (Ef, 5, 21-33 e 6, 1-9).
Per il resto, questi ultimi brani della parte parenetica sono abbastanza lineari nella forma e sufficientemente chiari nei contenuti; pertanto, a parere di chi scrive, non necessitano di alcun commento didascalico; anzi, ogni tentativo esplicativo in tal senso, potrebbe soltanto offuscare, anziché chiarire, il godimento spirituale ed estetico della cristallina prosa dell’Autore di duemila anni fa; e va ascritto a maggiore suo merito, il fatto che l’Apostolo abbia scritto tutta la sua produzione teologica, letteraria e religiosa, non nella sua lingua madre (l’ebraico), ma in ellenistico, che era la lingua internazionale del suo tempo nei paesi circumediterranei e nelle nazioni mediorientali.