
L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)
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Ai tempi di Paolo la Galazia era una regione interna dell’Asia Minore, corrispondente all’altopiano anatolico, nel cui centro sorgeva la città di Ancira, l’odierna Ankara. Allora questa regione faceva parte della provincia dell’Asia Proconsolare romana. I Galati, cui è rivolta la Lettera, sono gli abitanti delle comunità cristiane fondate dall’Apostolo nei suoi primi viaggi di evangelizzazione dei pagani. Non si hanno dati certi sulla data della sua redazione, ma da una serie di notizie indirette, i commentatori hanno desunto che la Lettera è stata scritta dall’Apostolo a Efeso, intorno all’anno 54 d. C. durante il suo terzo viaggio missionario.
La motivazione che ha spinto Paolo a scrivere questa lettera è derivata da un incidente di percorso nella sua attività missionaria. Era accaduto che, non molto tempo dopo la loro conversione al cristianesimo, queste comunità furono sconvolte da parte di alcuni nemici di Paolo, che intendevano gettare il discredito sulla sua opera. Informato per tempo di quest’evenienza, egli affrontò la situazione di petto in maniera energica e decisa.
Ma chi erano questi nemici dell’Apostolo? Erano certamente uomini di matrice ebrea, suoi connazionali ma anche suoi fieri oppositori. In particolare pare che fossero gruppi di giudaizzanti, cioè di Giudei convertiti al cristianesimo, che tentavano di attuare una specie di sincretismo tra giudaismo tradizionale e nuova fede cristiana. Ma essi erano ancora fortemente legati alle norme di vita giudaiche del Vecchio Testamento e alla Legge di Mosè, compresa la tradizione della pratica della circoncisione. Infatti, secondo le loro inveterate convinzioni, sostenevano che i nuovi adepti al cristianesimo, prima di essere ammessi alla fede cristiana, dovessero compiere una fase di tirocinio nella conoscenza e nella pratica dell’antica religione giudaica. Paolo, invece, era di diverso avviso. Egli, infatti, dopo essere stato strenuo difensore del giudaismo e fanatico persecutore dei cristiani (in questa veste fu complice della lapidazione di Stefano), subì la folgorazione sulla via di Damasco. Quest’evento gli cambiò la vita perché, non solo determinò la sua conversione al cristianesimo, ma devenne l’Apostolo più attivo e più ardente nella nuova fede e dedicò il resto della sua vita alla missione di evangelizzare i Gentili ( i pagani). La sua prima esperienza di predicazione della nuova fede in Gesù Cristo ebbe luogo nella città di Antiochia, in Siria. Successivamente, insieme a Barnaba, intraprese il suo primo viaggio missionario in terra straniera, compiuto attraverso le popolazioni dell’isola di Cipro (Salamina e Pafo), la Panfilia (Perge) e la Psidia (Antiochia di Psidia, Iconio, Listra e Derbe) . Nella sua titanica impresa di ambasciatore della nuova fede, egli riscosse molto successo e guadagnò grande popolarità. In quelle occasioni ebbe modo di sperimentare, toccando le cose con mano, quanto proficua fosse l’ammissione dei pagani alla fede in Gesù Cristo; inoltre era convinto che , per facilitare la loro conversione, il metodo migliore sarebbe stato quello di ammettere il loro passaggio diretto dall’idolatria pagana al battesimo cristiano, senza costringere i neocatecumeni a sottoporsi a un pesante e assurdo tirocinio nell’antica fede giudaica.
Quest’obbligo avrebbe potuto alienare molti dall’aderire al cristianesimo. Ma intanto la sua scelta fu contestata da molti a Gerusalemme, in Giudea e ad Antiochia di Siria, sede della centrale operativa del primo apostolato cristiano. Per stroncare le forti polemiche insorte al riguardo con gli altri fratelli cristiani, insieme a Barnaba, si recò a Gerusalemme e pose il problema al Collegio degli Apostoli. Pietro, che presiedeva la seduta e poco tempo prima aveva già sperimentato di persona, nella casa del centurione Cornelio, come lo Spirito Santo fosse sceso, in sua presenza, sui non circoncisi che poi egli battezzò, non solo approvò la proposta, ma sollecitò la prima assemblea ecumenica della storia del cristianesimo, all’approvazione dell’iniziativa di Paolo e di Barnaba (At,15, 6-35).
Tuttavia gli avversari dell’Apostolo non desistevano dal combattere la sua figura, il suo ruolo missionario e la sua versione della fede. Lo accusavano di predicare un cristianesimo addolcito, di non essere un vero apostolo perché non faceva parte dei dodici che avevano seguito Gesù fin dalla prima ora della sua vita pubblica. Consideravano la sua missione un’attività di seconda mano, ritenevano lui stesso un incompetente o, tutto al più, un semplice mandatario degli Apostoli.
Informato della situazione e comprendendo la gravità delle accuse che avrebbero potuto scardinare la sua dottrina e portare alla disgregazione delle comunità già formate, l’Apostolo corre ai ripari in maniera energica e decisa per scuotere le tiepide coscienze dei Galati, dal torpore che li aveva annebbiati.
Egli si presenta come un autentico annunciatore del Vangelo, dichiarando: “Il Vangelo che annunzio non è a misura d’uomo. Infatti, né io l’ho ricevuto da un uomo, né da un uomo sono stato ammaestrato, ma da parte di Gesù Cristo attraverso una rivelazione” (Ga, 1, 11-12).
Già dalle prime parole del suo discorso, l’Apostolo dichiara: Testo: “Paolo, apostolo non da uomini, né in virtù di un uomo, ma in virtù di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo risuscitò da morte e i fratelli tutti che sono con me alle chiese di Galazia: grazia a voi e pace da Dio Padre Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, che diede se stesso per i nostri peccati, allo scopo di sottrarci al mondo presente malvagio, secondo il disegno voluto dal nostro Dio e Padre, al quale sia gloria per i secoli dei secoli: amen” (Ga, 1, 1-5).
Commento: Fin dall’inizio Paolo vuole essere chiaro e sgomberare il terreno da ogni possibilità di equivoco circa la sua autenticità di apostolo, insinuata da alcune voci malvagie e ostili al suo messaggio evangelico: egli è Apostolo a tutti gli effetti e il suo ruolo è quello di annunziare l’unico Vangelo di Gesù Cristo. Egli è stato investito di questa missione, non da alcuna autorità umana o terrena, ma da Gesù Cristo stesso e da Dio Padre che ha risuscitato suo figlio dai morti. Egli, Paolo, i suoi fratelli, i suoi collaboratori e tutti e i membri della comunità dei fedeli in cui si trova al momento, rivolgono un caro saluto ai militanti delle Chiese della Galazia. Agli stessi augura la grazia e la pace di Dio Padre e del Signore nostro, Gesù Cristo, che diede la sua vita per la remissione dei nostri peccati. Egli obbedì docilmente alla volontà di Dio Padre, portando a compimento il progetto divino del piano di salvezza dell’uomo. Infatti, nella sua vita pubblica, Gesù insegnò agli uomini i nuovi valori della vita, nuovi modelli di comportamento e consacrò la sua missione profetica con il sacrificio della sua passione, morte in croce e risurrezione, onde salvare l’uomo dalle sue colpe e aprirgli la via all’eterna salvezza.
Testo: “Mi sorprende che così presto vi siate distaccati da Cristo, che vi aveva chiamati per la sua grazia, aderendo a un altro vangelo: non ne esiste un altro! Ma ci sono alcuni che mettono lo scompiglio tra di voi e vogliono stravolgere il Vangelo di Cristo. Ma se noi o un angelo disceso dal cielo annunziasse a voi un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia votato alla maledizione divina! Come ho detto prima, anche in questo momento ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che voi riceveste, sia votato alla maledizione divina! Adesso infatti cerco d’ingannare gli uomini o Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora cercassi di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Ga, 1, 6-10).
Commento: Entrando nel vivo della questione, Paolo rivolge un marcato rimprovero ai destinatari della sua missiva (i Galati) perché, con suo grande stupore, ha appreso che essi hanno abbandonato la fede che egli aveva loro trasmessa per abbracciare un altro vangelo. Ma non c’è, non esiste un altro vangelo! Al contrario. “Ci sono alcuni che seminano lo scompiglio tra di voi e vogliono stravolgere il Vangelo di Cristo. Ma se noi o chiunque altro, anche se fosse un angelo disceso dal cielo, che vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato noi, sia votato alla maledizione divina! E continua il discorso con tutto l’empito emotivo del suo onesto sdegno:
Paolo ha appreso il suo Vangelo direttamente da Cristo.
Testo “Vi rendo noto infatti, fratelli che il Vangelo annunziato da me non è a misura d’uomo: infatti né io l’ho ricevuto da uomo, né da uomo sono stato ammaestrato, ma da parte di Gesù Cristo attraverso una rivelazione; udiste infatti il mio modo di comportarmi un tempo nel giudaismo; perseguitavo oltre ogni limite la Chiesa di Dio, e cercavo di rovesciarla, e mi ero spinto nel giudaismo, oltre il limite di tutti i miei coetanei appartenenti al mio popolo, difensore fanatico com’ero, in misura maggiore di loro, delle tradizioni dei padri. Quando poi piacque a Colui che mi aveva separato fin dal seno di mia madre e mi aveva chiamato in forza della sua grazia di rivelare il Figlio suo in me, affinché io lo annunziassi ai pagani, subito fin d’allora non consultai degli uomini, né partii per Gerusalemme da coloro che erano stati costituiti apostoli prima di me, ma mi allontanai verso l’Arabia, e di nuovo tornai a Damasco” (Ga, 1, 11-!7
Commento: In questo passaggio Paolo rievoca ai Galati il suo passato giovanile, come strenuo difensore del giudaismo tradizionale e accanito persecutore dei cristiani e della loro Chiesa che, nel suo fanatismo giudaico tradizionale, cercava di rovesciare. Ma “quando piacque a Colui (Dio) che mi aveva separato fin dal seno di mia madre (citando le parole di Geremia) e mi aveva chiamato in forza della sua grazia di rivelare il Figlio suo in me, affinché lo annunziassi ai pagani, non andai a Gerusalemme a consultare gli Apostoli, ma mi allontanai verso l’Arabia, poi tornai a Damasco”.
Paolo continua il suo discorso dichiarando: Testo: “In seguito, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per prendere contatti con Cefa (Pietro) e mi trattieni presso di lui quindici giorni. Altro degli Apostoli non vidi (in quell’occasione) ma vidi Giacomo, il fratello del Signore (forse detto in senso generico). Queste cose scrivo a voi; ecco davanti a Dio attesto che non mentisco. In seguito mi recai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ero sconosciuto per quanto riguarda la mia persona alle chiese della Giudea, che sono in Cristo. Avevano solo sentito dire che colui che un tempo ci perseguitava, adesso annuncia quella fede che un tempo cercava di sovvertire, e glorificavano Dio in rapporto a me” (Ga, 1, 18-24). Osservazione: Questa formula, “Gloria a Dio”, che è un’espressione ricorrente nel Vecchio Testamento, in questo contesto si riferiva all’evento portentoso della conversione di Paolo. Successivamente la frase è rimasta in vigore nella Chiesa, fino a diventare un’espressione comune, consacrata anche nella liturgia della Chiesa cattolica attuale.
Testo: Paolo scrive testualmente: “Quindi, dopo quattordici anni salii di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, dopo aver preso con me anche Tito. Vi salii in seguito a una rivelazione ed esposi loro (ai capi della Chiesa) il Vangelo che proclamo ai pagani, – in privato ai notabili- per evitare il rischio di correre o di aver corso invano. Ma neppure Tito, che era con me, pur essendo greco, fu obbligato a farsi circoncidere. Ma a causa dei falsi fratelli intrusi, i quali si intromisero ad osservare come spie la nostra libertà che abbiamo in Gesù Cristo allo scopo di renderci schiavi … Ad essi non cedemmo neppure momentaneamente sottomettendoci, affinché la verità del Vangelo rimanga salda in mezzo a voi. Da parte di coloro che sembravano essere qualcosa – quali fossero un tempo non ha per me nessun interesse: Dio infatti non guarda alla persona dell’uomo – … a me infatti i notabili niente aggiunsero, ma anzi, al contrario, vedendo che a me è stato affidato il Vangelo dei non giudei come a Pietro quello dei Giudei – colui infatti che assisté con la forza Pietro nell’apostolato tra i circoncisi, assisté anche me tra i pagani – e conosciuta la grazia data a me, Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni, che erano stimati le colonne, diedero la loro destra a Barnaba e a me in segno di unione: noi dovevamo annunciare il Vangelo presso i pagani, essi invece presso i circoncisi. Solo avremmo dovuto ricordarci dei poveri ed ciò che mi diedi premura di fare” (Ga, 2, 1-10).
Commento: Nell’incontro di Paolo e Barnaba con i notabili di Gerusalemme: Pietro, Giacomo e Giovanni, furono stabiliti patti chiari, fin dall’inizio, sull’attribuzione delle aree geografiche e socio-antropologiche di competenza per le campagne di evangelizzazione: al gruppo degli apostoli di Gerusalemme, con Pietro al vertice decisionale e i suoi collaboratori, furono assegnati i territori della Giudea, Samaria, Galilea e le aree di pertinenza palestinese, abitate dai Giudei; mentre a Paolo, Barnaba e i loro collaboratori fu attribuita la competenza di evangelizzare i Pagani; e l’area su cui si estendevano questi territori era indefinita e vasta perché andava dall’Asia, la Macedonia, la Grecia e Roma, “fino agli estremi confini della terra”. L’opera è continuata naturalmente nei secoli con i successori di Paolo e, continua ancora adesso con i missionari del nostro tempo.
Paolo continua il suo discorso: “Quando poi venne Cefa ad Antiochia, mi opposi a lui affrontandolo direttamente a viso aperto, perché si era messo dalla parte del torto. Infatti prima che sopraggiungessero quelli della parte di Giacomo, prendeva i pasti insieme ai convertiti dal paganesimo. Ma quando vennero quelli, (Pietro) cercava di tirarsi indietro e di appartarsi, timoroso dei dei giudei convertiti. Presero il suo atteggiamento falso anche gli altri giudei, così ché perfino Barnaba si lasciò indurre ad assumere il loro atteggiamento di duplicità; ma quando m’accorsi che non camminavano rettamente secondo quella coerenza che esigeva il Vangelo, dissi a Cefa davanti a tutti: Se tu, essendo giudeo, vivi da pagano e non da giudeo, come puoi costringere i gentili secondo la legge mosaica? Noi, Giudei di nascita e non peccatori di origine pagana, sapendo che non è giustificato alcun uomo per le opere della legge, ma solo in forza della fede in Gesù Cristo, credemmo anche noi in Gesù Cristo, appunto per essere giustificati per la fede di Cristo e non per le opere della legge, perché per le opere della legge non sarà giustificato nessun mortale. Se poi cercando di essere giustificati in Cristo ci troviamo ad essere peccatori anche noi, Cristo è allora il fautore del peccato? Non sia mai detto! Se infatti ciò che distruggo lo costruisco di nuovo, mi dimostro colpevole di trasgressione. Io infatti, attraverso la legge morii alla legge perché vivessi a Dio. Sono stato crocifisso insieme a Cristo; vivo, però non più io, ma vive in me Cristo .La vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede, quella nel Figlio di Dio che mi amò e diede se stesso per me. Non rendo vana la grazia di Dio; se infatti la giustizia proviene per mezzo della legge, allora Cristo è morto per nulla” (Ga, 2, 11-21).
Commento: In questo brano Paolo rimprovera Pietro apertamente perché lo accusa di incoerenza comportamentale. Il fatto accadde “quando Cefa (Pietro) andò ad Antiochia (centro operativo dell’attività missionaria di Paolo e di Barnaba) e Paolo gli fa opposizione, per il suo atteggiamento incoerente. Infatti, prima che giungessero colà i seguaci di Giacomo, egli consumava i pasti regolarmente insieme ai convertiti dal paganesimo. Ma dopo che sopraggiunsero quegli altri, Pietro incominciò a tirarsi indietro e ad appartarsi, pauroso delle accuse che avrebbero potuto muovergli i giudei convertiti che, probabilmente, gli avevano già fatto qualche rimprovero in tal senso. Il suo cattivo esempio era stato contagioso perché aveva contagiato anche Barnaba e altri giudei, i quali incominciarono a tirarsi indietro. Il loro comportamento ambiguo cominciava ad essere pericoloso per la fede. Quando Paolo si rese conto della pericolosità di questo comportamento dei fratelli per la loro incoerenza tra il Vangelo che professavano e la loro condotta pratica, affrontò Cefa (Pietro) a viso aperto davanti a tutti e gli disse: Se tu, essendo giudeo, vivi da pagano e non da giudeo, come puoi costringere i gentili a vivere secondo la legge mosaica? Noi giudei di nascita e i non peccatori di origine pagana sappiamo che nessuno è giustificato in forza della legge, ma che i credenti lo sono in virtù della fede in Gesù Cristo; se crediamo in Gesù Cristo siamo salvi per effetto della fede, non per effetto della legge. Infatti secondo la legge, nessun uomo sarebbe stato mai giustificato, cioè nessun mortale si sarebbe salvato.
In questa sezione l’Apostolo esordisce rivolgendo un severo ammonimento ai Galati, che si sono lasciati distogliere dalla giusta via che egli aveva loro indicata insegnando il Vangelo di Cristo.
Testo: “O Galati sciocchi –esordisce- chi mai vi ha incantato, voi dinanzi ai cui occhi Gesù Cristo fu presentato crocifisso? ma quale propaganda vi ha incantati, dopo che avete conosciuto Gesù Cristo crocifisso? Questo solo desidero ho, sapere da voi: dalle opere della legge avete ricevuto lo Spirito o prestando ascolto al messaggio della fede? Così sciocchi, poco intelligenti siete? Avendo prima iniziato con lo Spirito, ora finite con la carne? Tante e così grandi cose avete sperimentato invano? Colui dunque che vi dona con abbondanza lo Spirito e opera miracoli in mezzo a voi, fa tutto questo in base alle opere della legge o in base all’ascolto dato al messaggio della fede? Così come Abramo credette in Dio e questo fu per lui un titolo di giustificazione. Sappiate allora che quelli che sono dalla fede, costoro sono figli di Abramo. E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i gentili per mezzo della fede annunciò in anticipo ad Abramo: Saranno benedette in te tutte le nazioni. Cosicché quelli che si basano sulla fede sono benedetti con Abramo credente. Infatti, quanti si basano sulle opere della legge sono soggetti alla maledizione: perché sta scritto: maledetto chiunque non persevera nel fare tutte le cose scritte nel libro della legge. Che poi nessuno, rimanendo nell’ambito della legge, è giustificato, è manifesto, poiché il giusto avrà la sua vita dalla fede.
La legge però non proviene dalla fede, ma chi farà queste cose vivrà in base ad esse. Cristo ci ha riscattati liberandoci dalla maledizione della legge, divenuto in nostro favore maledizione, poiché sta scritto: maledetto chiunque è appeso su un legno (Deut.); e ciò fu in modo che la benedizione di Abramo arrivasse ai Gentili in Cristo, di modo che ricevessimo, per mezzo della fede, lo Spirito, oggetto di promessa” (Ga, 3, 1-14).
Osservazione: La solenne rampogna che l’Apostolo fa ai Galati, per la superficialità della loro fede, è già abbastanza eloquente di per se stessa, per cui non ha bisogno di alcun commento.
Paolo apre la pericope dichiarando che, anche dal punto di vista umano, nessuno può invalidare o modificare un testamento già ratificato. “Ora furono fatte delle promesse ad Abramo e alla sua discendenza. Quindi non a molte, ma a una sola sua discendenza, che è quella di Cristo. Di conseguenza la legge, pur essendo venuta 430 dopo, non annulla il testamento ratificato in precedenza da Dio, rendendo così inoperante la promessa. Poiché se l’eredità è legata alla legge, non è più legata a una promessa; ora Dio fece il suo dono di grazia ad Abramo mediante una promessa” (Ga, 3, 16-18).
La legge, secondo Paolo, è venuta dopo la promessa. Perciò essa ha carattere di secondarietà rispetto alla promessa. Essa ha questo valore secondario anche perché non deriva direttamente da Dio. Essa ha avuto carattere provvisorio, limitato nel tempo. Fu aggiunta dopo per limitare le trasgressioni, ma la coesistenza della legge con il peccato ha reso ancora più urgente la realizzazione della promessa divina della venuta di Cristo Redentore. Egli ci ha portato la fede, l’unico mezzo di salvezza offerto, come dono, ai credenti.
Prima che arrivasse la fede, noi eravamo custoditi, chiusi nella legge, come prigionieri in attesa della loro liberazione; “Cosicché, la legge è divenuta per noi un pedagogo (educatore) che ci ha condotti fino a Cristo, perché fossimo giustificati in base alla fede. Sopraggiunta poi la fede, non siamo più sotto il dominio del pedagogo. Tutti, infatti, siete diventati figli di Dio in Gesù Cristo, mediante la fede; infatti, quanti siete stati battezzati in rapporto a Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Perciò, nella Chiesa non c’è più alcuna distinzione tra Giudeo e Greco, tra schiavo o libero, tra uomo o donna. (La differenza, anche abbastanza marcata, tra l’uomo e la donna nelle assemblee liturgiche, l’Apostolo la fa altrove: in 1 Co, 15, 33-36). Tutti voi formate una sola persona in unione con Cristo Gesù. Se siete di Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa” (Ga, 3, 24-29).
Nel capitolo precedente Paolo aveva assimilato la funzione della legge a quella del pedagogo (educatore), che ha il compito di educare e guidare l’infante nel suo processo di sviluppo e di formazione. Qui la legge è presentata come il tutore di un minorenne, per cui, finché perdura l’età minorile dell’educando, egli è sottomesso al tutore come uno schiavo al padrone; e questo stato perdura fino a quando il padre o tutore decide di emanciparlo, il che avverrà quando egli raggiungerà la maggiore età. “Così anche noi, quand’eravamo bambini stavamo sottoposti a limiti imposti dagli elementi del mondo (la legge/le autorità educative o di comando, responsabili della tutela del minore). Ma quando giunse la pienezza dei tempi, Dio inviò suo Figlio, nato da donna, crebbe in una famiglia, rispettoso alla legge e del costume vigente, con un’importante missione da compiere: riscattare coloro che erano sottoposti alla legge, affinché noi ricevessimo l’adozione a figli. Poiché siete figli, Dio inviò inviò lo Spirito del Figlio Suo nei nostri cuori, lo Spirito che grida: ‘abbà, Padre! ( cfr Rom, 8, 17) Questo comporta che non sei più schiavo, ma, figlio; se sei figlio, sei anche erede in forza di Dio” (Ga, 4, 3-7).
A un certo punto l’Apostolo abbandona il tono polemico e affronta la disputa con i suoi interlocutori in tono ammonitorio paterno. Testo: “Voi, Galati, quando ancora non avevate conosciuto Dio, serviste come schiavi a dei che in realtà non lo sono. Ora invece, avendo conosciuto Dio, o piuttosto essendo stati conosciuti da Dio, come potete rivolgervi di nuovo verso gli elementi senza forza e meschini (gli idoli) ai quali volete di nuovo tornare a sottomettervi come schiavi, cominciando da capo? osservate le prescrizioni riguardanti i mesi, le stagioni e gli anni. Mi fate paura: temo di aver forse lavorato con fatica invano in mezzo a voi. Diventate come me , poiché anche io sono come voi, fratelli, ve ne supplico. Non mi faceste alcun torto. Sapete voi che a causa di un’infermità fisica annunciammo il Vangelo a voi per la prima volta; e per quello che costituiva per voi una prova del mio fisico non dimostraste disprezzo, né nausea, ma accoglieste me come un inviato di Dio, come Gesù Cristo stesso. Dove dunque è andata a finire la lode che vi diedi chiamandovi beati? Vi do atto che se fosse stato possibile, vi sareste strappati gli occhi e me li avreste dati. E’ successo che vi sono diventato nemico trattandovi secondo la verità? Mostrano un interesse acceso (i falsi profeti) per voi, però non rettamente, ma vi vogliono isolare da noi, affinché abbiate interesse per loro. E’ bello avere un interesse acceso per ciò che è buono, sempre, e non solo quando io sono presente tra voi, figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto fino a che Cristo non assuma in voi una forma consistente. Vorrei proprio essere presso di voi ora, e parlarvi a tu per tu, poiché sono ansioso nei vostri riguardi” (Ga, 4, 8-20).
Commento: l’Apostolo rimprovera i Galati in tono paterno e affettuoso per essersi lasciati sviare dai “falsi profeti” dalla pratica della fede in Cristo, che egli aveva faticosamente loro insegnato. Chiede loro in tono perentorio: “Una volta che avete conosciuto Dio, o meglio, che siete stati conosciuti da Dio stesso, come potete di nuovo rivolgervi ai meschini elementi della natura? Volete tornare a vivere nella schiavitù dell’idolatria, magari ricominciando tutto da capo? Siete stati bravi d osservare il calendario rituale scandito secondo il ritmo del fluire del tempo: i mesi, le stagioni e il cicli annuali. Ma ora mi fate paura perché temo di aver lavorato invano per tanti anni in mezzo a voi. Fratelli, vi supplico, tornate ad essere quello che eravate prima, diventate come me, perché anch’io sono come voi. Sapete che proprio a causa di un’infermità fisica (ma non dice di quale infermità si tratta) annunciammo il Vangelo a voi per la prima volta. E per quello che era il mio male fisico, non dimostraste disprezzo, né nausea, ma mi accoglieste come un inviato di Dio. E ora vi sono diventato nemico solo perché vi ho trattato secondo la verità? Gli attuali vostri amici mostrano grande interesse per voi, ma non sono sinceri e lo fanno solo perché vi vogliono allontanare da noi per unirvi a loro. Figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto fino a quando la fede in Cristo non si consolidi in voi! Poiché sono onestamente ansioso del vostro destino, vorrei proprio essere ora in mezzo a voi e parlare, a tu per tu, con ciascuno di voi” per fare emergere la verità e il bene che vi dona la fede in Cristo Gesù”.
Polemizzando con i suoi avversari, Paolo ricorre all’interpretazione allegorica del Vecchio Testamento. Egli narra la storia di Agar, la schiava egiziana di Abramo, madre d’Ismaele, cacciata via da Abramo stesso. Egli riepiloga la storia dei due figli di Abramo, uno avuto dalla schiava, l’altro dalla padrona libera. Il figlio della schiava è nato secondo la carne, mentre il figlio della promessa divina è nato dalla padrona libera. In termini allegorici le due donne rappresentano le due alleanze, i due testamenti, uno dei quali proviene dal Monte Sinai, identificato con Agar che genera figli per la schiavitù; il Monte Sinai è il luogo dove è stata dettata la legge scritta sulle pietre. Esso sta in Arabia, in continuità territoriale con la Gerusalemme di adesso, la città terrena, che si trova in stato di schiavitù con i suoi figli. L’altra città, la Gerusalemme celeste, è libera, rappresenta la Chiesa che è la madre feconda di tutti noi. Essa è come una donna sola, che ha figli soltanto per iniziativa divina. Riprendendo un passaggio della Sacra Scrittura, Paolo scrive: Rallegrati, sterile, che non partorisci/prorompi in grida di gioia tu che non soffri i dolori dl parto/poiché molti sono i figli della donna che è sola, più di colei che ha marito. Poi, rivolgendosi ai Galati, l’Apostolo dichiara:
“Ma voi, fratelli, siete figli della promessa, secondo Isacco; e come allora, quando il figlio nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo Spirito, così accade anche adesso. Ma che cosa dice la Scrittura?
Caccia via la schiava e il figlio di lei; infatti, il figlio della schiava non avrà parte all’eredità col figlio della padrona libera. E noi, fratelli, non siamo figli della schiava, ma figli della padrona libera.
A proposito della libertà Paolo scrive Testo: “Per la libertà Cristo ci liberò; state dunque saldi e non lasciatevi sottomettere di nuovo al giogo della schiavitù. Ecco sono io, Paolo, che ve lo dico: se vi lasciate circoncidere, Cristo non vi sarà di utilità alcuna. Attesto di nuovo ad ogni uomo che viene circonciso: egli è obbligato a mettere in pratica tutta la legge. Non avete più niente a che fare con Cristo, voi che cercate di essere giustificati con la legge; siete decaduti dal favore divino. Noi, infatti, sotto l’influsso dello Spirito aspettiamo costantemente che in forza della fede si realizzi la speranza della giustificazione. In Cristo Gesù, infatti, né la circoncisione, né l’incirconcisione hanno nessun effetto, ma la fede che si attua mediante la carità. Correvate bene: che cosa vi ha ostacolato impedendovi di obbedire alla verità? Questa persuasione non proviene da colui che vi chiamò. Una piccola quantità di lievito fermenta tutta la massa della pasta. Io ho la persuasione nel Signore, riguardo a voi, che voi non la penserete affatto diversamente da me; chi poi mette lo scompiglio tra di voi, subirà la condanna, chiunque esso sia. E quanto a me, se predicassi ancora la circoncisione, perché sono perseguitato? Allora la pietra d’inciampo della croce sarebbe eliminata. Che arrivino fino a mutilarsi del tutto coloro che mettono lo scompiglio tra di voi” (Ga, 5, 1-12).
Commento: In questo passaggio Paolo afferma che ogni uomo che sarà circonciso, sarà obbligato a mettere in pratica tutta la legge giudaica. Perciò, egli mette i Galati davanti all’alternativa: o si è cristiani con tutti i doveri che impone l’essere cristiani o si è giudei con tutte le implicazioni che impone la legge giudaica. Chi cerca la giustificazione nella legge è un giudeo. Chi è già cristiano e assume un tale atteggiamento, perciò stesso, cessa di essere cristiano e torna ad essere giudeo. “Se voi cercate la giustificazione nella legge, decadete dai privilegi del favore divino. Per seguire la via indicata da Cristo, non servono, né la circoncisione, né l’incirconcisione, ma la fede che si attua nello spirito di carità verso gli altri. Voi, Galati, correvate spediti in questa via, che cosa vi ha ostacolato di continuare a percorrere quella via, che poi era la strada giusta da seguire nella vita? Una piccola quantità di pasta inacidita può fare inacidire l’intera massa della pasta; così, nella società, certe volte volte bastano pochi agitatoti per gettare lo scompiglio in un gran numero di persone. Comunque dice l’Apostolo “Io ho la forte persuasione che voi la pensiate come la penso io. Chi semina lo scompiglio tra di voi, chiunque esso sia, subirà la condanna eterna. Quanto a me, se io predicassi ancora la circoncisione, allora cesserei di essere perseguitato. La presenza di Cristo crocifisso per i Giudei non costituirebbe più una pietra d’inciampo”. A conclusione del suo discorso, l’Apostolo lancia l’invettiva finale: “che i perturbatori, con la circoncisione, possano arrivare a mutilarsi del tutto” (Ga, 5, 10-12).
Testo: “Voi, infatti, fratelli, siete stati chiamati alla libertà- continua l’Apostolo; soltanto non dovete poi servirvi della libertà come pretesto per la carne, ma per mezzo della carità, siate in permanenza gli uni schiavi degli altri. poiché la legge trova la sua pienezza in una sola parola e cioè: amerai il tuo prossimo come te stesso. Se poi vi mordete e divorate a vicenda, vedete di non distruggervi gli uni gli altri!” (Ga, 5, 13-15).
Commento: I Galati, come tutti gli altri cristiani, sono stati chiamati alla libertà dalla legge dello Spirito; e questa libertà non dev’essere usata in modo distorto, magari finalizzata a soddisfare gli appetiti della carne, ma dev’essere impiegata per una causa ben più nobile: attuare lo spirito di carità vicendevole, che impone di essere disponibili a servire gli altri nelle loro necessità. La legge dello Spirito trova la sua pienezza nell’osservanza di una norma etica fondamentale, che suona nel modo seguente: amerai il tuo prossimo come te stesso. Se poi i Galati si comportano come cani ringhiosi, digrignando i denti e mordendosi a vicenda, stiano bene attenti a non distruggersi reciprocamente in una lotta dissennata degli uni contro gli altri.
In sintesi: In questa sezione l’Apostolo mette una radicale alternativa di vita ai Galati: o camminate sotto l’influsso dello Spirito, o seguite le bramosie della carne. La carne, infatti, ha desideri che sono contro lo Spirito, lo Spirito, a sua volta, ha norme che si oppongono alla carne. Questi due elementi, infatti, si contrappongono a vicenda, cosicché voi non fate quello che vorreste fare. Ma se voi fate prevalere la voce dello Spirito, non siete più sotto il dominio della legge. Ora, seguendo l’istinto della carne, sappiamo benissimo quali frutti esso comporta, azioni che si potrebbero raggruppare in quattro categorie di peccati: 1) peccati di natura sessuale: lussuria, fornicazioni, relazioni sessuali irregolari, impurità, disordine e dissolutezza, mancato controllo dell’impulso sessuale; 2) peccati contro la religione: idolatria, magia, stregoneria, doping; 3) peccati contro la carità: gelosie, liti, divisioni, contrasti, odio, egoismo, invidie; 4) peccati contro la temperanza: ubriachezza, orge, euforia indotta da mezzi illeciti. Tutti questi generi di peccati escludono il credente dall’eredità escatologica del regno di Dio. Invece, i frutti dello Spirito sono di ben altra natura: amore, gioia, pace, longanimità, bontà, benevolenza, fiducia, mitezza. La legge giudaica non ha niente a che fare con queste cose perché non ha alcun rapporto con le virtù dello Spirito. I cristiani, in virtù del sacrificio di Cristo che li ha riscattati dal peccato, hanno crocifisso le opere della carne. Se viviamo nello Spirito, camminiamo anche sotto la guida dello Spirito. Allora non diventiamo avidi di gloria vuota, divenendo gli uni oggetto d’invidia degli altri (Ga, 5, 16-25).
In questo passo l’Apostolo sollecita i Galati a comportarsi secondo lo spirito di carità e di solidarietà reciproca. “Pertanto, se un fratello che sbaglia viene sorpreso nell’atto di commettere una colpa, voi che siete guidati dallo Spirito, correggete costui con spirito di mitezza; e tu abbi cura di te stesso perché non abbia a soccombere, tu pure, nella tentazione. Portate vicendevolmente i vostri pesi, e portate così a compimento la legge di Cristo. Infatti, se qualcuno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso illudendosi. Ciascuno poi esamini il suo operato personalmente, e allora troverà in se stesso soltanto motivo di vanto e non nell’altro. Ciascuno infatti dovrà portare il proprio fardello. Colui che viene istruito nella parola deve rendere partecipe di tutti i suoi beni quello che lo istruisce. Non vi ingannate: Dio non permette che ci si prenda gioco di lui; l’uomo mieterà ciò che avrà seminato. Cioè chi semina seguendo la carne, dalla carne mieterà rovina: chi invece semina seguendo lo Spirito, dallo Spirito mieterà la vita eterna. Facendo il bene, non lasciamoci prendere da noia e stanchezza: a tempo debito mieteremo, se non allenteremo il nostro impegno. Perciò finché ne abbiamo l’occasione propizia, pratichiamo il bene verso tutti, ma soprattutto verso coloro che appartengono alla stessa nostra famiglia della fede”. (Ga, 6, 1-10)
Commento: In questo passaggio l’Apostolo sollecita i Galati a comportarsi secondo lo spirito di carità e solidarietà reciproca, dato il fatto che ciascuno è portatore di pregi e difetti. Dalla convivenza nello spirito di carità e di sopportazione reciproca, ne può derivare il bene comune e la pace sociale a favore dell’intera collettività. L’alternativa che l’Apostolo prospetta è quella di una difficile convivenza, fatta di cani ringhiosi che, digrignando i denti, si combattono a vicenda in una lotta dissennata verso l’autodistruzione sociale. Meglio praticare il bene verso tutti e, in modo particolare, verso i fratelli nella fede comune finché abbiamo il tempo e la possibilità di farlo.
Epilogo
A conclusione della sua missiva, Paolo aggiunge poche righe di sua mano per dare le sue ultime raccomandazioni. Egli cerca di smascherare i suoi oppositori agli occhi dei suoi fedeli, perché essi sono quelli che cercano di convincere i Galati a farsi circoncidere. Stigmatizza gli avversari, mettendo a nudo le loro intenzioni recondite. Essi si presentano come difensori della legge, non per convinzione, ma per fare bella figura davanti agli uomini, seguendo i bassi impulsi dell’umana ambizione e al fine di non essere perseguitati essi stessi. Per non apparire da meno dei giudei ortodossi, fanno propaganda per la circoncisione. Paolo avverte i suoi destinatari del fatto che neppure quelli che si fanno circoncidere sono scrupolosi osservanti della legge, tuttavia questi vogliono che i Galati si facciano circoncidere allo scopo di darsi vanto sulla debolezza degli altri. Al riguardo, afferma: “A me non avvenga mai di menar vanto se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo è stato crocifisso per me e io per il mondo. Infatti, né la circoncisione né la mancanza di essa sono alcunché, ma la nuova creazione. E quanti seguiranno questa regola pace e misericordia su di loro e sull’Israele di Dio. Del resto nessuno mi infastidisca: io infatti porto nel mio corpo i contrassegni di Cristo. La grazia del nostro Signore sia col vostro spirito, fratelli! Amen”.
Conclusione: Infine il suo caloroso commiato, enfatizzato da quel vocativo, fratelli! La sua benedizione finale e il suo Amen, che trasforma l’auspicio in preghiera che chiude il documento apostolico.