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Scritto Da Felice Moro il giorno 08 Gen 2009

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L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)

 

Archive for Ottobre, 2017

INTRODUZIONE AL ROMANZO “PALLIDO AUTUNNO”

Posted By Felice Moro on Ottobre 8th, 2017

Sommario

Innanzitutto occorre dare una semplice ma doverosa spiegazione sulla scelta del titolo e del sottotitolo. Pallido Autunno sono le prime due parole del testo, costituiscono l’incipit del romanzo e danno il titolo, sia al paragrafo di esordio, sia all’intero lavoro. Un tempo questa scelta era fatta nelle antiche tradizioni poetiche (Petrarca) e ancora adesso viene usata nelle encicliche papali, le cui prime parole del testo danno il titolo all’intero documento.

In questo caso Pallido Autunno è il tempo in cui è iniziata la storia, che diventa punto di riferimento nell’evoluzione dei fatti e chiave di volta  dell’intero racconto; e questo lo si capisce meglio dal sottotitolo, La vita del giovane Eufemio Coro. Per rendere la comunicazione più semplice e più immediata, in famiglia il nome era stato abbreviato, per cui tutti lo chiamavano Femio, come faremo anche noi nel corso del racconto. Ma si precisa che esso non ha nessun rapporto, se non di omonimia, con il mitico Femio dell’Odissea.

Nell’opera di Omero, Femio era un aedo greco che, con il suo canto, intratteneva i Proci nel palazzo di Ulisse a Itaca. Così indirettamente assecondava il disegno di Penelope di dilazionare le promesse nozze con uno di loro alla fine dell’indefinita tessitura della sua tela, ma nella segreta speranza del ritorno del marito Ulisse.

Il nostro Femio non è un aedo, ma un giove sardo che appartiene a una famiglia di lavoratori della terra. Fin da piccolo è introdotto dal padre, Bobore Junior, nel mondo della campagna per lavorare le colture e accudire il bestiame. Man mano che la famiglia cresce, aumenta il numero delle bocche da sfamare e per far fronte alle spese che diventano sempre più consistenti, il capo famiglia potenzia la sua azienda incrementando il bestiame. E nonostante la contrarietà del ragazzo al suo progetto, egli acquista una dozzina di pecore che, aggiunte alle altre poche che possiede da prima, formano un branco di ovini che affida alla custodia del figlio. Pertanto, non appena ha terminato la frequenza della scuola dell’obbligo, il ragazzo si trova di punto in bianco relegato in campagna a custodire le bestie. E siccome quell’attività da sola è poco redditizia, egli contribuisce anche al  lavoro dei  campi, che è l’attività economica principale della famiglia.

In questo modo,  il giovanotto si ritrova impegnato a tempo pieno a lavorare in campagna.

Ma, ahimè, si sa che le cose imposte contro voglia non vanno mai a buon fine!

Sebbene di malavoglia, all’inizio il ragazzo obbedisce alla volontà paterna. Si adatta alla situazione, compiendo il suo dovere con impegno, anche perché nel frattempo si è affezionato agli animali che, a modo loro, gli ricambiano l’amicizia. ll padre contava moltissimo sul fattore adattamento, perché pensava che, a lungo andare, il giovane si sarebbe abituato a fare quel mestiere, ci avrebbe provato gusto e non avrebbe più protestato. Ma il ragazzo, in cuor suo, la pensa diversamente. Siccome non gli piaceva vivere in campagna, pur evitando clamorosi atti di ribellione in famiglia, più volte sollecita il genitore a vendere il bestiame perché egli non vuole continuare a fare il pastore. E allora, che cosa vorrebbe fare? Questo, per il momento, non lo sa neanche lui!

Egli sa soltanto quello che non vuole fare. Ma, su ciò che avrebbe voluto o potuto fare, non si sbilancia perché non ha ancora le idee chiare; e sulla sua incertezza, pesa molto la situazione familiare. Egli sa che, per tentare di fare un passo coraggioso verso una possibile scelta di suo gradimento, è necessario disporre di adeguate risorse economiche che la famiglia non ha.

Comunque si sarebbe adattato a tutto, gli sarebbe andato bene qualunque altro mestiere: la carriera militare, l’artigiano del legno o della pietra e perfino il contadino, come d’altronde aveva fatto prima  e che, in parte, continuava a fare anche adesso! Insomma, tutto, fuorché il pastore!

Infatti, appena può, riesce a convincere il padre a vendere le pecore e a farsi mandare di nuovo a scuola. E, nonostante fosse molto in ritardo, il giovanotto si iscrive alla Scuola Media, frequenta la prima classe e parte della seconda. In corso d’anno si ritira, si prepara in privato e si presenta da esterno all’esame di licenza media, che supera in maniera brillante. Così compie il ciclo della scuola media in due anni, anziché  in tre, com’era previsto dall’ordinamento.

S’ iscrive all’Istituto Magistrale, dove frequenta regolarmente con successo fino a metà anno della terza classe. A questo punto il suo percorso scolastico subisce una brusca interruzione a causa dell’arruolamento forzoso nell’esercito per adempiere al servizio militare di leva.

Anche sotto le armi continua a studiare, almeno nei ritagli di tempo lasciatigli liberi dal servizio. Da autodidatta riesce a completare il programma della classe terza, interrotto al momento della sua improvvisa partenza. Poiché il Comando non gli concede la licenza per ritornare in Sardegna a sostenere l’esame, egli si presenta da privatista in divisa nell’Istituto Magistrale di Gorizia, il più vicino alla sua sede di servizio. Sostiene l’esame d’idoneità alla classe quarta nella sessione di settembre e viene promosso a pieni voti.

Sono tutti piccoli successi che tuttavia gratificano il giovane e lo incoraggiano ad andare avanti.

Dopo diciotto mesi di servizio militare, finalmente viene congedato!

Ritornato alla vita civile, si reca di nuovo in città, dove frequenta la classe quarta e consegue il diploma di Abilitazione con la votazione più alta dell’Istituto.

Dopo alcuni mesi comincia a lavorare. Ottiene, prima un incarico in una Scuola Popolare, poi la nomina per l’insegnamento di materie letterarie in una Scuola Professionale Agraria, della quale ha avuto l’ònere e l’onore  di essere stato il pioniere.

Vince il Concorso Magistrale, viene assunto in ruolo nell’organico dei maestri della provincia e inizialmente viene mandato ad insegnare in un paese vicino al suo, poi viene trasferito nella sua Anatia. Da quando ha incominciato a lavorare si è iscritto all’Università, dove frequenta, sia pure in maniera discontinua, il Corso di Lingue e Letterature Straniere. Per acquisire padronanza nelle lingue scelte come fondamentali del Corso di laurea, il francese e l’inglese, si reca prima in Francia, dove frequenta i Corsi estivi di lingua francese; poi a Londra, dove segue un Corso di lingua inglese.

Va tutto bene con il francese, meno bene con l’inglese. Nel sostenere l’esame di questa lingua incontra notevoli difficoltà che lo inducono a sospendere gli studi universitari, creando una battuta d’arresto nel suo avviato percorso accademico.

Intanto conosce una giovane collega, Angelica, della quale si innamora.

Bobore si ammala e, dopo pochi anni di malattia, muore. La sua precoce scomparsa crea disorientamento in casa e lascia un grande vuoto affettivo e morale nei familiari. Per forza di cose ricade sul figlio maggiore la responsabilità di sostenere la madre alla guida della famiglia.

Femio costruisce la casa vicino a quella paterna, di modo che, mentre attende agli impegni della nuova famiglia, possa seguire da vicino anche le vicende della famiglia di appartenenza. Egli non fa mancare il suo sostegno materiale e morale alla madre, rimasta vedova con gravosi problemi da risolvere: due figli piccoli agli studi e un’azienda rimasta all’improvviso senza testa e senza gambe. Data la situazione, Femio sente la responsabilità di sostituire il padre assente.

Angelica e Femio si sposano in una fredda giornata di gennaio, sotto una caratteristica, quanto affascinante, bufera di neve che li persegue anche durante il viaggio di nozze.

Al rientro a casa celebrano il ricevimento di nozze con una grande festa comunitaria, alla quale intervengono, oltre che i familiari e i parenti, molti altri invitati: amici, conoscenti e compaesani delle due comunità di provenienza degli sposi.

Rientrano ai loro posti di lavoro e riprendono la normale attività d’insegnamento.

Fin qui la cronaca asciutta e stringata degli avvenimenti materiali che costituiscono lo schema strutturale dell’opera, la fabula, nel linguaggio letterario. Qui il racconto s’interrompe.

 

Aspetto simbolico

L’opera è un romanzo autobiografico che narra le avventure di vita, di lavoro e di studio del giovane Femio Coro. Ma non si limita alla semplice narrazione delle sue vicende personali e di quelle degli altri personaggi coinvolti nella scena, che pure formano spezzoni importanti di una saga di vita di una famiglia e di un intero gruppo sociale. Ma la storia va ben oltre. Dal tronco del racconto principale si diramano altri rami secondari che, a loro volta, sviluppano altri avvenimenti annessi al primo e connessi tra di loro. Molti di questi fatti, pur traendo lo spunto dalle esperienze storiche del protagonista o degli altri attori che compaiono sulla scena, hanno già una loro compiutezza di forma e di significato, per cui possono essere considerati come unità narrative semiautonome. Formano le tessere di un grande mosaico, che, di volta in volta, riportano molte notizie su una grande varietà di tematiche: agricoltura, pastorizia, storia, geografia, antropologia, ambiente, politica internazionale, segmenti di vita in famiglia o nei quartieri militari, scuola, educazione e cultura. Sono schede che descrivono esperienze fatte dal protagonista nel tempo della sua gioventù. Sono elementi che si aggiungono e si fondono nel racconto principale, al cui intreccio contribuiscono con un ampio apporto di idee, immagini, conoscenze ed emozioni.

Pertanto, a partire dalle avventure del protagonista, la trama si amplia e si complica in molte altre tematiche storiche e culturali connesse tra di loro. Parallelamente a quest’evoluzione, si attenua l’autobiografismo e la storia si evolve in altre prospettive, spazia in orizzonti culturali diversi.

Ne deriva un’opera poliedrica che, oltre l’aspetto autobiografico, è anche un romanzo storico e un saggio di antropologia culturale.

Romanzo storico, perché ha una sua collocazione spaziale e temporale ben precisa con i riferimenti a luoghi, figure e a fatti, la cui realtà costituisce un pacchetto di verità storiche inoppugnabili. Elementi, questi, che contestualizzano il racconto alla storia del suo tempo.

Saggio di antropologia perché la platea degli attori coinvolti nella scena si espande a spirale, dal protagonista alla famiglia, alla comunità di appartenenza e alla più vasta collettività sociale, riportando arti e mestieri, usi e costumi, valori, tradizioni e pregiudizi del passato.

Molti dei personaggi che compaiono sulla scena rappresentano simboli concreti di alcune categorie sociali di quel tempo: contadini, pastori, operai, madri di famiglia, insegnanti, militari.

La prima realtà che s’impone all’attenzione del lettore è il piccolo mondo circostante: contadini, pastori e operai, che lavorano duramente per sopravvivere e per darsi una speranza di cambiamento. Poi c’é un mondo giovanile che si dà da fare per apprestarsi un avvenire migliore di quello delle generazioni precedenti. Un altro aspetto è quello che ritrae la condizione della madre di famiglia, addetta, non solo alla procreazione e all’educazione dei figli, ma anche a tutta una serie di umili lavori che porta avanti in silenzio,  in casa e in campagna.

Un altro aspetto cerca di mettere a fuoco i molteplici e non facili problemi della scuola e dei suoi operatori, più o meno validi, più o meno impegnati nelle loro attività educative.

Il protagonista rappresenta un significativo anello della catena generazionale, che vive e opera in quel particolare momento storico, in cui è avvenuto il processo di trasformazione della società negli ultimi settant’anni; cioè in quell’arco di tempo nel quale, si è passati dalla misera, ancorché bucolica vita dei campi e dell’ovile del villaggio natio, alla frenetica vita della moderna civiltà dei consumi, opulenta, efficiente, tecnologica, ma anche anonima, spersonalizzata e  anche spietata.

Le diverse componenti hanno, come comune denominatore, la storia del protagonista. Questa rappresenta lo sviluppo dell’ordito in senso longitudinale, l’asse intorno a cui si raccordano gli altri motivi radiali, il cui intreccio forma il composito tessuto narrativo.

Il villaggio di Anatia è il baricentro della scena, il caput mundi geografico, storico e antropologico, il fulcro della narrazione stessa. Da lì parte e si dipana tutta la storia, le mille storie che poi confluiscono nel racconto principale; lì fa ritorno il lungo e avventuroso viaggio di realizzazione professionale, culturale e umana del protagonista.

In termini di rappresentatività concettuale si può dire che l’opera trasferisce sul piano simbolico, non soltanto le poliedriche sfaccettature delle esperienze di studio e di vita del protagonista, ma coinvolge nella narrazione molti altri aspetti significativi della società civile, delle istituzioni e della cultura del XX secolo. In poche parole si può dire che essa rappresenta la storia di come eravamo, come pensavamo, agivamo e vivevamo in Sardegna e altrove, in un passato non troppo lontano.

 

Alcune questioni di metodo

In generale il romanzo riporta i fatti come sono avvenuti, senza nulla aggiungere o stravolgere la realtà per farla apparire più bella o più interessante di quella che è stata realmente. In questo lavoro non c’è spazio per l’invenzione fiabesca, né per includere elementi sensazionali ad effetto.

La storia narrata costituisce la vera realtà dei fatti, vissuti in prima persona dal protagonista e dagli altri personaggi che compaiono, creano gli eventi e scompaiono in maniera del tutto naturale.

Una realtà umana, fin troppo umana! Una pagina di umile verismo del secolo scorso, forse in contrasto con la globalizzazione comunicativa del rampante ventunesimo secolo!

Tuttavia essa non è una semplice cronaca biografica, storica o antropologica su alcuni personaggi o gruppi umani. Comprende, sì, tutti questi aspetti ma, nello stesso tempo, è qualcosa di diverso e di più significativo. Rappresenta il tentativo di cogliere, sotto la lente narrativa, la realtà dinamica in cui, i fatti e i personaggi, pur essendo stati colti nei tratti dei loro spontanei comportamenti umani, subiscono una misteriosa metamorfosi.

Si tratta della trasfigurazione che essi subiscono dal momento della loro trasposizione dal piano della realtà vissuta e agita nella vita quotidiana a quello della figurazione artistica, perché l’arte ha il magico potere di trasfigurare la realtà per renderla imperitura nel tempo.

Inoltre, in modo indiretto ma chiaro, il libro contiene anche i suoi messaggi pedagogici, protesi ad educare i giovani ad investire bene il tempo che hanno a disposizione, ad amare il lavoro, le sfide positive, le assunzioni di impegni e di responsabilità personali che, immancabilmente, la vita comporta. Insegna ad affrontare i sacrifici, imparare a vivere per imparare a sperare e a sognare. Possibilmente anche a occhi aperti, onde avere le capacità e l’orgoglio di trasformare i sogni in realtà positive per sé e per gli altri! Alcune parole o frasi idiomatiche sono state scritte in sardo, in latino o in altre lingue, ma con accanto la traduzione in italiano. Questa è stata evitata in alcuni casi per non appesantire la prosa, specialmente quando si trattava di frasi brevi o testi semplici, comprensibili anche a intuito. Altre parole o frasi, scritte in sardo e chiuse tra parentesi, hanno valore pleonastico. Esse non sarebbero state neppure necessarie all’economia del discorso, ma sono state riportate per rendere più chiari alcuni concetti e rimarcare la connotazione del racconto made in Sardinia.

La forma espressiva è spontanea e scorrevole; il linguaggio utilizzato è essenziale, chiaro e accessibile a tutti. A questo riguardo è opportuno sottolineare il fatto che, per quanto possibile, si è cercato di utilizzare un linguaggio semplice, conciso ed efficace. E non soltanto per facilitare la lettura e la comprensione materiale del testo, ma anche per agevolare le profonde implicazioni che il linguaggio formale svolge nella dinamica del pensiero di ciascuno di noi.