
L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)
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Negli ultimi tempi la Lettera di San Paolo agli Efesini è al centro di dibattiti e discussioni contrastanti tra i teologi e gli esegeti dell’epistolario paolino, circa l’autenticità dei destinatari (gli Efesini) per questioni non di poco conto. Ciò che è messa in discussione è la locuzione “ai santi che sono in Efeso” che non compariva nel testo originale, mentre è comparsa in alcuni codici meno antichi, forse datale da alcuni amanuensi nel tentativo di dare un destinatario preciso alla lettera. Infatti, nell’indirizzo del testo originale è scritto semplicemente “Paolo Apostolo in Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi fedeli in Gesù Cristo” (Ef1-2).
Non sono nominati, né gli Efesini, né altri destinatari specifici, identificabili attraverso le normali coordinate di nome, di luogo e di tempo. Generalmente, nella parte finale delle sue lettere, Paolo manda i saluti agli amici più stretti, che hanno collaborato con lui nell’impegno missionario, mentre la finale di Efesini non riporta saluti per alcuno. Vi è poi un contrasto netto di contenuto, di metodo e di approccio relazionale dell’Apostolo ai suoi fedeli. In Efesini i concetti fondamentali sono molto elaborati e di alta levatura teologica e dottrinale: il progetto di Dio sulla creazione, Dio che ha stabilito l’elezione dell’uomo già prima della creazione del mondo, il disegno salvifico incentrato sulla rivelazione, il sacrificio di Gesù Cristo per la redenzione dell’uomo dal peccato originale, la figura del corpo mistico di Cristo nella Chiesa, formato da Giudei e Pagani, finalmente riuniti insieme, rappacificati ed eletti entrambi i popoli nell’unità della fede, sono tutti concetti più elaborati e meglio definiti, nella forma, nella portata concettuale e nel lessico, di quanto non lo siano le strutture concettuali parallele delle altre lettere apostoliche. Sul metodo poi, questo documento, messo in parallelo con gli altri scritti, presenta differenze di linguaggio e di rapporto relazionale tra l’Apostolo e i suoi fedeli. Anche a una semplice lettura, chiunque coglie i diversi atteggiamenti tra i dialoghi serrati, caldi ed emotivamente coinvolgenti, che Paolo stabilisce con gli interlocutori delle altre lettere (Filippesi, Tessalonicesi, Corinzi, ecc.) e l’asetticità emotiva, la mancanza (o l’omissione) di ricordi o di esperienze comuni fatte con gli Efesini, l’assenza d’indicazioni sull’identità dei destinatari, Efesini o altri. Questo contrasto diventa ancora più significativo, se si tiene conto del fatto che Paolo, precedentemente, per quello che sappiamo dagli Atti degli Apostoli, aveva soggiornato a Efeso per un periodo di tempo di almeno tre anni, tempo più che sufficiente per crearsi solide amicizie, di cui non rimane alcuna traccia nella lettera di cui trattasi. La tradizione, a cominciare dall’interpretazione che ne diedero i Padri della Chiesa e fino agli studi di teologia dei secoli recenti, tutti gli studiosi hanno sempre attribuito alla lettera la destinazione Efeso. La macroscopica discrasia, dell’assenza di riferimenti specifici di quest’epistola e l’abbondanza di riferimenti autentici contenuti nelle altre lettere, hanno fatto scattare i dubbi nei commentatori dell’Ottocento. Da allora in poi, la maggior parte degli studiosi sostiene la tesi, secondo cui, lo scritto sarebbe stato il testo di una lettera circolare, mandata in copia a tutte le chiese dell’Asia Proconsolare, tra le quali anche a quella di Efeso. Lo spazio per l’indirizzo sarebbe stato lasciato in bianco, dove, di volta in volta, il latore della missiva, il messaggero Tichico o qualche altro, avrebbe aggiunto il recapito specifico di destinazione.
Il carattere generico, distaccato e impersonale, il contenuto teologico elevato, la forma linguistico-lessicale elaborata, l’insicura tradizione scritta ed altri elementi vari, fanno propendere per la tesi, secondo cui, la lettera sarebbe nata come circolare. Il fatto che la tradizione le abbia attribuito come destinatari gli Efesini, dipenderebbe o dall’indicazione imprecisa dei testi meno recenti e/o anche dall’indicazione del luogo in cui è finito il documento in origine. Infatti, esso è stato conservato a Efeso e lì è stato ritrovato quando, intorno al 125 d.C., iniziò la raccolta organica degli scritti paolini.
La lettera agli Efesini e la lettera ai Colossesi presentano molte affinità di linguaggio e di forma; i contenuti teologici di entrambe molto elevati denunciano il fatto che le due lettere sono frutto dell’età matura dell’Apostolo; probabilmente sono state scritte nello stesso periodo storico, magari durante la prigionia dell’Apostolo a Roma, negli anni 62/63 d. C.-
Tuttavia, occorre pur precisare che, nonostante le molte similitudini concettuali e formali che le collegano, le due lettere hanno fisionomie autonome e abbastanza diverse tra di loro; in modo particolare l’epistola agli Efesini ha un’architettura concettuale, formale e linguistica distinta, del tutto indipendente e a sé stante, rispetto a tutte le altre lettere della produzione paolina. Questa lettera trasporta il lettore nella mistica atmosfera spirituale che nutriva l’Apostolo verso la fine della sua esistenza terrena.
“Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi fedeli in Cristo Gesù. Grazia e pace a voi da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo” (1-2)
Nel primo capitolo l’Apostolo fa un lungo discorso su un complesso brano di eucologia (aspetto dogmatico, mistico e liturgico insieme della preghiera).
Testo: “Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale nei cieli ci ha colmati di ogni sorta di benedizione spirituale in Cristo. Egli ci elesse in lui prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e irreprensibili davanti a lui, predestinandoci, con amore, ad essere suoi figli adottivi tramite Gesù Cristo, secondo il benevolo disegno della sua volontà, a lode e splendore della sua grazia, il quale ci ha gratificati nel Diletto. In lui, mediante il suo sangue, otteniamo la redenzione, il perdono dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia, che si è generosamente riversata in noi con ogni sorta di sapienza e intelligenza. Egli ci ha manifestato il mistero della sua volontà, secondo il benevolo disegno che aveva in lui formato, per realizzarlo nella pienezza dei tempi: accentrare nel Cristo tutti gli esseri, quelli celesti e quelli terrestri. In lui siamo stati scelti, essendo stati predestinati secondo il disegno di colui che tutto compie in conformità del suo volere, ad essere, a lode della sua gloria, noi (Giudei) i primi, che hanno sperato in Cristo. In lui anche voi (Pagani), dopo aver udito la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, avendo anche creduto in lui, siete stati contrassegnati con lo Spirito Santo che fu promesso; questo è l’anticipo della nostra eredità, per il riscatto della sua proprietà, a lode della sua gloria” (3-14).
Commento: In questo magnifico discorso, teologico e spirituale insieme, l’Apostolo fa un lungo elenco dei doni umani e spirituali, che l’uomo ha ricevuti da Dio: il progetto di salvezza, la predestinazione dell’elezione a figli adottivi fin dalla creazione del mondo, il dono della grazia, il perdono dei peccati, l’iniziazione al mistero salvifico con l’opera di redenzione operata da Gesù Cristo, l’ordine di elezione a figli: i Giudei prima, i Gentili poi; entrambi i popoli sono stati confermati dallo Spirito Santo, come legittimi eredi dell’escatologia nella vita futura. L’Autore trasporta il credente sul piano celeste e ivi lo trattine per tutta la durata della sua narrazione epistolare. L’aria che si respira nella lettura di questo brano è densa di espressioni e di concetti che trasportano il lettore in una sublime e tersa atmosfera celestiale, dove l’anima respira il palpito spirituale della presenza di Dio.
L’ Apostolo, avendo sentito parlare della grande fede che i destinatari hanno in Cristo e del loro amore per i santi, eleva, per loro, continui ringraziamenti nelle sue preghiere.
Testo: “Affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi doni uno spirito di sapienza e di rivelazione per meglio conoscerlo. Egli vi illumini gli occhi della mente, perché possiate comprendere quale è la speranza della sua chiamata, quale la ricchezza della sua gloriosa eredità tra i santi e quale straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo, come attesta l’efficacia della sua forza irresistibile, che dispiegò nel Cristo, risuscitandolo dai morti e insediandolo alla sua destra nella sommità dei cieli, al di sopra di ogni Principio, Autorità, Potenze, Signoria e di ogni altro nome che viene nominato, non solo in questo secolo, ma anche in quello avvenire. Ha disposto tutto ai suoi piedi e lo ha costituito, soprattutto capo della Chiesa, che è il suo corpo, la pienezza di lui che tutto, sotto ogni aspetto, riempie” (15-23).
Commento: La prolissità del periodare e alcune asincronie formali non devono stupire, pensando al fatto che la lettera è stata dettata da un uomo di cultura ebraica, che si esprime in lingua greco-ellenistica ed è stata scritta da un ignoto amanuense. Se la destinazione specifica della lettera fosse stata Efeso, sarebbe sorprendente il modo di esprimersi dell’Autore in questo passaggio, dove i destinatari sembrano degli esimi sconosciuti, mentre sappiamo bene dagli Atti degli Apostoli (At19-20), che precedentemente Paolo soggiornò a lungo a Efeso, per cui gli efesini non sarebbero stati persone a lui sconosciute.
L’Apostolo riprende l’intenso discorso diretto con i pagani convertiti, destinatari della lettera:
Testo: “E voi (ex-Gentili) ch’eravate morti in seguito ai vostri traviamenti e ai vostri peccati, nei quali una volta vivevate secondo lo spirito di questo mondo, secondo il principe del regno dell’aria (Satana), quello spirito che tuttora è all’opera tra gli uomini ribelli … Tra loro (Pagani) un tempo vivemmo noi tutti (ex-Giudei) presi dai desideri carnali, assecondando gli stimoli della carne e i suoi istinti ed eravamo, per naturale disposizione, come tutti gli altri, oggetto d’ira. Ma Dio, che è ricco di misericordia, per l’immenso amore con il quale ci ha amati, per quanto fossimo morti (nello spirito) in seguito ai traviamenti, ci ha fatto rivivere col Cristo — foste salvati gratuitamente! – e ci ha risuscitati e insediati nella sommità dei cieli in Cristo Gesù per dimostrare nei secoli futuri, con la sua bontà in Cristo Gesù verso di noi, la traboccante ricchezza della sua grazia. Infatti, per la grazia tramite la fede, siete salvi: – ciò non proviene da voi: è dono di Dio; – non dalle opere, perché nessuno se ne vanti. In realtà noi siamo sua opera, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha predisposto, perché le compiamo” (1-10).
Commento: Qui Paolo riflette sulle condizioni nelle quali versava l’intera umanità prima della redenzione. I Pagani, che non avevano leggi morali e anche i Giudei, che pure avevano la legge ma la trasgredivano regolarmente, cercavano di soddisfare gli impulsi sfrenati della carne; e lo facevano, non per perversione istintuale naturale, ma per l’incapacità di evitare la colpa. Pertanto, per colpa del peccato originale, dal punto di vista religioso, l’intera umanità era un’immensa massa di dannati, senza possibilità di scampo. Per sottrarre i figli di Adamo a questa condanna di morte spirituale senz’appello, Dio, nella sua infinita sapienza e misericordia, ha concepito il piano di salvezza, che poi ha attuato il suo figlio prediletto, Gesù Cristo, con il suo sacrificio sulla croce. Tutto il discorso dell’Apostolo esalta i fastigi della gloria celeste per le anime che Dio ha salvate, non per i loro meriti, ma per un suo dono gratuito.
Nella premessa fatta nell’eucologia iniziale, l’Apostolo aveva parlato della grandiosità e magnificenza del progetto salvifico di Dio per salvare l’uomo peccatore dalla sua condanna a morte eterna. Ora si rivolge nuovamente ai destinatari dell’epistola, efesini o chiunque altri siano stati, ricordando loro quello che erano prima (dell’avvento di Cristo), quello che è accaduto (la redenzione portata da Gesù), quello che sono adesso (salvati).
Testo: “Pertanto ricordate che un tempo voi, Gentili nella carne, chiamati incirconcisi da coloro che si dicono circoncisi per un’operazione subita nella carne, eravate in quel tempo senza Cristo, esclusi dal diritto di cittadinanza di Israele, stranieri all’alleanza promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora però voi, che un tempo eravate i lontani, in Cristo Gesù siete divenuti vicini, grazie al suo sangue sparso sulla croce. Egli, infatti, è la nostra pace (tra Pagani e Giudei), che ha fatto di due popoli uno solo, abbattendo il muro divisorio, annullando nella sua carne l’inimicizia, questa legge dei comandamenti con le sue prescrizioni, per formare, pacificandoli, dei due popoli un solo uomo nuovo (unico corpo umano dei credenti) e per riconciliare entrambi con Dio in un solo corpo mediante la croce (che produce l’effetto di fondere i due popoli in uno solo), dopo aver ucciso (eliminato) in se stesso l’inimicizia. E venne per annunciare pace a voi, i lontani, e pace ai vicini, perché per suo mezzo, entrambi in un solo spirito (poco prima ha parlato di uniti in un solo corpo, adesso parla di uniti in un solo spirito) entrambi abbiamo libero accesso al Padre” (2, 11-18).
Commento: Cristo qui si è fatto annunciatore di pace, sia ai Pagani, i lontani, sia ai i vicini, i Giudei, il popolo eletto; anche questi avevano bisogno di pacificazione, non solo con gli altri uomini, ma prima di tutto con Dio stesso, essendo essi peccatori come gli altri uomini. La nuova pace proclamata da Cristo è confermata dalla possibilità che hanno i due popoli, Giudei e Gentili, di accedere al Padre mediante lo spirito di Cristo glorioso. Poi l’autore continua il suo discorso:
Testo: “Così, dunque, non siete più stranieri, né pellegrini, ma concittadini dei santi e familiari di Dio. Il vostro edificio ha per fondamento gli apostoli e i profeti, mentre Cristo stesso è la pietra angolare, sulla quale poggia tutta la costruzione in armoniosa disposizione e cresce come un tempio santo nel Signore, nella cui edificazione voi siete incorporati come dimora di Dio nello Spirito” (2, 19-22).
Così gli interlocutori destinatari della missiva, che prima erano Pagani e, come tali, estranei alla fede, ora, per opera dello Spirito Santo che agisce per mezzo del battesimo, sono diventati concittadini dei santi. Pertanto, uniti ai Giudei a formare un unico popolo misto dei credenti, sono diventati, anch’essi, la santa dimora di Dio, il nuovo corpo vivente della Chiesa nascente, paragonato a un solido edificio materiale, le cui fondamenta sono stati gli apostoli e i profeti (gli evangelisti) e la cui pietra angolare, la chiave di volta dell’intero edificio, è Cristo stesso.
Su quest’imponente e armonioso edificio, che forma la chiesa militante sulla terra, sono incorporati gli Ebrei (Paolo, malgrado la loro ostilità nei suoi confronti, ha sempre un occhio di riguardo per i suoi connazionali) e i Gentili convertiti; e quest’edificio è destinato alla crescita armoniosa e alla santificazione dei suoi membri.
In questo brano, come in altri passaggi delle sue lettere, Paolo dichiara l’origine e la natura divina del suo ministero. Testo “Per questo motivo (la frase si connette bene con il discorso precedente), io Paolo, prigioniero di Cristo Gesù a :vostro favore, o Gentili … Avete certamente sentito parlare del ministero di grazia, che Dio mi ha affidato per il vostro bene, cioè, per rivelazione, mi è stato fatto conoscere il mistero – come ho brevemente esposto e quindi, leggendo, potete capire quale conoscenza io abbia del mistero di Cristo – che nelle generazioni passate non fu svelato agli uomini, come ora è stato rivelato per mezzo dello Spirito ai suoi santi apostoli e ai profeti: che i Gentili sono stati ammessi alla stessa eredità del regno, sono membri dello stesso corpo e partecipi della stessa promessa in Cristo Gesù, mediante il Vangelo, del quale sono divenuto ministro, secondo il dono della grazia, che Dio mi ha dato in virtù della sua forza operante. A me, il più piccolo di tutti i santi, è stata concessa questa grazia di evangelizzare i Gentili l’inscrutabile ricchezza del Cristo e di illustrare il suo piano salvifico, il mistero, che Dio, creatore dell’universo, ha tenuto in sé nascosto nei secoli passati per svelarlo ora ai Principi e alle Autorità celesti, mediante la Chiesa, secondo la multiforme sapienza divina, secondo il disegno formulato nel Cristo Gesù, nostro Signore, nel quale, mediante la fede in lui, abbiamo la libertà di parola e fiducioso accesso. Vi prego di non scoraggiarvi per le mie afflizioni (la prigionia) a vostro favore, perché sono la vostra gloria” (3, 1-13).
Commento: L’Apostolo qui dimostra di non conoscere i destinatari della sua missiva. (In tal caso la cosa sarebbe sorprendente e avvalorerebbe la tesi, secondo cui, i destinatari specifici, non sarebbero esclusivamente gli efesini, ma altri o, almeno, compresi altri soggetti). Questo perché appare inverosimile, che egli si rivolga in forma anonima agli efesini, con i quali aveva convissuto per anni, durante le sue prime missioni nell’Asia romanizzata. Non dice a quale ministero egli si riferisce, si presume che alluda al suo ministero di Apostolo delle Genti (Gentili); ma se fosse così, gli Etno-cristiani ben conoscevano il suo impegno missionario a favore dei popoli non circoncisi. L’argomentazione di questo brano tende a convincere il lettore sull’autenticità del messaggio, di cui si sente investito come araldo: il mistero della salvezza dell’uomo per mezzo della redenzione apportata da Gesù Cristo con il suo sacrificio sulla croce. Si tratta del progetto salvifico di Dio sull’uomo, che fu tenuto segreto per secoli alle passate generazioni, ma ora svelato alle generazioni presenti, per mezzo dei santi apostoli e dei profeti della Nuova Legge (il Vangelo di Gesù). Il mistero di cui egli è portatore è l’annuncio del Vangelo ai Gentili, per mezzo del quale, sono decadute tutte le discriminazioni razziali e religiose tra Ebrei e Pagani. Gli uni e gli altri sono ammessi al banchetto della nuova fede, a formare il nuovo popolo di Dio, il corpo vivente della chiesa militante. Il mistero di cui parla non è tanto quello a lui rivelato, quanto quello da lui annunciato. Così il Vangelo e il ministero apostolico sono indissolubilmente legati a lui, in virtù della forza operante, che è in Dio, il quale gli ha conferito quest’investitura. L’Apostolo continua il suo lungo discorso dicendo: “Per questa ragione, piego le mie ginocchia davanti al Padre (dal quale ogni famiglia ha in cielo e in terra la sua concreta esistenza) perché vi conceda, secondo i tesori della sua gloria, di irrobustirvi nella forza, grazie al suo spirito, in vista dell’uomo interiore, di ospitare, per mezzo della fede, nei vostri cuori il Cristo, affinché, radicati e fondati nell’amore, riusciate ad afferrare insieme a tutti i santi, il senso della larghezza, lunghezza, altezza e profondità, cioè a conoscere l’amore di Cristo, che trascende ogni conoscenza e vi riempiate in vista della totale pienezza di Dio. (La preghiera tende a conseguire tre finalità: il rafforzamento dell’uomo interiore, la presenza di Cristo nei cuori e l’unione nell’amore. Si tratta dell’impressione permanente dell’immagine di Dio nella propria coscienza, che conferisce all’anima la vitalità interiore. In altre parole, è l’azione dello Spirito santo, che invade e rafforza la voce di Dio nella coscienza di ogni uomo). E conclude il discorso
Testo: “A colui che ha la capacità di agire su tutti gli esseri, che è infinitamente più grande di quanto noi possiamo immaginare, sia gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni e per sempre. Amen” (3, 20-21).
Nota: (La dossologia finale è un’acclamazione liturgica particolare che, per energia spirituale ed intensità emotiva, supera tutte le altre dossologie, che l’Apostolo esprime nelle altre sue lettere apostoliche).
Nel capitolo quarto Paolo esordisce con una accalorata esortazione ai suoi fedeli per la loro unità spirituale che promuova la pace. Se essi vivranno uniti e in pace tra di loro, vivranno in pace con Dio, con Cristo, con il prossimo e con il mondo. Al riguardo egli dispiega il suo discorso, facendo una serie di acclamazioni:
Testo: “Perciò (sottintende le cose dette in precedenza), io, prigioniero per il Signore, vi invito a condurre una vita degna della vocazione, alla quale siete stati chiamati, con tutta umiltà e dolcezza, con longanimità, sopportandovi a vicenda con amore, preoccupati di conservare l’unità dello spirito col vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, così come siete stati chiamati a una sola speranza, che è la vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e padre di tutti gli esseri, il quale è al di sopra di tutti, agisce attraverso tutti e in tutti” (4, 1-6).
La varietà dei carismi, di cui ciascuno membro della comunità è portatore, trova il suo punto d’incontro e di unità in Cristo, che li distribuisce secondo i compiti, che ciascuno è destinato ad assolvere all’interno della comunità ecclesiale. Egli dichiara:
Testo: “A ciascuno di noi, poi, la grazia è stata concessa secondo la misura del dono di Cristo. Per questo dice: Salendo verso l’alto, condusse con sé torme di prigionieri, distribuì doni agli uomini (Sl. 68, 19). E’ salito, che altro significa se non che era disceso nelle regioni più basse, cioè la terra? Colui che discese è il medesimo che è anche salito al di sopra di tutti i cieli per riempire l’universo. E’ lui che ha investito alcuni come apostoli, altri come profeti (oratori ispirati), altri come evangelisti, altri come pastori e dottori per preparare i santi al ministero, per la costruzione del corpo di Cristo (la Chiesa), fino a che arriviamo tutti all’unità della fede e della piena conoscenza del figlio di Dio, all’uomo completo, a quel livello di sviluppo che realizza la pienezza del Cristo. Ciò affinché non siamo più come i bambini sballottati e portati qua e là da ogni soffiar di dottrine diverse, ingannati da uomini esperti nell’architettare inganni; ma vivendo la verità nell’amore, facciamo crescere l’universo verso colui che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, armoniosamente disposto e tenuto insieme per mezzo di tutte le articolazioni, che alimentano ciascun membro secondo la sua funzione, attua lo sviluppo edificandosi nell’amore” (4, 7-16).
Commento: In pratica i difetti che i cristiani dovrebbero evitare sono l’ingenuità, tipica dell’età infantile e l’incostanza che ingenera il dubbio, che insieme rendono debole la fede; la virtù che li rende forti e coerenti nella fede è vivere la verità nell’amore di Dio e del prossimo e in Dio si ricompone l’unità dell’essere.
In questo passaggio l’Apostolo fa un polemico confronto tra la vita che i Gentili conducevano prima della loro conversione e che i non convertiti conducono ancora, e la vita che conducono quelli che sono già convertiti alla fede in Cristo Gesù. Al riguardo, il missionario, nella sua allocuzione, senza peli sulla lingua esprime il giudizio severo sul sistema di vita dei Pagani:
Testo: “Non comportatevi più come si comportano i Gentili, con i loro folli pensieri, ottenebrati come sono nell’intelletto, estranei alla vita di Dio a causa della loro ignoranza e dell’indurimento del loro cuore. Divenuti insensibili, si sono abbandonati agli stravizi fino a commettere, con insaziabile frenesia, ogni genere d’immondezza” (4, 17-19).
Commento: In questo trinciante giudizio sulla vita morale dei Pagani riecheggiano le valutazioni negative che l’Apostolo aveva già espresso altre volte nelle sue lettere (Rom, 1,18-32), dove le valutazioni negative, però, fanno parte della sua polemica antigiudaica. Per loro fortuna, i destinatari di questa missiva hanno imparato da Cristo cose nuove, nella vita hanno appreso un’altra strada, un altro modo di comportarsi. Pertanto, se da Cristo hanno appreso un’altra dimensione della vita, più bella, più vera e più gratificante, essi si spoglino dell’uomo vecchio, della precedente vita sbagliata, che si dissolve inseguendo seducenti vane passioni. Perciò, egli sollecita “rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell’uomo nuovo, creato secondo Dio per vivere nella giustizia e nella santità della verità” (4, 21-24).
In questo brano l’Apostolo ribadisce i concetti già espressi nel brano precedente, cioè esorta i fedeli ad abbandonare i comportamenti dell’uomo vecchio e ad assumere comportamenti e atteggiamenti dell’uomo nuovo. Riportando alcune citazioni del Vecchio Testamento, dichiara:
Testo e commento: “Per questa ragione, rinunciando alla menzogna, ciascuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri. Se vi adirate, non peccate; ma il sole non tramonti sulla vostra collera” (detto popolare, come invito a spegnere la collera prima che tramonti il giorno, onde evitare di dare al Maligno l’occasione opportuna per fomentare la vendetta. Poi fa l’elencazione delle colpe che impediscono l’esercizio della carità, il cui catalogo richiama alla memoria, sia l’elenco dei vizi, sia la descrizione delle virtù, per cui attesta:
Testo: “Chi era solito rubare, non rubi più; piuttosto si preoccupi di produrre, con le sue mani, ciò che è buono e così soccorrere chi si trova in necessità. Dalla vostra bocca non escano parole scorrette ma, se mai, parole buone di edificazione, secondo le necessità, per fare del bene a chi ascolta. Non contristate lo Spirito santo di Dio, che vi ha segnato per il giorno della redenzione. Estirpate in mezzo a voi ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza, ogni cattiveria. Siate, invece, benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonatevi reciprocamente, come anche Dio vi ha perdonato in Cristo.
“Imitate Iddio, come figli diletti! Comportatevi con amore sull’esempio di Cristo che vi ha amati e offerto se stesso per noi, oblazione e sacrificio di soave odore a Dio” (Sl, 40,7; Ez 29,18).
L’Apostolo continua il suo discorso, peraltro non nuovo nelle sue lettere apostoliche, dove invita i fedeli ad evitare i vizi e i peccati, che insozzano la coscienza e a rivolgere costanti ringraziamenti a Dio per tutti i doni e le virtù che egli ci ha elargiti nella vita.
Testo: “Come si conviene tra i santi, tra voi non si sentano nominare fornicazione e qualsiasi altra impurità o cupidigia, né oscenità, discorsi frivoli o facezie grasse, tutte cose indecenti ma, piuttosto, (si sentano) parole di ringraziamento” (5,3-4). Osservazione: Abbandonando il piano lessicale astratto, l’Autore scende sul piano concreto, per cui prende di mira, non più i vizi in generale, ma i viziosi, coloro che praticano i vizi. Infatti, sviluppando meglio il suo discorso, scrive:
Testo: “Infatti, voi sapete che nessun fornicatore o depravato o avaro, cioè idolatra (perché considera il denaro come un dio) ha parte nel regno di Cristo e di Dio”. Nota: Abbandonarsi ai vizi significa ricadere in uno stato di vita peccaminosa come quella dei pagani o comunque precristiana, che impedisce all’uomo di elevarsi nella dimensione spirituale che lo avvicina a Dio. Egli continua affermando:
Testo: “Nessuno vi inganni con discorsi insipienti: proprio su quelli che sono ribelli e si lasciano sopraffare dai vizi piomba l’ira di Dio. Quindi non associatevi a loro. Eravate nelle tenebre, ma ora siete luce nel Signore; comportatevi da figli della luce. I frutti della luce sono: bontà, giustizia e sincerità e scegliendo questi beni, scegliete le cose che Dio gradisce. Non prendete parte alle attività infruttuose delle tenebre; ma piuttosto riprovatele, perché quanto esse fanno in segreto, è vergognoso anche a parlarne (perché delle cose combinate con la complicità delle tenebre diventa un fatto imbarazzante anche parlarne). Ma tutto ciò che è riprovato, viene manifestato dalla luce; infatti, quanto è manifestato è luce. Per questo si dice: Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo su te risplenderà!
Nota: Anche a un comune lettore delle Sacre Scritture non sfugge il fatto che, sulla contrapposizione della simbolica tra le categorie luce/tenebre, i frutti delle opere della luce e quelli delle tenebre, che Paolo fa in questo brano, risuona da vicino l’eco del Vangelo di Giovanni (Gv, 2, 19-21).
Testo: “Considerate, dunque, scrupolosamente il vostro modo di comportarvi, non da stolti, ma da uomini saggi che colgono le occasioni opportune perché i giorni che attraversiamo sono malvagi (i cristiani, che sono diventati intelligenti perché lo spirito li ha illuminati, non possono vivere distratti, ma devono stare attenti e utilizzare tutte le occasioni opportune per fare il bene. I giorni malvagi sono una metafora che sta per gli uomini malvagi).
Non siate, quindi, sconsiderati, ma cercate di capire quale sia la volontà del Signore; non ubriacatevi di vino, che è occasione di sregolatezze, lasciatevi invece riempire di Spirito, intrattenendovi tra di voi con salmi, inni e canti ispirati, cantando e salmeggiando col vostro cuore al Signore, ringraziando sempre per tutti Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (Ef, 5, 15-20).
Commento: In questo passaggio Paolo invita i fedeli a non lasciarsi distrarre dall’ebbrezza del vino o di altri piaceri sensuali, ma cerchino di capire quale sia la volontà del Signore e, con salmi, inni e canti, suscitino in tutti l’ebrezza che scaturisce dai carismi spirituali, ringraziando sempre Dio per tutti nel nome del nostro Signore Gesù Cristo.
In questo brano l’Apostolo esorta gli sposati ad attenersi a comportamenti degni del cristiano, da mantenere all’interno della vita matrimoniale. Esordisce dichiarando:
Testo: “Siate soggetti gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore, poiché l’uomo è capo della donna come anche Cristo è capo della Chiesa, lui il salvatore del corpo. Ora come la Chiesa è soggetta al Cristo, così anche le donne (sono soggette) ai loro mariti in tutto.
Mariti amate le (vostre) donne come il Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei per santificarla, purificarla con il lavacro dell’acqua unito alla parola, e avere accanto a sé questa Chiesa, gloriosa, senza macchia o ruga o alcunché di simile, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo i mariti devono amare le loro donne, come i loro propri corpi. Chi ama la propria donna, ama se stesso: infatti, mai nessuno ha odiato la propria carne; al contrario la nutre e la tratta con cura, come anche Cristo la sua Chiesa poiché siamo membra del suo corpo. (L’equiparazione dell’amore che l’uomo ha per la propria moglie a quello che ha per il proprio corpo, trova un riscontro rafforzativo nella frase successiva in termini ribaltati “chi ama la propria moglie, ama se stesso”). Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola carne (Gn, 2,24). Questo mistero è grande: io lo dico riferendomi al Cristo e alla Chiesa. In ogni caso, anche ciascuno di voi ami la propria donna come se stesso e la donna rispetti il marito” (Ef, 5, 21-33).
Commento: Questo brano non ha bisogno di alcun commento o di particolari spiegazioni, perché tratta uno degli argomenti più noti e più familiari al grande pubblico. Infatti, spesso viene letto durante la celebrazione della liturgia matrimoniale, proprio perché stabilisce i diritti e i doveri reciproci dei coniugi, i loro rapporti affettivi, il rispetto che ciascun coniuge deve avere per l’altro e le buone norme che regolano la pacifica convivenza familiare. La famiglia cristiana, sorretta dalla fede è come una piccola chiesa domestica, deve sempre ispirarsi al modello divino dell’unione che lega Cristo alla sua Chiesa, in cui i credenti sono incorporati.
In questo brano l’Autore esorta i componenti importanti della famiglia, genitori e figli, all’adozione di un rapporto relazionale positivo per entrambe le parti, ispirato alla fede, che trae fondamento dal quarto comandamento del Decalogo.
Testo: L’Apostolo raccomanda: “Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché ciò è giusto. Onora il padre e la madre è il primo comandamento con la promessa affinché te ne venga del bene e viva a lungo sulla terra (Es 20,12; Dt 5,16). E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma educateli correggendoli ed esortandoli nel Signore” (Ef, 6, 1-4).
Commento: I figli siano obbedienti ai genitori che vogliono il loro bene, hanno la responsabilità di allevarli, di educarli e per loro rappresentano la voce del Signore, che governa la famiglia verso il bene. Essi vogliono condurli a vivere una vita sana, piena di valori positivi nella fede in Dio, nel lavoro e nella loro piena realizzazione umana e spirituale. I padri non abusino della loro responsabilità educativa, portando i figli all’esasperazione con gli eccessivi interventi autoritativi, che potrebbero sortire effetti contrari a quelli voluti.
L’Apostolo esorta gli uni e gli altri a intrattenere rapporti reciproci positivi, sinceri e cordiali. Al riguardo egli dichiara: Testo: “Schiavi, obbedite ai vostri padroni terreni con timore e rispetto, con cuore sincero come al Signore; (praticamente gli schiavi obbediscano al padrone come che stiano obbedendo al Signore) non siate solleciti soltanto sotto gli occhi del padrone (quando vi controlla a vista) come chi intende piacere agli uomini, ma come gli schiavi di Cristo, che fanno con cura la volontà di Dio; serviteli con premura, come fossero il Signore e non uomini, convinti che ciascuno, schiavo o libero, riavrà dal Signore il bene che avrà fatto. E voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, smettendo di minacciare, consapevoli che nei cieli c’è il loro e il vostro Signore, che non ha preferenze personali” (Ef, 6, 5-9).
L’imparzialità di Dio, altrove rivolta soltanto agli schiavi, qui è estesa anche ai padroni.
L’Apostolo continua il discorso, esortando i fedeli a rinforzare il loro animo contro le subdole tentazioni del Maligno. “In definitiva rafforzatevi nel Signore e con la sua possente forza. Vestite l’intera armatura di Dio per contrastare le ingegnose macchinazioni del diavolo: infatti, non lottiamo contro una natura umana mortale, ma contro i principi, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo oscuro, contro gli spiriti maligni delle regioni celesti. Per questo motivo indossate l’intera armatura di Dio per resistere nel giorno del malvagio e, dopo aver tutto predisposto, tenete saldamente il campo”.
Nell’Antico Testamento era frequente presentare Dio con l’immagine del guerriero che indossa le armi per combattere i nemici. Qui l’Apostolo trasferisce quest’immagine, del Dio combattente, nel contesto di vita del cristiano. Poi egli continua il suo discorso descrivendo, con un’ampia e articolata metafora, l’armatura di difesa e di offesa del soldato romano: la cintura, la corazza, i sandali, lo scudo, l’elmo e la spada, che erano tutte armi ben note nel contesto storico del suo tempo. E continua:
“Mossi dallo Spirito, dice, pregate incessantemente con ogni sorta di preghiera e di supplica; vegliate e siate assidui nell’orazione per tutti i santi e anche per me, affinché mi sia concessa la libertà di parola per annunciare coraggiosamente il mistero, il Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e per osare di parlarne con franchezza, come è mio dovere” (Ef, 6, 18-20).
(Il missionario “in catene” esorta i fedeli alla preghiera, sincera e assidua, contro tutte le forze del male; per sé invoca la libertà, anche se non piena, come si aspetterebbe ogni comune mortale, ma almeno quella parziale della parola per continuare ad annunciare il Vangelo, compito per il quale egli è stato chiamato. Questo è il principale assillo dell’Apostolo).
“Affinché anche voi siate messi al corrente della mia situazione, di ciò che intendo fare (e forse sul significato della missiva) Tichico, fratello diletto e fedele servo nel Signore, (nonché latore della lettera), vi informerà su tutto. Ve lo mando proprio perché vi informi sulla nostra situazione e consoli i vostri cuori. Dio Padre e il Signore Gesù Cristo accordino ai fratelli pace, amore e fede. La grazia sia con tutti coloro che amano il Signore Gesù Cristo con sincero amore” (Ef, 6, 23-24).
Questa conclusione è diversa da quelle delle altre lettere dell’Apostolo. Infatti, nelle altre sue missive, Paolo mandava i saluti personali agli amici e collaboratori più stretti, mentre in questa non manda saluti a nessuno e non nomina alcuno. Questa finale è più vicina alla formula conclusiva di una cerimonia liturgica, piuttosto che al saluto di congedo di una normale comunicazione scritta, come l’Apostolo era solito fare. Infatti, egli augura ai suoi fedeli “grazia e pace, amore e fede”, come comunemente fa il sacerdote alla fine della messa domenicale. Le parole “con sincero amore” suonano come un richiamo all’insaziabile sete che ha l’uomo della vita eterna in paradiso con Cristo Gesù e i suoi santi.
Nel brano di esordio, l’Apostolo fa un importante discorso eucologico (mistico, dogmatico e liturgico insieme) benedicendo Dio padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ha colmato gli uomini di ogni benedizione spirituale, eleggendoli, già da prima della creazione del mondo, a suoi figli adottivi in Gesù Cristo, in cui Dio ha accentrato tutti gli esseri terrestri e celesti.
Gesù, con il sangue versato sulla croce, ha ottenuto per noi, come figli predestinati alla santità, la redenzione, il perdono dei peccati, la ricchezza della grazia spirituale. Prima i Giudei, poi i Pagani. Questi, avendo appreso dai missionari la Parola del Vangelo, sono stati salvati anch’essi dalla condizione di misera idolatria, in cui erano immersi e sono stati ammessi ad avere parte nell’eredità del regno.
L’Apostolo, avendo sentito parlare della grande fede dei destinatari, pur non conoscendoli di persona, li ringrazia per la loro buona volontà e prega affinché il Dio del nostro Signore Gesù Cristo doni loro lo spirito di sapienza e di rivelazione per conoscerlo meglio. Dio illumini gli occhi della loro mente per comprendere la grandezza della chiamata e la portata della loro speranza nella vita futura, che prima non avevano e che, vivendo nell’idolatria, non potevano avere. Quel Dio onnipotente che ha dispiegato la sua forza irresistibile per far risorgere suo figlio Gesù dai morti e l’ha ha assunto nella sommità dei cieli, collocandolo alla sua destra (locuzione, questa, che costituisce il testo di un preciso articolo del Credo simbolo apostolico), al di sopra delle gerarchie celesti, ha anche stabilito la funzione della Chiesa nel mondo, di cui Gesù è fondatore e capo universale,
L’Apostolo riprende il discorso diretto con i fedeli, ex pagani convertiti, dichiarando loro: “Voi, ex Gentili, che un tempo eravate morti a causa dei vostri traviamenti e dei vostri peccati, nei quali vivevate secondo lo spirito di questo mondo, che è sotto il dominio di Satana e che tuttora annovera, purtroppo, nel suo universo molti uomini ribelli …. Un tempo, Pagani come voi, eravamo anche noi, ex Giudei, sballottati dagli impulsi istintivi e intenti a soddisfare i desideri carnali, per cui anche noi, come gli altri, eravamo oggetto dell’ira divina. Per invertire questa triste e commiserevole condizione di peccato, che portava alla dannazione eterna dell’umanità intera, meno male è intervenuto Dio creatore che, nella sua infinita misericordia, per un suo gratuito atto di amore verso di noi, ci ha salvati, mandandoci il suo amato figlio, Gesù redentore. Eravamo figli del peccato, per cui eravamo tutti morti, ma Dio ci ha fatti rivivere con Cristo e in Cristo, destinandoci un posto nei cieli accanto a lui. Tuttavia, siamo chiari e riconoscenti a Dio per il fatto che la salvezza ci è stata data, non per i nostri meriti (di questo nessuno osi menare vanto!), ma è stato un dono gratuito che il Signore ci ha accordato per dimostrare nei secoli futuri la traboccante ricchezza della sua grazia, dandoci Gesù redentore; e l’ha fatto, affinché noi uomini nella vita operiamo il bene, facciamo opere buone.
Comunque, i destinatari del suo messaggio ricordino la loro origine pagana, quando non conoscevano ancora la Parola di salvezza di Cristo redentore, erano esclusi dall’eredità del regno d’Israele, stranieri alla promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora però, se Cristo è anche con loro, è grazie al sangue sparso sulla croce. Grazie al gesto di salvezza di Cristo, i due popoli, Giudei e Gentili, sono stati salvati e riconciliati per formare un solo popolo e un solo spirito, onde avere entrami libero accesso al Padre. Così i due popoli uniti formano la nuova costruzione della dimora di Dio nello Spirito.
Per adempiere al suo dovere missionario di portare l’annuncio della nuova fede ai Gentili, Paolo è prigioniero di Cristo e degli uomini. Questa missione gli è stata affidata da Dio stesso per far conoscere agli uomini il mistero di Cristo, tenuto nascosto agli uomini delle generazioni passate e adesso rivelato, per mezzo dello Spirito, ai suoi santi apostoli e profeti. Il lieto messaggio portato da Gesù Cristo agli uomini è che i Gentili sono stati ammessi, anch’essi, all’eredità del regno di Dio, fanno parte del corpo dei redenti e sono partecipi della stessa promessa fatta da Cristo nel Vangelo, di cui Paolo è ministro per grazia di Dio, il più piccolo dei santi. A lui è stata concessa la grazia di far conoscere ai Gentili l’imperscrutabile ricchezza di Cristo e il piano salvifico che Dio, creatore dell’universo, ha tenuto nascosto nei secoli passati per svelarlo adesso alle autorità celesti, mediante la Chiesa. “Vi prego di non scoraggiarvi per le mie afflizioni, patite per il vostro bene. – dice l’Apostolo – In fondo sono anche la vostra gloria”.
Auspica che Dio conceda loro di irrobustirsi nella fede, in vista della formazione dell’uomo interiore, che possa ospitare nella propria coscienza il Cristo, con tutta la lunghezza, l’altezza, la larghezza e la profondità del suo amore che trascende ogni conoscenza umana, di modo che tutti colmino la pienezza totale di Dio.
Paolo, “prigioniero nel Signore”, invita i destinatari a condurre una vita esemplare, degna della vocazione cui sono stati chiamati. La loro condotta sia improntata ad atteggiamenti di dolcezza, di umiltà, di longanimità, sopportandosi a vicenda con amore e conservando integro il vincolo della pace. Essi cerchino di vivere in accordo tra di loro, come che siano un solo corpo e un solo spirito, corrispondente alla loro vocazione in un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e padre di tutti gli enti, che è al di sopra di tutti e agisce attraverso tutti.
Paolo dice: “(Cristo) salendo verso l’alto, condusse con sé torme di prigionieri, distribuì doni agli uomini (SL68). La frase È salito che altro significa se non che era anche disceso nelle regioni più basse, cioè sulla terra? Colui che è disceso, è il medesimo che è anche salito al di sopra dei cieli per riempire l’universo.
È lui che ha dato agli uomini in dono la varietà dei carismi, in rapporto alla funzione che ciascuno svolge in seno alla comunità. Pertanto, alcuni sono stati investiti della carica di apostoli, altri di profeti, altri come evangelisti, altri ancora come pastori e dottori, per arrivare all’unità della fede, alla piena conoscenza di Dio, all’uomo completo.
Poi l’Apostolo richiama i fedeli, affinché i loro comportamenti siano confacenti con i principi dell’etica cristiana. Pertanto, evitino di comportarsi come i “Gentili che, con i loro folli pensieri, ottenebrati nell’intelletto, estranei alla vita del cristiano a causa della loro ignoranza e dell’indurimento del loro cuore. Si sono abbandonati agli stravizi fino a commettere ogni genere di immondezza. Voi, egli dice, da Cristo non avete appreso queste bassezze. Spogliatevi dell’uomo vecchio, carnale e rivestitevi dell’uomo nuovo spirituale, creato da Dio nella giustizia e nella santità della verità.
L’Apostolo continua la sua esortazione in negativo, dicendo: “Ciascuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri; se vi adirate, non peccate, purché la vostra collera svanisca prima che tramonti il sole; ciò affinché non diate adito al Maligno d’insinuarsi nei vostri cuori e nei vostri pensieri.
Chi era solito rubare, non rubi più, piuttosto s’impegni a lavorare per produrre con le proprie mani beni sufficienti a soddisfare, non solo i suoi bisogni, ma anche quelli degli altri. Dalla vostra bocca non escano parole scorrette, ma solo parole di edificazione degli altri che ascoltano i vostri discorsi. Non contristate in voi le azioni dello Spirito Santo. Estirpate dal vostro animo ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza, ogni cattiveria”; poi inverte il senso del discorso che, da negativo, prende il significato positivo: “Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi reciprocamente come Dio vi ha perdonati in Cristo (Ef, 4, 25-32).
L’esortazione dell’Apostolo continua anche nel capitolo quinto, affermando: “Imitate Iddio, come figli diletti e comportatevi con amore, sull’esempio di Cristo che vi ha amato e offerto se stesso, per noi oblazione e sacrificio di soave odore a Dio (SL 40, 7; Ez 29, 18).
Come fanno i santi, non si sentano nominare tra voi fornicazione, cupidigia, oscenità o altra impurità; sono discorsi frivoli o facezie grasse – tutte cose indecenti – piuttosto si sentano parole di ringraziamento. Infatti, voi lo sapete, nessun fornicatore, avaro o idolatra ha avuto parte nel regno di Cristo e di Dio.
Nessuno vi inganni con discorsi insipienti: proprio su questi disordini piomba l’ira di Dio sugli uomini ribelli. Se un tempo eravate tenebre, ora siete luce, perciò comportatevi da figli della luce …
Considerate scrupolosamente il vostro modo di comportarvi, non da stolti, ma da uomini saggi …
Non ubriacatevi di vino che dà occasione a sregolatezze, ma lasciatevi riempire dallo Spirito Santo, intrattenendovi tra di voi con salmi, inni e canti, ringraziando sempre Dio Padre e il Signore nostro Gesù Cristo (Ef, 5, 3-20).
Poi il discorso è rivolto alle norme di buona convivenza sociale, in particolare alla pacifica convivenza familiare. In gran parte ripete lo schema dell’analogo discorso già fatto in Col 3,18-25 e 4,1; l’unica differenza è che in Ef sono maggiormente sviluppate le parti dei rapporti tra mogli e mariti, tra genitori e figli, tra padroni e servi. Le mogli sono esortate ad accettare il rapporto di dipendenza dai loro mariti, non in una visione schiavistica, ma analogamente al rapporto di dipendenza che esiste tra la chiesa e Cristo, che è il suo capo, che l’ama e la dirige verso il bene. La famiglia, secondo l’ideale della chiesa paleocristiana di derivazione giudeo-ellenistica, rappresenta l’immagine della piccola chiesa domestica, dove l’amore, l’armonia e la pace devono regnare, non soltanto tra i coniugi, ma anche tra i genitori e i figli, tra i padroni e gli schiavi.
Inoltre, l’Apostolo esorta i fedeli a “indossare l’intera armatura di Dio, con a fianco la cintura della verità, la corazza della giustizia, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, per lottare resistere e vincere i continui assalti del Maligno. Pregate incessantemente con ogni sorta di preghiera e supplica anche per me, affinché mi sia concessa la libertà di parola per annunciare il vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene”.
Poi l’epilogo con l’annuncio dell’invio del suo fedele collaboratore e messaggero Tichico, che informerà gli interlocutori sulla sua condizione di apostolo prigioniero in carcere.
Infine, la benedizione finale, augurando ai fratelli pace, amore e fede. Contrariamente a quel che fa in chiusura delle altre lettere, qui non fa raccomandazioni particolari, né manda saluti ad alcuno.
La comunità cristiana di Colosse fu fondata insieme a quella di Laodicea e di Gerapoli, durante la missione apostolica di Paolo a Efeso, tra gli anni 54-57 d.C. Egli tace, come altrove, sui dati anagrafici del documento. Non dà alcuna indicazione né di luogo, né di tempo della sua redazione. I commentatori li deducono questi elementi indirettamente, sia dalle notizie riportate negli Atti degli Apostoli (At 18, 18-21; 19, 1-20), sia dalle citazioni che l’Apostolo fa nella lettera del suo collaboratore Epafra (Cl 1,7-8; 4, 12-13), calossese anche lui e protagonista diretto dell’evangelizzazione, non solo di Colosse, ma probabilmente anche di Laodicea e di Gerapoli. Le notizie sulla fondazione, l’attività e la salute di questa comunità sono contenute solo all’interno della lettera stessa, non altrove. Dal testo si evince che questa comunità, nell’insieme, si mantiene coesa, attiva e fedele osservante della dottrina e degli insegnamenti autentici che Epafra, sull’ombra di Paolo, aveva loro trasmesso fin dalla prima ora.
Con Paolo ci sono anche Onesimo, Tichico ed Epafra. Sembra che Onesimo sia il primo che torni a Colosse con un biglietto di raccomandazione per Filemone. Tichico, più tardi, porta la lettera di Paolo diretta alla comunità. Epafra era con Paolo per fargli compagnia durante la prigionia e, nello stesso tempo, informava l’Apostolo sulla tenuta della fede nella stessa comunità e, forse, anche nelle altre comunità vicine della Frigia. Pare che la lettera sia stata scritta proprio sulla base delle informazioni che gli davano questi suoi due collaboratori, Epafra e Onesimo. Nell’insieme sembra che la comunità viva in pace e in armonia al suo interno. Tuttavia, arrivano alle orecchie dell’Apostolo alcune notizie allarmanti che suscitano in lui alcuni sospetti. Egli teme che alcuni nemici cerchino d’insidiare l’autenticità della fede e la purezza della dottrina, perché un ristretto numero di persone non si attiene ai canoni ortodossi ricevuti e cercano vie alternative alla salvezza. Sono tutti germi di veleno sociale, seminato dalla filosofia della gnosi. D’altronde, essendo la lettera unica fonte a se stessa, i significati devono essere ricavati dal suo interno, dai suoi contenuti, come, per esempio, i significati degli elementi del mondo (Col 2, 8-20) e le potenze cosmiche (2, 8, 10-15). Le preoccupazioni più grandi, che suscitano i sospetti dell’Apostolo, sembra che siano diverse, tra cui: le ossessive osservanze alimentari, che certi Colossesi utilizzavano per le celebrazioni delle feste annuali, mensili e settimanali e la pratica della circoncisione.
Il sistema che <<la gnosi>> propone è una dottrina eclettica, dove confluiscono elementi di paganesimo ed elementi di giudaismo. Probabilmente le forme del culto provenivano dalle religioni misteriche, svolte in forma privata e rese attraenti dalla pratica della circoncisione e dal distacco dalle preoccupazioni del mondo. Non mancano elementi e coloriture del rigorismo giudaico e di influenze esoteriche (pratiche occulte, riservate agli iniziati, che non devono essere note agli estranei all’associazione o seta che le pratica.
Ma, qualunque siano le dottrine e culti che professano queste persone, Paolo li condanna tutti in blocco, perché contengono sempre elementi fuorvianti e inconciliabili con l’autentica professione della fede cristiana.
Chi crede in queste idee e si affida a questi culti misterici, perde Cristo e i benefici spirituali che egli ci ha dispensati con il suo sacrificio sulla croce. Chi è stato battezzato, è morto alle forze del mondo e alle seduzioni della carne, ma è risuscitato alla vita dello spirito. Il credente, per ottenere la salvezza che Cristo ci ha donato, non può cercare vie alternative alla genuina professione della fede cristiana.
Paolo è prigioniero, ma non dice dove, né quando è stata redatta la sua missiva, perché queste cose non interessano ai destinatari. Essi sappiano soltanto che il suo amore per il Vangelo gli è costato la prigionia. Ma non si preoccupa tanto della sua sorte, perché è ormai votato a tutto, compreso il martirio, quanto della salute della fede dei suoi fedeli. Le indicazioni di luogo e di tempo possono essere ricavate indirettamente dai contenuti di alto significato teologico e dottrinale del documento. Qualcuno ha dato la sua spiegazione in merito: “La lettera agli Efesini, la più prossima a quella dei Colossesi per stile, linguaggio e teologia, in molte parti sembra esserne il primo commento; ne chiarisce il pensiero e ne sviluppa le idee” (E. Peretto, Roma, 1984).
La ricchezza di contenuto e le ampie visioni teologiche che si trovano in Efesini suppongono in Paolo una lunga riflessione sulla rivelazione. Questo periodo di tempo non può essere quello della detenzione efesina, databile negli anni 53-54. Stile, idee e riscontri vari presuppongono l’esistenza degli altri importanti documenti paolini: la Lettera ai Galati, le due Lettere ai Corinzi e la Lettera ai Romani … Le forti affinità della Lettera agli Efesini e i riscontri con il biglietto a Filemone rendono improbabile la redazione durante la detenzione a Cesarea di Palestina.
In Fm 23-24 e in Col 4, 10-14 sono elencate le medesime persone. Onesimo porta il biglietto a Filemone. Ricordiamo che egli era schiavo disperato, fuggito dal padrone, non poteva incontrare Paolo nella prigione di Cesarea in attesa di partire per Roma … Scartata la tesi della redazione durante la carcerazione a Efeso e a Cesarea di Palestina, appare più accettabile l’ipotesi della redazione verso la fine della prima prigionia romana, negli anni 62-63” (Peretto, Roma, 1984).
“Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volere di Dio e il fratello Timoteo, ai santi di Colosse, fedeli fratelli in Cristo. Grazia e pace a voi da Dio, padre nostro”.
Commento: L’indirizzo, eccetto alcuni particolari, è simile a quello di tante altre lettere paoline, dove il nome di “Paolo Apostolo è associato quello del fratello Timoteo”. Questo non significa che Timoteo fosse necessariamente presente insieme a lui nel momento della redazione del documento. A differenza della Lettera agli Efesini, che non contiene destinatari specifici, questa indica, come destinatari, i Colossesi. Ma quest’indicazione non significa che il messaggio, oltre i cristiani di Colosse, non intendesse raggiungere anche i fedeli di altre comunità vicine, come quelle di Gerapoili, Laodicea e altre comunità della valle del Lico. In tal caso, la missiva sarebbe stata scritta come lettera-circolare, diretta ai cristiani di una determinata zona o regione della Frigia, più vasta di quella della sola città di Colosse. Tuttavia, per restare fedeli al testo, assumiamo come destinatari i Colossesi.
“Noi ringraziamo costantemente Dio, padre del Signore nostro Gesù Cristo, pregando per voi, perché siamo stati informati della vostra fede in Gesù Cristo e dell’amore che praticate verso tutti i santi a motivo della speranza che vi è riservata in cielo. Di questa avete udito l’annuncio mediante la parola di verità, il Vangelo, a voi giunto, e come in tutto il mondo stia dando frutto e sviluppandosi, così anche tra di voi fin da quel giorno, nel quale udiste e conosceste nella verità la grazia di Dio. Questo apprendeste da Epafra, nostro diletto compagno di servizio e fedele ministro di Cristo in vece nostra; egli ci ha informati del vostro amore nello Spirito” (Col, 3-8).
Commento: Paolo qui intende sottolineare il fatto che la predicazione del cittadino di Colosse, Epafra, si è svolta secondo i canoni da lui indicati. Questa preghiera è una formula di ringraziamento originale, ricca di alto contenuto teologico e di raffinata sensibilità spirituale.
Il discorso, dedicato al ringraziamento, è un periodo lungo, complicato e non facilmente dominabile dal punto di vista grammaticale e sintattico, perché prescinde dalle regole morfologiche dell’attuale sistema linguistico italiano. D’altronde, oltre che in questo brano, in molti altri passaggi di questa e delle altre lettere dell’Apostolo, si trovano periodi complicati, prolissi o contratti, espliciti e impliciti, completi e incompleti. Ma questi inconvenienti formali sono comprensibili, se si tiene conto del fatto che l’autore è un missionario ebreo di duemila anni fa, che detta i testi delle sue lettere in lingua greco-ellenistica ad amanuensi, e che questi testi hanno subito, nel tempo, più traduzioni in diverse altre lingue prima di essere riportati in lingua italiana attuale. La cosa importante è non fermarsi ai difetti formali, lessicali o linguistici perché ciò che conta è il valore semantico della prosa, i suoi contenuti sostanziali.
Il discorso dell’Apostolo continua con la sua preghiera rivolta a Dio per i suoi fedeli: “Perciò anche noi, dal giorno in cui ne fummo informati, non tralasciamo di pregare per voi e di domandare che vi sia concesso di conoscere perfettamente la sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, per comportarvi in maniera degna del Signore e piacergli in tutto; così dando frutti in ogni genere di opera buona e crescendo nella piena conoscenza di Dio, irrobustiti con forza, secondo la potenza della sua gloria, per tutto sopportare con perseveranza e magnanimità, ringraziando con gioia il Padre, che ci ha fatti capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Egli ci ha strappati dal dominio delle tenebre e ci ha trasferiti nel dominio del suo amato figlio, nel quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Col 1, 9-14).
Commento: Anche questo brano, dal punto di vista formale, è lungo e complicato non meno di quello precedente. In questo passaggio si capisce che l’animo di Paolo è soddisfatto per le buone notizie riportate da Epafra, che in lui suscitano energia ed entusiasmo per ribadire con forza la cosa che gli sta più a cuore: chiedere ai fedeli che facciano uno sforzo in più per poter conseguire una migliore conoscenza, una maggiore sapienza spirituale, una più perfetta intelligenza di Dio. Questo per conoscere quali cose piacciano a Dio e adeguare, di conseguenza, la nostra condotta alla sua volontà. Per fare questo occorre irrobustire maggiormente il dono della fede per sopportare le difficoltà con spirito di servizio e generosità d’animo, ringraziando sempre il Padre per averci salvati dal dominio del Maligno. Egli, infatti, ci ha sottratti al triste destino di condanna eterna nel regno delle tenebre, per trasferirci nel regno della luce dei redenti dal prezioso sangue del suo diletto figlio, Gesù Cristo. Questo è l’unico modo per ottenere la redenzione dal male e il perdono dei nostri peccati.
La narrazione continua in modo serrato: “Egli (Cristo redentore)è l’immagine di Dio invisibile, Primogenito di tutta la creazione poiché in lui sono stati creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra, i visibili e gli invisibili: Troni, Signorie, Principi, Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui; ed egli esiste prima di tutti loro e tutti in lui hanno consistenza. (A nessun lettore può sfuggire la forte affinità, di concetti e di linguaggio, che esiste tra questo passaggio di Paolo e il Prologo del Vangelo di Giovanni). Cristo è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa. Egli è principio, primogenito dei risuscitati, così da primeggiare in tutto, poiché piacque a tutta la pienezza di risiedere in lui e di riconciliarsi, per suo mezzo, tutti gli esseri della terra e del cielo, facendo la pace mediante il sangue della sua croce”.
Nota: Tutto questo passaggio non è meno complesso dei brani precedenti. I periodi non sono chiaramente definiti, ma restano troncati, indeterminati o sospesi. Ciò nulla toglie alla comprensione dei significati logici e teologici del pensiero dell’Autore). Egli continua: “E voi (Colossesi), che un tempo con le opere malvagie eravate stranieri e ostili per il modo di pensare, ora, mediante la sua morte siete stati riconciliati nel suo corpo mortale (corpo fisico) per presentarvi santi, integri e irreprensibili davanti a lui, — purché perseveriate saldamente fondati sulla fede e irremovibili nella speranza del Vangelo che avete udito, il quale è predicato a ogni creatura che è sotto il cielo e del quale io, Paolo, sono divenuto ministro —“(Col, 1, 21-23).
Commento: Cristo redentore visibile è l’immagine di Dio invisibile. (Chi ha veduto me, ha veduto il Padre, rispose Gesù a Filippo che gli chiese: Mostraci il Padre e ci basta (Gv, 14, 9). Prima della conversione i Colossesi erano stranieri (pagani) che adoravano gli idoli e, non conoscendo Dio, avevano modi di pensare e di agire diversi da quelli che piacciono a Lui. Ma ora che sono stati riconciliati con Dio per mezzo del sacrificio di Cristo, devono mantenersi integri nella fede e irreprensibili nella speranza che offre il Vangelo, predicato a tutte le creature del mondo, e di cui Paolo è divenuto ministro per volontà di Dio.
L’Apostolo continua il suo discorso carismatico in modo accalorato:
“Ora io gioisco nelle sofferenze che sopporto per voi e completo nel mio corpo ciò che manca dei patimenti di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa, della quale sono divenuto ministro in conformità al compito che Dio mi ha affidato a vostro riguardo per realizzare la Parola di Dio; il mistero che, nascosto ai secoli eterni e alle generazioni passate, ora è stato svelato ai suoi santi. A questi Dio volle far conoscere quale fosse la splendida ricchezza di questo ministero tra i gentili: Cristo in voi, la speranza della gloria. Lui, noi (missionari) annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ogni uomo in ogni saggezza, per rendere ciascun uomo perfetto in Cristo. A questo scopo mi affanno, battendomi con quell’energia, che egli sviluppa con prepotenza in me” (Col 1, 24-29).
Commento: Questo brano è lungo e complesso come tanti altri dell’epistolario paolino. Paolo espone le sue idee e i suoi sentimenti forti e coerenti con la prepotente voglia di persuadere i suoi fedeli. La carcerazione che deve sopportare non toglie smalto alla sua grinta e al suo zelo apostolico, anzi li esalta perché, pur nelle sofferenze della prigionia, egli prova sentimenti di gioia per essere accomunato alle sofferenze che Cristo ha patito sulla croce e patisce ancora per la sua Chiesa, perseguitata nelle figure dei suoi martiri. Di questa Chiesa perseguitata Paolo è diventato ministro per volontà di Dio, che gliel’ha affidata per portare la parola di salvezza anche a Colossesi, che erano pagani e idolatri. Questo mistero di salvezza, che fu tenuto nascosto per secoli e millenni, ora è stato svelato da Dio ai suoi santi missionari. Ad essi Dio volle far conoscere quanto grande fosse la ricchezza e lo splendore di questo ministero tra i Gentili: la parola della salvezza fatta giungere anche a loro. Infatti, i missionari hanno compiuto il dovere, che è stato loro affidato, annunciando il Vangelo a tutti gli uomini e istruendo ciascuno nella dottrina della fede, di modo che egli diventasse un perfetto cristiano. A questo compito l’Apostolo è votato e a questo si dedica ancora con tutte le energie, che la fede riesce a sommuovere in lui.
Paolo continua il discorso del capitolo precedente, dichiarando:
“Voglio, infatti, informarvi quale dura lotta affronto per voi, per quelli di Laodicea e per quanti non mi hanno visto di persona, affinché il loro cuori siano confortati, uniti strettamente nell’amore e protesi verso una ricca e perfetta intelligenza, verso una profonda conoscenza del mistero di Dio, Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Dico questo affinché nessuno vi seduca con argomenti speciosi. Se, infatti, con il corpo sono lontano, con lo spirito sono con voi e vedo con gioia la vostra disciplina e la vostra saldezza nella fede per Cristo” (Col, 2, 1-5).
Commento: L’Apostolo non ha mai incontrato i fedeli di Colosse e Laodicea, tuttavia questo non impedisce che egli si rivolga a loro in tono confidenziale per esprimere i suoi complimenti e i suoi ringraziamenti per la loro puntuale rispondenza alla fede, che hanno appresa dalla predicazione del suo collaboratore Epafra. L’invito che rivolge loro è quello di restare sempre uniti nell’amore per Cristo, protesi a raggiungere una perfetta comprensione del mistero di Dio, racchiuso in Cristo, in cui sussistono tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. Con questo monito i Colossesi sono avvertiti a diffidare dei ragionamenti sottili, apparentemente innocui, di certe persone, ma in realtà ingannevoli perché tendono ad inquinare la purezza del messaggio della fede. Egli, purtroppo per lui, è fisicamente assente, ma spiritualmente presente in mezzo a loro, segue le loro vicende religiose e si complimenta con loro per la disciplina e la saldezza nella fede in Cristo.
Poi continua il discorso: “Come dunque, avete ricevuto il Cristo, Gesù il Signore, in lui continuate a vivere, radicati e sopraelevati su di lui e consolidati nella fede come siete stati istruiti, abbondando in ringraziamenti. Badate che nessuno vi faccia sua preda con la <<filosofia>>, questo fatuo inganno, che si ispira alle tradizioni umane, agli elementi del mondo e non a Cristo, poiché è in lui che dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi siete stati riempiti in lui, che è il capo di ogni principio e potenza; in lui, inoltre, siete stati circoncisi di una circoncisione non operata dall’uomo, denudando il corpo carnale, ma della circoncisione del Cristo. Sepolti con lui nel battesimo, in lui siete stati anche risuscitati in virtù della fede nella potenza di Dio, che lo ha ridestato da morte. Proprio voi che eravate morti per le trasgressioni e la non circoncisione della vostra carne, ha richiamato in vita con lui, condonandoci tutti i falli; annullando le nostre obbligazioni dalle clausole a noi svantaggiose, le ha soppresse inchiodandole alla croce. Egli, spogliati i Principi e le Potenze, ne fece pubblico spettacolo, dopo aver trionfato su loro per suo tramite” (Col, 2, 6-15).
Commento: Se siete stati battezzati in Cristo, siete morti con lui agli elementi del mondo, agli appetiti della carne, ma con lui siete stati anche risuscitati, in virtù della fede nella potenza di Dio, che ha risuscitato suo figlio dalla morte. Se siete entrati in comunione con Cristo, essendo stati battezzati e quindi risuscitati in virtù della forza del suo spirito e non appartenete più agli interessi del mondo, restate saldi in lui perché in lui è la pienezza di tutta la divinità. Pertanto, non lasciatevi traviare “dalla filosofia (la gnosi), questo fatuo inganno”. Questo dice, in sostanza, Paolo ai Colossesi! dai quali, se, suo malgrado, è assente nella presenza fisica, è presente e molto attento ai loro comportamenti riguardanti la fede in Cristo redentore e la loro vita spirituale.
Continuando il suo discorso, l’Apostolo sviluppa meglio il suo pensiero:
“Allora nessuno vi recrimini per cibi, bevande o in materia di festa annuale, novilunio o di settimane, che sono ombra delle cose avvenire, mentre la realtà è il corpo di Cristo. Nessuno, prendendo a pretesto le mortificazioni, che sono il culto degli angeli, indagando su ciò che ha visto, arbitrariamente vi giudichi, scioccamente inorgoglito della sua mentalità carnale e staccato dal capo, dal quale tutto il corpo, ricevendo, attraverso le giunture e i legamenti, nutrimento e coesione, realizza la crescita di Dio.
Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi sottomettete a prescrizioni, quali: <<Non prendere! Non gustare! Non toccare! (cose tutte desinate a logorarsi con l’uso) secondo i precetti e gli insegnamenti umani? Hanno riputazione di saggezza a motivo di un culto volontario, di mortificazione e di austerità verso il corpo, ma sono prive di ogni valore, perché saziano la carne” (Col, 2, 16-23).
Commento: In maniera molto diretta, qui l’Apostolo intende significare un concetto più semplice di quanto non appaia nel testo. In concreto vuole dire questo: chi segue Dio nel trionfo di Cristo sulla morte, è libero dalle costrizioni degli elementi del mondo e dalle obbligazioni verso le potenze cosmiche; non deve lasciarsi condizionare da millantatori incalliti o plagiatori d’occasione, che vantano esperienze personali in tal senso, perché chi è morto in Cristo, è morto agli elementi del mondo. Pertanto, le vecchie prescrizioni non lo riguardano più; non solo, ma egli considera i beni del mondo un dono di Dio, che chiunque può usare liberamente per rendere più piacevole e meno gravoso il peso dell’esistenza terrena.
In questo brano Paolo riprende e sviluppa meglio il discorso che faceva in precedenza, scrivendo:
“Se dunque siete risorti in Cristo, cercate le cose di lassù, dove il Cristo è assiso alla destra di Dio Padre; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra: voi, infatti, siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. quando il Cristo, nostra vita, apparirà, allora anche voi apparirete con lui rivestiti di gloria.
Fate dunque morire le membra terrene: fornicazione, impurità, libidine, desideri sfrenati e avidità di guadagno che è poi idolatria; per questi vizi piomba l’ira di Dio. Anche voi un tempo li praticaste, quando di loro vivevate. Ora però banditeli tutti anche voi: collera, escandescenze, cattiveria, maldicenza, ingiurie che escono dalla vostra bocca. Non mentitevi a vicenda, poiché vi siete spogliati dell’uomo vecchio e del suo modo di agire e vi siete rivestiti del nuovo, che si rinnova, per una più piena conoscenza, a immagine di colui che lo ha creato: in questa condizione non è più questione di Greco o di Giudeo, di circoncisi o incirconcisi, di barbaro, Scita, schiavo, libero, ma di Cristo, tutto e in tutti.
Voi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, vestitevi di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza, di longanimità – sopportandovi a vicenda e perdonandovi, se avviene che uno si lamenti di un altro: come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi – sopra tutto ciò, dell’amore che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati in un solo corpo, regni sovrana nei vostri cuori
e siate riconoscenti. La Parola del Cristo abiti in voi con tutta la sua ricchezza; istruitevi e consigliatevi reciprocamente con ogni sapienza; con salmi, inni e cantici ispirati, cantate a Dio nei vostri cuori con gratitudine; e qualunque cosa possiate dire o fare, agite sempre nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Col, 3, 1-17).
Commento: L’Apostolo parte dal presupposto che i cristiani, essendo morti al peccato e risorti con il battesimo, hanno interrotto i rapporti con gli interessi di questo mondo. La superstiziosa religione mondana, che giustificava anche i vizi e i peccati, è ormai superata per entrare nella vita divina della fede escatologica, che dona la salvezza. Essa era stata programmata fin dalle origini del mondo da Dio Creatore per la salvezza delle sue creature e realizzata da Cristo con il suo sacrificio sulla croce. Dal momento in cui i cristiani hanno ottenuto la salvezza, essi lascino perdere le cose di qua giù, vizi e difetti di ogni tipo e, piuttosto, cerchino le cose di lassù, le cose che piacciono a Dio, le cose che sono in cielo. Lì, nel cielo (secondo la ben nota locuzione di un articolo del Credo Apostolico, ispirata al Salmo 110), c’è il Signore Gesù, l’Unto del Signore, assiso alla destra di Dio Padre onnipotente. In lui, soltanto in lui, c’è la piena verità dell’autentica vita del credente. La vita del cristiano è nascosta con Cristo in Dio. Ma quando Cristo apparirà trionfante (quando sarà la parusia), anche la nostra vita sarà svelata, nel senso che sarà tolto il velo (metonimia, l’astratto per il concreto) che ora la nasconde allo sguardo degli altri. In vista di questo trionfo dello spirito, i cristiani spengano i loro vizi e le loro passioni terrene: fornicazione, impurità, libidine, desideri sfrenati e avidità di guadagno, tutte espressioni di idolatria. Su questi vizi si abbatte l’ira di Dio.
Un tempo, dice l’Apostolo, prima della vostra conversione a Cristo, anche voi eravate immersi in questi vizi, eravate pagani idolatri. Ma ora che avete appreso la retta via, fate pulizia di tutte le incrostazioni peccaminose, che possono deturpare la bellezza dell’anima vostra. Dismettete le vecchie abitudini dell’uomo cornale e rivestiti degli abiti nuovi dell’uomo spirituale. Amatevi gli uni gli altri, come Cristo ha amato voi, rispettatevi, siate sinceri e leali tra di voi. In una tale dimensione della vita dello spirito, non c’è differenza tra Greco o Giudeo, tra circoncisi e incirconcisi, barbaro, Scita, schiavo o libero, ma tutti siete di Cristo, senza differenza di nazione o condizione sociale. Amatevi come Cristo vi ha amati; perdonatevi come Cristo vi ha perdonati; siate riconoscenti! Ringraziate il Signore Gesù continuamente con salmi, inni e cantici e, attraverso di lui, ringraziate Dio Padre per tutti i doni ricevuti nella vita!
Dopo le regole date per la vita nella Chiesa, in questa sezione l’Apostolo continua il suo discorso, dettando le regole per le buone condizioni di vita nell’ambito della famiglia, esortando i credenti a rispettare l’ordine della tradizione consuetudinaria:
“Donne! Siate sottomesse ai vostri mariti, come conviene nel Signore. Mariti! amate le vostre donne e non siate indipendenti verso di loro. Figli! Obbedite ai vostri genitori in tutto, perché è gradito al Signore. Padri! Non provocate i vostri figli, perché non si perdano di coraggio e si ribellino.
Schiavi! obbedite ai vostri padroni terreni in tutto, non solo sotto i loro vigili sguardi perché volete piacere agli uomini, ma con cuore semplice e sincero (anche in loro assenza) perché temete il Signore. Qualunque cosa facciate, agite con cuore (sincero) come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che riceverete dal Signore, come ricompensa, l’eredità. Servite il Signore Cristo! Certo, chi commetterà ingiustizie, riceverà la ricompensa della sua ingiustizia e non c’è riguardo a persona (Col, 3, 18-25).
(Continua il discorso diretto del capitolo precedente e continuerà per tutto il capitolo quarto fino alla fine. Paolo ammonisce): Padroni! date ai servi il giusto e l’onesto, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.
Perseverate nella preghiera e vegliate in essa con riconoscenza; pregate anche per noi, affinché Dio ci apra una porta alla parola, per predicare il mistero di Cristo – a causa del quale sono prigioniero – in modo che lo manifesti predicando (apertamente) come si conviene. Comportatevi saggiamente con gli estranei, cogliendo le occasioni opportune. Il vostro discorso sia sempre pieno di grazia, “condito con sale”, in modo da saper come rispondere a ciascuno” (Col, 4, 1-6).
“Su quanto mi riguarda, vi informerà Tichico, diletto fratello, fedele ministro e mio compagno nel Signore. Ve lo mando perché vi metta al corrente della nostra situazione e consoli i vostri cuori, insieme con Onesimo, fedele e diletto fratello, che è dei vostri: vi informeranno di tutte le cose di qua.
Vi salutano Aristarco, mio compagno di prigionia e Marco, cugino di Barnaba – nei cui riguardi avete avuto istruzioni; se venisse da voi, accoglietelo bene – e Gesù, detto Giusto. Di quelli che vengono dalla circoncisione, questi sono gli unici che collaborano con me al regno di Dio: furono loro il mio unico conforto. Vi saluta Epafra, vostro concittadino, servo di Cristo Gesù; egli lotta continuamente per voi nelle sue preghiere, affinché siate saldi, perfetti e sinceramente dediti a compiere la volontà di Dio. Infatti, attesto che si preoccupa molto di voi, di quelli di Laodicea e di quelli di Gerapoli. Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema. Salutate i fratelli di Laodicea, Ninfa con la chiesa che si raduna in casa sua. Quando avrete letto questa lettera, fatela leggere anche alla chiesa di Laodicea; anche voi leggete quella che riceverete da Laodicea. Dite ad Archippo: bada di compiere bene il ministero che hai ricevuto nel Signore.
Il saluto è di mia mano, di me Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi” (Col, 4, 7-18).
Commento: In generale si può dire che il quadro delle esortazioni parenetiche di questa lettera è molto simile a tanti altri contenuti in altre lettere apostoliche. In particolare, le raccomandazioni prescritte per la tenuta dell’ordine familiare, trovano riscontri e importanti parallelismi nella lettera agli Efesini (Ef, 5, 21-33 e 6, 1-9).
Per il resto, questi ultimi brani della parte parenetica sono abbastanza lineari nella forma e sufficientemente chiari nei contenuti; pertanto, a parere di chi scrive, non necessitano di alcun commento didascalico; anzi, ogni tentativo esplicativo in tal senso, potrebbe soltanto offuscare, anziché chiarire, il godimento spirituale ed estetico della cristallina prosa dell’Autore di duemila anni fa; e va ascritto a maggiore suo merito, il fatto che l’Apostolo abbia scritto tutta la sua produzione teologica, letteraria e religiosa, non nella sua lingua madre (l’ebraico), ma in ellenistico, che era la lingua internazionale del suo tempo nei paesi circumediterranei e nelle nazioni mediorientali.