
L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)
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La Prima Lettera dell’evangelista Giovanni è uno scritto privo di intestazione, per cui si suppone che, invece di essere indirizzata a una comunità ben precisa, si tratti di una lettera circolare, destinata a tutte le comunità dell’Asia Minore di influenza giovannea. Nella sua forma strutturale e contenutistica rassomiglia più a un’omelia che a una lettera vera e propria, perché manca di alcune caratteristiche specifiche del documento epistolare. Il contenuto è dominato da alcuni concetti importanti, come l’antinomia tra luce-tenebre, la connessione tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, la speranza cristiana (l’agape) e le seducenti passioni del mondo. L’opposizione dialettica tra queste categorie impegna la scelta della fede per il cristiano, perché la fede in Dio e nel suo Figlio, Gesù Cristo, salvano il cristiano dalla morte e gli preparano il cammino per la vita eterna. La linfa vitale che tiene viva la fede è la legge dell’amore, della carità, dell’agape del cristiano, che impone due cose fondamentali: ama Dio e ama tuo fratello; non puoi amare Dio che non vedi, se non ami tuo fratello che vedi. “Il cristiano, essendo stato generato da Dio, non pecca, non può peccare, perché Dio lo custodisce e il maligno non lo tocca”.
Testo: “Colui che era fin da principio, colui che noi abbiamo udito, colui che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, colui che noi abbiamo contemplato e colui che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita – poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e si è resa visibile a noi – colui che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.
Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.
Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli, che è fedele e giusto, ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo di non aver commesso peccato, facciamo di lui un mentitore e la sua parola non è in noi” (1Gv, 1, 1-10).
Commento: L’esordio solenne di questo testo, sia nel contenuto che nella forma strutturale e linguistica, ci riporta, dritto dritto, al Prologo del quarto Vangelo, pensato dalla stessa mente e scritto dalla stessa mano, S. Giovanni apostolo, “il discepolo che Gesù amava”.
La materia trattata, con brevi ma significative frasi, fa pensare di trovarci davanti a un testo di teologia, piuttosto che a una lettera di esortazione dei fedeli a tornare a camminare nella giusta strada della fede che, in parte, era stata smarrita. Questo appare il motivo principale dello scritto. Con vigore e speditezza, l’autore va subito al nucleo centrale del discorso: l’incarnazione del Verbo. “la Parola si fece carne e venne ad abitare insieme a noi”. Infatti, “Egli era colui che noi abbiamo udito, veduto con i nostri occhi, che abbiamo contemplato, toccato con le nostre mani perché l’incarnazione del Figlio di Dio si è fatta visibile” nella figura di Cristo redentore. A lui noi rendiamo testimonianza e a voi annunziamo la vita eterna. La nostra comunione è col Padre e con il Figlio, Gesù Cristo. Noi vi scriviamo queste cose affinché la nostra gioia (di comunicare il Vangelo) sia piena”. Parafrasando un po’ il testo, questo sembra il senso del discorso di Giovanni. Ma egli continua: “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se noi camminiamo nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri e il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato”.
Come nel quarto vangelo, la simbolica tra luce e tenebre sottintende un grande significato: quello di vivere nella grazia di Dio (luce) o quello di vivere nella sua assenza (tenebre).
Testo: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno pecca, noi abbiamo un intercessore presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è vittima di espiazione dei nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco” e non osserva i comandamenti, è un mentitore e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio ha veramente raggiunto la perfezione. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve comportarsi come egli si è comportato.
Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito. E tuttavia è un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo, il che è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e già risplende la vera luce. Chi dice di essere nella luce e odia il proprio fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama il proprio fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione d’inciampo. Ma chi odia il proprio fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi.
Scrivo a voi, figlioli,
perché vi sono stati rimessi i peccati
in virtù del suo nome.
Scrivo a voi, padri,
perché avete conosciuto
Colui che è da principio.
Scrivo a voi, giovani,
perché avete vinto il maligno.
Ho scritto a voi, figlioli,
perché avete conosciuto il Padre.
Ho scritto a voi, Padri,
perché avete conosciuto
colui che è da principio.
Ho scritto a voi, giovani,
perché siete forti
e la parola di Dio rimane in voi
e avete vinto il maligno.
Non amate, né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Gv, 2, 1-17).
Commento: In tutto questo discorso di Giovanni, come nel testo del quarto Vangelo, c’è una continua dialettica dell’alternanza simbolica tra luce e tenebre per significare chi cammina nella grazia di Dio e chi cammina nella tenebrosa strada della sua assenza. Nella vita, chi cammina osservando e rispettando la legge dei comandamenti del Signore, è sicuro che sta camminando nella luce; chi non rispetta le norme imposte dai comandamenti, sa già che sta camminando nelle tenebre e sa anche a quali conseguenze va incontro. Per questo l’autore afferma: “Carissimi vi do un comandamento nuovo che è, nello stesso tempo, il più antico della legge di Cristo: “Chi afferma di essere nella luce e poi odia il proprio fratello, forse, anche senza rendersi conto, è ancora avviluppato nelle tenebre; chi ama il proprio fratello e rimane nella luce, non vi è in lui occasione d’inciampo, come accade, invece, a chi cammina nella tenebrosa strada del peccato. Giovanni si rivolge ai padri e ai figli, ai giovani e agli anziani e a tutte le categorie sociali, affinché scelgano di camminare nella strada illuminata dalla luce della grazia di Dio; l’altra strada, quella tenebrosa che suscita la concupiscenza di questo mondo, è la strada sbagliata, che conduce a Satana. I cristiani devono vincere le fascinose ma ingannevoli appetizioni di questo mondo (la superbia della vita, gli agi della ricchezza, l’orgoglio di manovra del potere) e scegliere di camminare nella dritta via “dell’amore del prossimo come quello di se stessi”. Soltanto seguendo questa via si può “fare la verità” indicata dal Signore. Giovanni, anche nelle lettere, come nel quarto Vangelo, ama servirsi della contrapposizione dialettica dei contrastanti binomi: luce/tenebre, amore/odio, vita/morte. Con il simbolismo della luce viene indicato Dio stesso, oppure il dono della salvezza o comunque il comportamento positivo dell’uomo; le tenebre, invece, indicano il comportamento negativo del peccato e della menzogna; la concupiscenza del mondo (causa di peccato) è contrapposta alla volontà di Dio (principio di salvezza). Negli scrittori di notevole importanza, come l’evangelista Giovanni, è bene studiare e conoscere il lessico che utilizza nelle sue narrazioni perché, attraverso un normale processo di transfert del suo potenziale psico-linguistico, anche inconsciamente, è portato a ripetersi nelle sue opere. Questo agevolerà la comprensione, la rielaborazione e l’esposizione di tutte le opere dello stesso autore.
Testo: “Figlioli, è l’ultima ora. Come avete udito che deve venire l’anticristo, di fatto ora molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Essi sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri. Ora voi avete l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità. Chi è il mentitore, se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio, possiede anche il Padre.
Quanto a voi, tutto ciò che avete udito da principio rimanga in voi. Se rimane in voi quello che avete udito da principio, anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre. E questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna.
Questo vi ho scritto riguardo a quanti tentano d’ingannarvi. E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, ed è vera e non mentisce, così rimanete in lui, come essa vi ha insegnato.
E ora, figlioli, rimanete in lui, perché possiamo aver fiducia quando egli si manifesterà e non veniamo svergognati da lui alla sua venuta. Se sapete che egli è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia è nato da lui” (1Gv, 2, 18-29).
Commento: Giovanni utilizza spesso il termine “figlioli”, derivato dai libri sapienziali dell’Antico Testamento. In questo caso, l’autore usa il termine per esortare i suoi fedeli a guardarsi bene dalla tentazione della figura dell’anticristo, che rappresenta l’incarnazione simbolica del rifiuto di Cristo, di tutto ciò che sta nei poli opposti al messaggio di salvezza portato agli uomini da Cristo redentore e suggellato col suo sacrificio sulla croce. In questo caso può rappresentare la polemica demolitoria del messaggio cristiano, attuata deliberatamente dai “falsi maestri”. Appare evidente che qui c’è un netto contrasto tra la verità della rivelazione portata da Cristo e la menzogna, barattata a basso prezzo dai “falsi maestri” probabilmente esponenti della cultura gnostica. Ora chi nega Cristo, nega il Padre, nega l’incarnazione e perciò stesso non può essere in comunione, né col Padre, né col figlio perché possa ottenere la loro stessa vita nello spirito.
Chi ha fede nel Figlio incarnato, ha anche fede nel Padre che l’ha mandato.
Pertanto, i credenti delle comunità giovannee rimangano fedeli a Cristo, com’erano state fedeli fin dalla prima ora della loro conversione; soltanto così potranno essere in comunione col Padre e ottenere in premio la vita eterna. “Questo vi ho scritto per tenervi in guardia contro quelli che tentano d’ingannarvi”, dice l’apostolo. E continua “Se l’unzione che avete ricevuto da lui fin da principio (il sacramento del Battesimo?) rimane in voi, non avete bisogno di altri ammaestramenti, fatti magari da “falsi maestri” nel tentativo di sviarvi e di farvi cadere in inganno. Se rimanete in lui, questa unzione vi insegnerà ogni cosa, vi suggerirà, di volta in volta, le scelte da fare per restare in comunione con lui”.
Alla fine, il discorso si allarga per abbracciare prospettive etiche più ampie: per chi ama la giustizia non basta non peccare: non dire il falso, non fare il male, ma bisogna ribaltare l’azione nella prospettiva del bene: bisogna amare il prossimo, bisogna operare il bene a favore degli altri.
Testo: “Guardate quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rilevato. Sappiamo, però, che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche l’iniquità, perché il peccato è l’iniquità. Voi sapete che egli si è manifestato per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. Chiunque rimane in lui, non pecca; chiunque pecca, non l’ha visto, né l’ha conosciuto.
Figlioli, nessuno vi inganni. Chi pratica la giustizia, è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato, viene dal diavolo perché il diavolo è peccatore da principio. Per questo il figlio di Dio si è manifestato: per distruggere le opere del diavolo. Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino rimane in lui; egli non può peccare, perché è stato generato da Dio.
Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, come pure chi non ama il proprio fratello.
Poiché questo è l’annunzio che avete udito da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno e uccise il fratello. E per quale motivo lo uccise? Perché le sue opere erano malvagie, mentre quelle del fratello erano giuste.
Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama, rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessuno omicida possiede in se stesso la vita eterna” (2Gv, 3, !-15).
Commento: L’autore insiste sul grande amore che il Padre ha verso di noi, fino ad essere chiamati figli di Dio. “Se noi siamo autentici portatori di un messaggio di amore fraterno, possiamo contare che proveniamo da lui. Pertanto, già da ora possiamo contare che siamo suoi figli; quello che non possiamo immaginare ora è il fatto che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché vedremo le cose come le vede lui. Per essere in questa grazia, dobbiamo essere senza peccato. Egli è venuto per togliere i peccati e chi vive in lui, non pecca. Infatti, egli è giusto e chi pratica la giustizia, non pecca mai. Chi viene da lui e pratica la giustizia, non pecca. Chi pecca, è figlio del diavolo. Chi non pratica la giustizia e/o non ama il proprio fratello, non viene da Dio. Per evitare di cadere in questi vizi è necessario che ci amiamo gli uni con gli altri e non fare come Caino che ha ucciso il proprio fratello; e lo ha fatto per gelosia perché le opere del fratello erano giuste, mentre le sue erano malvage. Noi, fratelli, siamo passati dalla morte alla vita perché ci amiamo tra di noi come fratelli. Chi non ama rimane sempre nella morte. Chi odia il proprio fratello, è uno omicida; e nessuno omicida è adatto a vivere la vita eterna”.
Testo: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato l sua vita per noi; quindi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze in questo mondo e, vedendo il proprio fratello in necessità, gli chiude il cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? figlioli, non amiamo a parole o con la lingua, ma con le opere e nella verità. Da questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il comandamento che ci ha dato.
Chi osserva i suoi comandamenti, rimane in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che rimane in noi: dallo spirito che ci ha dato” (1Gv, 3, 16-24).
Commento: il comandamento più grande che esista è quello dell’amore. L’esempio concreto di questo amore ce l’ha dato Gesù stesso. “Egli ha dato la sua vita per noi; quindi, anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli … Dio è amore e il suo comandamento impone che noi ci amiamo gli uni con gli altri. Il secondo comandamento è quello della fedele osservanza. Chi osserva i comandamenti rimane in Dio e Dio rimane in lui. Lo Spirito Santo ci dà questa forza di donazione reciproca.
Testo: “Carissimi, non vogliate credere a ogni spirito, ma esaminate gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Da questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito, che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi, è più grande di colui che è nel mondo. Essi sono nel mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio, ascolta noi; chi non è da Dio, non ascolta noi. Da ciò distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore.
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama, è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma egli ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ha amato noi così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. Da questo conosciamo che noi rimaniamo in lui ed egli in noi che egli ci ha dato del suo Spirito. E noi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il Figlio come salvatore del mondo. Chi riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio rimane in lui.
In questo l’amore che è in noi ha raggiunto la perfezione: noi abbiamo fiducia nel giorno del giudizio, perché come è lui, così siamo anche noi in questo mondo. Nell’amore, non c’è timore; anzi, l’amore perfetto, scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore.
Noi amiamo perché egli per primo ha amato noi. Se uno dice: “Io amo Dio e poi odia il fratello, è un mentitore: chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello” (1Gv, 4, 1-21).
Commento: L’amore di Dio, l’amore dei fratelli e il monito all’amore reciproco degli uomini tra di loro, costituisce un intreccio di amore indissolubile, che va dal Creatore alla Creatura e dalla Creatura alle altre creature; e queste, a loro volta, lo faranno rifluire in chi ha portato l’amore, vero e perfetto, in questo mondo: Gesù Cristo! Egli, per amore gratuito e totale, ha offerto se stesso in sacrificio per la salvezza degli uomini dai loro peccati. Non esiste altra prova di amore che possa, non superare, ma uguagliare quella che Dio ha fatto a noi, offrendo suo Figlio all’atroce sacrificio della croce per aprire la via alla salvezza all’uomo carnale e peccatore. E nonostante tutto, l’uomo peccatore, anziché ringraziare umilmente Dio per questo suo immenso dono spirituale gratuito, continua a tendere l’orecchio alla fascinosa musica dei “falsi profeti”, dei vari anticristi che non credono in Cristo e osteggiano il suo messaggio. Purtroppo, in ogni tempo e in ogni luogo, i venti del male investono e travolgono gli animi deboli e non cessano di soffiare le correnti malefiche contrarie alla fede. Ma chi porta nel cuore la corazza dell’amore, non si lascerà certo travolgere dalle chiacchiere e dalle azioni perverse dei profeti del male. “Essi insegnano le cose del mondo e il mondo li ascolta, dice Giovanni. Ma noi siamo da Dio e chi conosce Dio, ascolta noi”. E poi aggiunge: “Dio è amore; chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio rimane in lui”.
Continuando il discorso, poi dice: Questo livello “di amore ha già raggiunto la perfezione, per cui non temiamo il giorno del giudizio … nell’amore non c’è timore; anzi, l’amore perfetto scaccia il timore perché questo presuppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore”.
“Noi amiamo, dice ancora, perché egli (Dio) per primo ha amato noi. Se uno dice di amare Dio e odia il proprio fratello,
è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, come può amare Dio che non vede? Questo stabilisce il comandamento ricevuto da lui: chi ama Dio, ami anche il proprio fratello.
Testo: “Chi crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e compiamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria ha vinto il mondo: la nostra fede.
E chi è colui che vince il mondo se non chi crede che Gesù è Figlio di Dio? Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è più grande, perché questa è la testimonianza: egli ha reso testimonianza al proprio Figlio. Chi crede nel Figlio di Dio ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di lui un mentitore, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso al proprio Figlio. E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio, non ha la vita.
Vi ho scritto queste cose perché sappiate che voi avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio.
Questa è la fiducia che abbiamo in lui: se noi gli chiediamo qualcosa secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto abbiamo chiesto.
Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s’intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c’è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è un peccato, ma c’è il peccato che non conduce alla morte.
Sappiamo che chiunque è stato generato da Dio, non pecca: chi è stato generato da Dio, Dio lo custodisce e il maligno non lo tocca. Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre il mondo giace tutto sotto il potere del maligno. Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere colui che è il vero. E noi siamo in colui che è il vero, nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna.
Figlioli, guardatevi dagli idoli” (1Gv, 5, 1-21).
Commento: In questo capitolo, il discorso di Giovanni continua a sviluppare l’argomento già affrontato nei capitoli precedenti: l’amore cristiano (l’agape). Questo amore s’intreccia con l’amore di Cristo redentore e l’amore di Dio Padre, che ha concepito e attuato il piano salvifico, mandando nel mondo suo Figlio per la redenzione dell’uomo. L’amore (l’agape) verso Dio e l’agape verso il prossimo sono due relazioni, due sentimenti interdipendenti, che non possono sussistere l’uno senza l’altro, perché, di necessità, l’uno implica l’altro: amare Dio e amare il proprio fratello. “Da questo conosciamo di amare i figli di Dio e compiamo i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono gravosi … Tutto ciò che viene da Dio, vince il mondo; chi è che vince il mondo? Questi è colui che è venuto con acqua e sangue”, stillate dalle ferite del suo corpo crocifisso e interpretati dalla tradizione come simboli dei due sacramenti fondamentali: il battesimo e l’eucaristia. Sulla croce poi ha reso ancora la sua testimonianza lo Spirito Santo che è lo Spirito di verità; quindi, tre sono gli elementi che rendono la testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue. E’ questo l’atto solenne di proclamazione della Pasqua e dell’istituzione della Chiesa nel mondo, che rende perenne e universale il messaggio di Cristo risorto. “Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede, è un mentitore perché non crede a una triplice testimonia di verità”, dice Giovanni. E continua: “Dio ci ha dato la vita eterna nel suo Figlio, Gesù Crocifisso. Per cui: Chi ha il Figlio, ha la vita eterna; Chi non ha il Figlio, non ha la vita.
Vi ho scritto queste cose perché sappiate che voi avete la vita eterna perché credete nel nome del Figlio di Dio”. Con la fiducia che abbiamo nella fede e con la preghiera, noi chiediamo al Signore le cose di cui abbiamo bisogno e siamo certi che egli ci ascolta. Poi l’invito a pregare anche per il fratello debole, affinché gli siano perdonati i peccati non gravi. Per certi peccati gravi, come la bestemmia contro lo Spirito, non ci sono preghiere che costituiscano barriere riparatorie.
Poi una considerazione ottimistica nella speranza: “Chi è stato generato da Dio non pecca, perché Dio lo custodisce e il maligno non lo tocca. Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere (e distinguere) la verità, in modo da saper scegliere. Gesù è la verità e la vita eterna”.
Non ci sono i saluti abituali nelle o altri riferimenti, come indici conclusivi del documento, ma un lapidario monito a tenersi lontani dall’idolatria pagana, cioè da una religiosità non vera, non autentica.