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Scritto Da Felice Moro il giorno 08 Gen 2009

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L’articolo è incentrato sulla storia, struttura e funzioni della Comunicazione. La comunicazione è una relazione che si stabilisce tra due o più … (Clicca sul titolo per continuare a leggere l’articolo)

 

Lettera agli Ebrei

Posted By Felice Moro on Ottobre 22nd, 2022

Nell’organizzazione sistematica dei documenti del Nuovo Testamento, subito dopo l’esposizione delle lettere dell’epistolario paolino, è posta la Lettera agli Ebrei. Non è indicato l’autore, perciò non si sa chi l’abbia scritta. Dal punto di vista dei contenuti, essa non manca di legami ideologici, teologici e dottrinali con la letteratura delle opere paoline, ma il pensiero e lo stile narrativo sono completamente diversi. Inoltre, anche se come destinatari espliciti sono indicati gli Ebrei, i veri destinatari non potevano essere gli Ebrei integralisti della tradizione giudaica, nemici giurati di Cristo e del cristianesimo; si pensa, piuttosto, che fossero i membri delle prime comunità giudeo-cristiane; quelli convertiti dagli apostoli Pietro, Giacomo, Giovanni e gli anziani della Chiesa madre di Gerusalemme, che predicavano il Vangelo in Giudea, in Samaria e nei restanti territori della Palestina, mentre Paolo evangelizzava i Pagani dell’Asia Proconsolare romana, della Macedonia e dell’Acaia.

Il documento, scritto in lingua greco-ellenistica, elegante è scorrevole, è un capolavoro di letteratura teologica. Si tratta di una grande omelia che contiene un biglietto (13, 22-24), al cui centro domina la figura di Cristo, profeta della nuova alleanza tra Dio e l’uomo. Cristo è la guida dell’uomo nell’esistenza terrena. Chi crede in lui, abbraccia la sua croce e cammina nelle sue vie, in premio avrà la vita eterna. Infatti, la vera patria del cristiano non è nel suo breve e sofferto soggiorno quaggiù sulla terra, ma oltre le dimensioni del tempo e dello spazio fisico, in una dimora che Dio ha riservato ai suoi eletti, ai giusti di questo mondo.

Capitolo primo

Dio ha parlato per mezzo del Figlio Gesù

Testo: “Dio, che aveva parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questi, poiché è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e tutto sostiene con la parola della sua potenza, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è assiso alla destra della maestà divina nell’alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.

Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto:

Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato?

E ancora:

Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio?

E invece, quando introduce il primogenito nel mondo, dice:

Lo adorino tutti gli angeli di Dio.

Mentre degli angeli dice:

Fa diventare i suoi angeli come venti,

e i suoi ministri come fiamma di fuoco,

del Figlio invece afferma:

il suo trono, Dio, sta in eterno

e:

scettro giusto è lo scettro del tuo regno;

hai amato la giustizia e odiato l’iniquità

perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato

con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni.

E ancora:

Tu, Signore, in principio hai fondato la terra

e opera delle tue mani sono i cieli.

Essi periranno, ma tu rimani;

invecchieranno tutti come un vestito.

Come un mantello li avvolgerai,

come un abito, e saranno cambiati;

ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non avranno fine.

A quale degli angeli, poi, ha mai detto:

Siedi alla mia destra,

finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?

Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero,

inviati per servire quelli che erediteranno la salvezza?” (1,1-14).

Commento: Questo primo capitolo costituisce il prologo all’intero documento. Esso contiene una sintesi di tutta la storia della salvezza. Nei tempi antichi Dio aveva parlato più volte all’uomo, attraverso la parola ispirata ai profeti dell’Antico Testamento; ma negli ultimi tempi ha fatto la sua rivelazione più clamorosa, inviando il suo unico Figlio, Gesù Cristo, definito “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” divina. Egli ha portato l’uomo alla salvezza, insegnandogli la via della purificazione dai peccati. Dopo aver compiuto la sua missione terrena, egli è asceso nell’alto dei cieli, dove siede alla destra di Dio, Padre onnipotente, al di sopra di tutte le gerarchie angeliche. L’autore vuole esaltare Cristo come Dio e come uomo. Per dimostrare la sua superiorità, anche rispetto alle gerarchie angeliche, ricorre a una serie di citazioni bibliche veterotestamentarie, nelle quali prevalgono le citazioni dei Salmi, alle quali si aggiungono due passi, l’uno tratto dal profeta Natan e destinato a Davide “Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio”; l’altro tratto dal Deuteronomio. Le citazioni sono state attinte, per la prima volta, dalla versione del testo dei Settanta, scritto in lingua greco-ellenistica, utilizzata dalle prime comunità cristiane per leggere gli eventi del Nuovo Testamento in connessione con le previsioni fatte dai profeti dell’Antico Testamento.

Questo fatto dimostra come i fondatori delle prime comunità cristiane leggessero e interpretassero i fatti dell’A.T. alla luce della rivelazione di Cristo: il cristianesimo, quindi, sarebbe stato l’avveramento storico delle profezie dei profetti dell’A.T.- La Legge, gli atti e tutto l’armamentario giuridico, etico e dottrinale dei decreti di Mosè, in passato avevano avuto valore provvisorio, in attesa della venuta del Messia; ma, dopo la missione e il sacrificio di Cristo, essi decadono e perdono valore. Il Vangelo di Gesù, con il messaggio di amore “ama il prossimo tuo come te stesso”, se non annulla l’antica Legge, certamente la supera e la completa in tutta la sua portata formale e sostanziale perché, ormai, a Cristo è affidata la salvezza di ogni uomo. Questo è un imperativo morale che fa riflettere l’uomo di tutti i tempi sulle sue responsabilità individuali e collettive di ciascuno di noi nei confronti di Dio e del mondo.

Capitolo secondo

Gesù, solidale con gli uomini, suoi fratelli.

Testo: “Per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno alle cose che abbiamo udite, per non andare fuori strada. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto una giusta punizione, come potremo scampare noi, se trascuriamo una salvezza così grande? Questa, infatti, dopo essere stata promulgata all’inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l’avevano udita, mentre Dio ne dava testimonianza nello stesso tempo con segni, prodigi, miracoli d’ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà.

Non certo a degli angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato:

Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui,

o figlio dell’uomo perché te ne curi?

Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli,

di gloria e di onore l’hai coronato

e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi.

Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia, al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti” (2, 1-9).

 Commento: Dopo aver formulato la sua tesi dominante sulla centralità della figura di Cristo nel mistero della redenzione, l’autore cerca di esortare i fedeli a aderire all’annuncio del nuovo messaggio con maggiore convinzione. Se in passato gli Ebrei, che avevano disobbedito alla Legge mosaica, sono stati severamente puniti, questo dev’essere un severo monito per i cristiani, affinché non commettano lo stesso errore dei loro antenati Ebrei per distrazione o scarso impegno nella fedeltà alla parola e all’esempio di Gesù.

Testo: “Ed era ben giusto che colui, per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto, per mezzo delle sofferenze, il capo che li guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e quelli che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo:

 Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,

in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi;

e ancora:

io metterò la mia fiducia in lui;

e inoltre:

Ecco me e i figli che Dio mi ha dato.

Poiché, dunque, i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli, infatti, non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (2, 10-18).

Commento: Alla luce della fedeappare giusto che Cristo,nella sua veste di mediatore tra Dio e l’uomo, volendo portare tutti gli uomini alla salvezza, abbia reso perfetta la sua vita, incarnandosi in una creatura terrena; abbia insegnato e testimoniato la verità e abbia sofferto le pene della passione e della morte in croce con le più atroci sofferenze umane. Chi predica un modello di vita perfetta, per essere coerente e credibile, dev’essere anche lui perfetto. Chi vuole salvare i suoi fratelli, accomunati a lui nel “sangue e nella carne”, deve farsi solidale con loro,condividendone la sorte, la fragilità, la precarietà e l’inevitabile approdo alla sofferenza e alla morte. Ma i dolori, i patimenti e le sofferenze della vita hanno anche un motivo di speranza nella redenzione, che Gesù ha reso alla portata di tutti i credenti in lui e nella sua parola.

Il Figlio di Dio fattosi uomo, essendo membro di entrambe le famiglie, quella divina e di quella umana, è il migliore sacerdote dell’umanità. Egli è l’interprete più qualificato per sottrarre l’uomo alla sua ferina condizione esistenziale e introdurlo nel regno dello spirito, con la promessa di un premio incommensurabile nella vita eterna. Da qui l’esortazione dell’autore del testo ai fratelli cristiani, affinché conducano una vita santa.

Capitolo terzo

Gesù, sommo sacerdote degno di fede

Testo: “Perciò, fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate lo sguardo su Gesù, l’apostolo e il sommo sacerdote della fede che noi professiamo, il quale è degno di fede presso colui che l’ha costituito, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa. Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore, quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa.

Ogni casa, infatti, viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità, Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi. Cristo, invece, lo fu come figlio costituito sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.

Per questo, come dice lo Spirito Santo:

Oggi, se udite la sua voce,

non indurite i vostri cuori

come nel giorno della ribellione,

il giorno della tentazione nel deserto,

dove i vostri padri mi tentarono

mettendomi alla prova,

pur avendo visto per quarant’anni le mie opere.

Perciò mi disgustai di quella generazione

e dissi: hanno sempre il cuore sviato,

non hanno conosciuto le mie vie.

Così ho giurato nella mia ira:

Non entreranno nel mio riposo!

Guardate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede, che si allontani dal Dio vivo. Esortatevi, piuttosto, a vicenda ogni giorno, finché risuona questo oggi, perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato. Siamo diventati, infatti, partecipi di Cristo a condizione di mantenere salda, fino alla fine, la fermezza che abbiamo avuta da principio. Quando si dice:

Oggi, se udite la mia voce,

non indurite i vostri cuori

come nel giorno della ribellione.

Chi furono quelli che, dopo aver udito la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè? E chi furono quelli di cui si è disgustato per quarant’anni? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero cadaveri nel deserto? E a chi giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo, se non a quelli che non avevano creduto? E noi vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede” (3, 1-19).

Commento: L’autore esorta i “fratelli santi” a fissare la loro attenzione sulla figura di Gesù, l’apostolo e il sommo sacerdote della fede che professiamo. Egli gode della fiducia di colui che l’ha costituito profeta, come, a suo tempo, Mosè godette della fede in Dio e la fiducia del popolo d’Israele. Ben diversa, però, è stata la loro posizione perché, mentre Mosè agì come servo di Dio, Cristo operò come suo figlio; la casa in cui operò Mosè era il popolo d’Israele, di cui agì come servitore, mentre Gesù fu costituito da Dio come suo figlio e sommo sacerdote di un popolo che siamo noi credenti, fedeli della sua chiesa. Il servizio compiuto da Mosè andava a favore del suo popolo, che egli doveva riportare nella terra promessa; il servizio svolto da Cristo è stata la redenzione dell’umanità decaduta a causa dell’antico peccato; e, per mantenere in vita il suo messaggio nel tempo, Gesù ha istituito la sua chiesa. Da qui scaturisce la responsabilità di noi credenti di vivere la vita con impegno e fedeltà alla fede che professiamo.

Quindi sulla fedeltà dei cristiani al messaggio evangelico, l’autore compie una lunga riflessione. Nella sua analisi egli sviluppa il discorso sul filo logico del contenuto del Salmo 95 (8-11) considerato come una parabola della vita dei cristiani in cammino verso la salvezza. Imparino essi dall’esperienza di quegli Ebrei che, in cammino verso la terra promessa, non la raggiunsero mai perché furono sterminati prima, a causa della loro infedeltà e della loro ribellione. Per evitare punizioni esemplari come questa, i cristiani siano docili e fedeli alla causa in cui credono. La fede sinceramente professata dev’essere un impegno serio, responsabile e costante di ogni credente.

Capitolo quarto

Il riposo promesso da Dio al suo popolo.

Testo: “Dobbiamo, dunque, temere che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso. Poiché anche noi, come quelli, abbiamo udito il lieto annunzio: purtroppo, però, ad essi la parola udita non giovò in nulla, non essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato. Infatti, noi che abbiamo creduto, possiamo entrare in quel riposo, come egli ha detto:

Così ho giurato nella mia ira:

Non entreranno nel mio riposo!

Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo. Si dice, infatti, in qualche luogo (Genesi) a proposito del settimo giorno: E Dio riposò nel settimo giorno da tutte le sue opere. E ancora in questo passo: Non entreranno nel mio riposo! Poiché dunque risulta che alcuni entrano in quel riposo, e quelli che per primi ricevettero il lieto annunzio non vi entrarono a causa della loro disobbedienza, egli fissa di nuovo un giorno, un oggi, dicendo dopo tanto tempo per bocca di Davide (come è stato già citato):

Oggi, se udite la sua voce,

non indurite i vostri cuori.

Se Giosuè, infatti, li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno. È dunque riservato ancora un riposo sabbatico per il popolo di Dio. Chi, infatti, è entrato nel suo riposo, riposa anch’egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie.

Affrettiamoci dunque ad entrare il quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.

Infatti, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e midolla, e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.

Poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che ha attraversato i cieli, Gesù, figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti, non abbiamo un sommo sacerdote che non sia capace di prendere parte con noi alle nostre debolezze, poiché egli stesso è stato provato in tutto come noi, eccetto il peccato. Accostiamoci, dunque, con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno” (4, 1-16).

Commento: Mantenendo il precedente parallelismo concettuale con il contenuto del Salmo 95, l’autorecontinua ad ammonire i cristiani per richiamarli al dovere dell’obbedienza e della fedeltà al Signore; ciò affinché non accada anche a loro quel che accadde agli antichi Ebrei, che non entrarono mai “nel luogo del riposo del Signore”: la terra promessa, perché sterminati prima a causa della loro colpa. Quell’esperienza insegna ai credenti che, se rimangono uniti e fedeli al Signore, potranno accedere un giorno “al luogo del riposo del Signore”, cioè alla vita eterna in paradiso. Ora che a noi fedeli viene riproposto l’invito, non sprechiamolo con “l’indurimento dei nostri cuori”, cioè con la testardaggine di opporre resistenza alla divina offerta. “Ciò perché la parola del Signore è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio, penetra in profondità fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, discerne i sentimenti e i pensieri del cuore… (4, 12-13).

Il riposo cui allude l’autore sacro è quel riposo sabbatico che il Signore si concesse dopo le fatiche della creazione. Esso prefigura il riposo donato a ogni anima eletta in paradiso, per vivere l’eternità in compagnia del Signore e di tutti gli eletti santi.

Capitolo quinto

Gesù, proclamato e costituito sacerdote da Dio

Testo: “Ogni sommo sacerdote, infatti, viene scelto tra gli uomini ed è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza. A causa di questa condizione, egli deve offrire sacrifici per i peccati per se stesso, come lo fa per il popolo.

Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse:

Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato.

Come in un altro passo dice:

Tu sei sacerdote per sempre

Alla maniera di Melchisedek.

Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a colui che poteva salvarlo dalla morte e fu esaudito per la sua obbediente sottomissione. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto divenne causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli prestano obbedienza, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek.

Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare, perché siete diventati lenti a capire.

Infatti, voi che da tempo dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno che v’insegni gli elementi fondamentali delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte, non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte è ignaro della dottrina della giustizia, perché è ancor un bambino. Il nutrimento solido, invece, è per gli uomini fatti, quelli che hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male” (5, 1-14).  

Commento: Storicamente alla carica di sommo sacerdote veniva scelto un uomo comune, eletto dagli altri uomini. Egli attendeva agli uffici religiosi, tra i quali offriva doni e sacrifici per l’espiazione dei peccati degli uomini. Essendo anch’egli un uomo in carne e ossa, peccatore come gli altri, era in grado di comprendere tutti i difetti e le debolezze umane, perché tali difetti e manchevolezze le sentiva anche addosso a se stesso.

Pertanto, offrendo sacrifici per l’espiazione dei peccati degli altri, ne offriva anche per l’espiazione delle proprie colpe. Nessuno può attribuirsi questa carica da se stesso, ma gli dev’essere conferita da un altro che riveste una carica superiore alla sua, come accadde ad Aronne che ottenne la carica da Dio.

Anche Cristo non si conferì la carica da se stesso, ma la ricevette da Dio, quando gli dichiarò:

Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato (Sa 2, 7);

e ancora: Tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek (Sa 110, 4).

Egli è il migliore mediatore tra Dio e l’uomo perché, essendo figlio di Dio e, come tale, compartecipe della natura divina, ha assunto la carne umana e, come uomo, ha sperimentato la vita, le debolezze e le sofferenze umane, compresa la morte.

Quindi l’autore rivolge un accorato appello agli interlocutori, affinché essi non si arrestino ai primi passi della formazione cristiana, accontentandosi, come fanno i bambini piccoli, di essere nutriti con latte o altri cibi liquidi e comunque facilmente digeribili. Ma, per raggiungere la maturità religiosa, dovranno approfondire gli elementi fondamentali della fede, con i cibi solidi, consistenti in conoscenza e dottrina, come dirà in seguito, con i sacramenti del battesimo, l’imposizione delle mani per ottenere i doni dello Spirito Santo, la fede nella risurrezione dei morti e gli altri misteri spirituali, evocati nei riti liturgici e nelle e cerimonie ecclesiali. Ora un bambino può legittimamente ignorare i problemi della giustizia; ma un adulto deve conseguire una maturità di giudizio tale, per cui, sia sempre in grado di distinguere nettamente i deversi aspetti del bene e del male, nonché di fare sempre scelte responsabili nella vita.

Capitolo sesto

Rimanere saldi nella fede

Testo: “Perciò, lasciando da parte l’insegnamento iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è più completo, senza gettare di nuovo le fondamenta della conversione delle opere morte e della fede in Dio, della dottrina dei battesimi, dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno.

Questo noi intendiamo fare, se Dio lo permette.

Quelli, infatti, che sono stati una prima volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro.

Tuttavia, se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia.

Infatti, una terra imbevuta dalla pioggia, che cade con frequenza su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve la benedizione di Dio; ma se produce pruni e spine, non ha alcun valore ed è vicina alla maledizione: sarà infine arsa dal fuoco!

Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che la situazione è migliore e favorevole alla salvezza. Dio, infatti, non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e l’amore che avete dimostrato verso il suo nome, con servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi. Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine, e non siate pigri, ma piuttosto imitatori di quelli che, con la fede e la perseveranza, divengono eredi delle promesse.

Quando, infatti, Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso, dicendo: Ti benedirò con ogni benedizione e ti moltiplicherò in modo straordinario. Così, avendo atteso con pazienza, Abramo conseguì la promessa. Gli uomini, infatti, giurano per qualcuno maggiore di loro e per essi il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia. Perciò, Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento perché, grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui, avessimo un grande incoraggiamento nell’afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa, infatti, noi abbiamo, come un’ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale entra fin nell’interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo diventato sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek” (6, 1-20).

Commento: In questo passo, l’autore si rivolge, principalmente, a quelli che hanno ricevuto le prime nozioni sul cristianesimo, hanno ascoltato la parola di Dio, hanno ricevuto il battesimo, i doni dello Spirito e altre illuminazioni nella fede, tuttavia sono diventati appostati, hanno rinnegato la fede, crocifiggendo Gesù una seconda volta. Per questi non c’è più speranza di salvezza per un motivo molto semplice: essi erano già salvi perché, come convertiti al cristianesimo, avevano già ricevuto la fede e i sacramenti, ma poi scientemente li hanno rifiutati e sono ricaduti nelle tenebre del paganesimo. Non si può pensare che essi vadano avanti e indietro giocando con la fede, come se fosse un trastullo adattabile a ogni capriccio umano. Per questa loro colpa, essi sono diventati come un terreno arido che produce solo spine, rovi e sterpaglie. Quelli che, invece, sono rimasti costanti nella fede sono cristiani di grande valore, che portano buoni frutti nella Chiesa e nella società. L’esortazione dell’autore è rivolta proprio a loro, agli uomini sinceri, onesti e fedeli alla parola di Cristo,agli insegnamenti del Vangelo e sono perseveranti nella pratica della carità. Essi saranno gli eredi della promessa divina.

E, a proposito di promessa, nella sua narrazione l’autore introduce la figura di Abramo, il patriarca biblico che aveva ricevuto da Dio la promessa: Riceverai la mia benedizione e la tua discendenza sarà più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del mare; e nonostante lui e la moglie, Sara, fossero entrambi già vecchi e i loro corpi ormai devitalizzati, egli credette per fede alla promessa fatta da Dio, giurando su se stesso, poiché non poteva giurare per un essere superiore a lui, che non esiste. Abramo credette per fede alla promessa divina, che non avrebbe potuto smentire se stessa. Ma se Dio è stato puntuale nell’adempiere alla promessa fatta ad Abramo, a maggior ragione lo sarà quando il supremo mediatore tra l’uomo e Dio è Cristo, investito della carica disommo sacerdote alla maniera di Melchisedek.

Capitolo settimo

Gesù, sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek

Testo: “Infatti, questo Melchisedek, re di Salem, sacerdote di Dio Altissimo andò incontro ad Abramo mentre ritornava dall’aver sconfitto i re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa.

Anzitutto, il suo nome significa re di giustizia; poi è anche re di Salem, cioè re di pace. Egli senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni, né di fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio, rimane sacerdote in eterno.

Considerate, pertanto, quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino. In verità anche quelli dei figli di Levi, che assumono il sacerdozio, hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti di Abramo. Egli, invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario della promessa. Ora, senza dubbio, è l’inferiore che riceve la benedizione dal superiore. Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là, invece, uno di cui si attesta che vive. Anzi, si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo: egli si trovava, infatti, ancora nei lembi del suo antenato, quando gli venne incontro Melchisedek.

Se, dunque, la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico – sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge -, che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchisedek, e non invece alla maniera di Aronne? Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge. Questo si dice di chi è appartenuto a un’altra tribù, della quale nessuno fu mai addetto all’altare. È noto, infatti, che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.

Ciò risulta più evidente se, a somiglianza di Melchisedek, sorge un sacerdote differente, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile.

Gli è resa, infatti, questa testimonianza:

Tu sei sacerdote per sempre,

alla maniera di Melchisedek.

Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e della sua inutilità –

la legge, infatti, non ha portato nulla alla perfezione -, e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a Dio.

Inoltre, ciò non avvenne senza giuramento. Quelli, infatti, diventavano sacerdoti senza giuramento; costui, al contrario, con il giuramento di colui che gli ha detto:

Il Signore ha giurato e non si pentirà:

tu sei sacerdote per sempre.

Per questo, Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.

Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Egli, invece, poiché rimane per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare per sempre quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.

Tale era, infatti, il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici, prima per i propri peccati, poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. La legge, infatti, costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio, reso perfetto per sempre” (7, 1-28).

Commento: In questo brano, l’autore fa un vivo confronto tra l’antico sacerdozio, di cui era depositaria la tribù di Levi, e il nuovo sacerdozio, inaugurato da Cristo e modellato alla maniera di quello di Melchisedek, re di Salem (Gerusalemme). Per legittimare la sua tesi, egli richiama due passi della Bibbia (la Genesi, 14, 17-20 e il Salmo 110, 4), dove sostiene appunto che la missione apostolica di Cristo è superiore a quella dei Leviti dell’antica alleanza, discendente dalla genealogia di Aronne.

In questa sua teoria sul sacerdozio, l’autore introduce un concetto di novità: quello d’individuare la figura di Cristo connessa alla figura di Melchisedek, cui Abramo dona la decima dei suoi beni e lo proclama sacerdote per sempre.  

Proprio lui, Melchisedek, che la Bibbia presenta come un uomo senza padre, senza madre e senza genealogia e perciò non poteva vantare alcun diritto di sangue o di appartenenza a questa o a quell’altra tribù. Gesù discendeva, non dall’etnia di Levi, ma da quella di Davide, appartenente alla tribù di Giuda e inaugurava un nuovo ordine sacerdotale, non più legato alla casta levitica tradizionale.

Il suo sacerdozio è un presbiterato nuovo, generato dalla “potenza di una vita indefettibile”, quella divina, che supera tutti i limiti della genealogia e della tradizione della legge mosaica.

Questo suo sacro e perenne sacerdozio è prefigurato già nella sentenza del Salmo 110,4, quando l’Autore sacro dichiara: “Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek”.

 Questo versetto del Salmo è ora interpretato come attribuito a Cristo e al suo eterno ministero di salvezza. La sua mediazione tra Dio e l’uomo è stata resa perfetta e completa per sempre dal suo sacrificio sulla croce, col sangue versato per la salvezza dell’uomo, debole e peccatore.

Capitolo ottavo

Gesù, sacerdote di un’alleanza nuova

Testo: “Il punto centrale delle cose che stiamo dicendo è questo: Noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, ministro del santuario e della tenda vera, che il Signore, non un uomo, ha costruito.

Ogni sommo sacerdote, infatti, viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anch’egli abbia qualcosa da offrire. Se egli fosse sulla terra non sarebbe neppure un sacerdote, perché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge. Questi, però, prestano un culto che è copia e ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per erigere la tenda: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte. 

Ora, invece, egli ha ottenuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse. Se, infatti, la prima fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di stabilirne un’altra. Dio, infatti, biasimando il suo popolo dice:

Ecco, vengono giorni, dice il Signore,

quando io stipulerò con la casa d’Israele

e con la casa di Giuda

un’alleanza nuova.

Non sarà come l’alleanza che feci con i loro padri,

nel giorno in cui li presi per mano

per farli uscire dalla terra d’Egitto;

perché essi non rimasero fedeli alla mia alleanza,

anch’io non ebbi più cura di loro, dice il Signore.

E questa è l’alleanza che io stipulerò

con la casa d’Israele

dopo quei giorni, dice il Signore:

porrò le mie leggi nella loro mente

e le imprimerò nei loro cuori;

sarò il loro Dio

ed essi saranno il mio popolo.

Né alcuno avrà più da istruire il suo concittadino,

né alcuno il proprio fratello, dicendo:

Conosci il Signore!

Tutti, infatti, mi conosceranno,

dal più piccolo al più grande di loro.

Perché io perdonerò le loro iniquità

e non mi ricorderò più dei loro peccati.

Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire” (8, 1-13).

Commento: Il concetto principale espresso in questo passo è il seguente: Cristo è il sommo sacerdote, glorioso e perfetto della nuova alleanza. L’autore introduce qui un importante parallelismo concettuale: da un lato c’è Cristo che celebra il suo culto in un tempio (la tenda), che non è un edificio materiale edificato da uomo come quello dell’Antico Testamento, ma è un tempio spirituale trascendente, che ha la sua sede in cielo; dall’altro lato ci sono i sacerdoti del vecchio culto biblico, i Leviti della stirpe di Aronne, che compiono i sacrifici in santuari (tende) che sono solo “la copia e l’ombra” del santuario celeste, dove Cristo regna e salva l’uomo peccatore.

Per avvalorare la sua tesi, l’autore fa una lunga citazione dell’Antico Testamento (8, 8-12). In pratica cita una profezia di Geremia (31, 31-34), evocata da Cristo stesso nell’ultima Cena e riportata nel Vangelo di Luca (Lc, 22, 20), quando Gesù fece la suprema consacrazione del pane e del vino dicendo:

Questo calice è la nuova alleanza sancita dal mio sangue versato per voi.

La nuova alleanza non sarà più come quella che una volta Dio aveva stipulato con i loro antichi padri, quando, prendendoli per mano, come si fa con i bambini, li fece uscire dalla terra d’Egitto per riportarli nella terra promessa. Ma essi non furono fedeli nel mantenere la promessa fatta, per cui, il Signore li abbandonò alla loro sorte. Ma la nuova alleanza non sarà come quella, perché il Signore “porrà le sue leggi nella loro menti e le imprimerà nei loro cuori: il Signore sarà il loro Dio ed essi saranno il suo popolo”.

Tutti lo conosceranno con la loro mente e lo ameranno con il loro cuore, perché il Signore perdonerà i loro peccati.

Dunque, il comandamento nuovo “ama il prossimo tuo come te stesso” sarà il concetto più importante della nuova alleanza. Esso sarà come il sale che condisce il Nuovo Testamento: il Vangelo che Gesù ha lasciato in deposito spirituale alla sua Chiesa, come la sua parola vivente nei secoli.

Capitolo nono

Gesù, sacerdote nel santuario del cielo

Testo: “Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita, infatti, una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i piani per l’offerta: essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era un’altra tenda, chiamata Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza, tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che aveva fiorito e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che facevano ombra sul luogo dell’espiazione. Di tutte queste cose ora non è necessario parlare nei particolari.

Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrarvi il culto; nella seconda, invece, solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la via del santuario, finché sussisteva la prima tenda. Essa, infatti, è figura del tempo presente, poiché sotto di essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, l’offerente, trattandosi solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni umane, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate.

Cristo, invece, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri o di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivo?” (9, 1-14).

Commento: In questo passaggio l’autore fa una descrizione particolareggiata della tenda che, in passato, accoglieva l’arca dell’alleanza, il santuario terreno dove, secondo la Legge mosaica, si svolgeva il sacro culto a Jahvè. Il primo reparto era chiamato il Santo, dove vi erano: il candelabro, la tavola e i piani dell’offerta; dietro il secondo velo, c’era un’altra tenda che delimitava un altro spazio riservato, che veniva chiamato il Santo dei Santi; lì c’erano l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza ricoperta d’oro, nella quale si trovavano: un’urna d’oro contenente la manna, il bastone fiorito di Aronne e le tavole dell’alleanza. Sopra l’arca, stavano i cherubini della gloria, che facevano ombra sul luogo dell’espiazione. Questa era una cerimonia che si faceva una volta all’anno, nel giorno del Kippur. In questo spazio entrava il solo sommo sacerdote che aspergeva il sangue sul coperchio dell’arca, per impetrare la purificazione dei peccati, suoi e di quelli del popolo; mentre gli altri sacerdoti celebravano il culto nel primo spazio, detto il Santo.

Tutto questo avveniva in preparazione di un altro tempio, di un altro culto, di un altro maestro; pertanto, di tutte queste cose, avverte l’autore, ora non è necessario parlare.

Tutto questo cerimoniale, però, non poteva assolvere, né l’offerente, né il popolo, perché si trattava di cibi, di bevande e di abluzioni, tutte prescrizioni umane di carattere provvisorio, in attesa di essere riformate quando sarebbe giunta la maturità dei tempi.

Ora però, come sommo sacerdote dei tempi futuri, è venuto Gesù Cristo. Egli, attraverso l’azione di una tenda (la chiesa) ben più grande e più perfetta di quella precedente, perché non costruita dall’uomo e attraverso l’aspersione del sangue, non di capri o di vitelli, ma del suo sangue versato sulla croce per la   salvezza di tutti gli uomini di buona volontà. Si passa quindi dai molteplici sacrifici formali fatti dall’uomo e ripetuti nel tempo, a un unico sacrificio sostanziale, puro e perfetto, compiuto da Cristo una volta per sempre.

Testo: “Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, quelli che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che è stata promessa. Dove, infatti, c’è un testamento, è necessario che sia accertata la morte del testatore, perché un testamento ha valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché il testatore vive.

Per questo neppure la prima alleanza fu inaugurata senza sangue. Infatti, dopo che tutti i comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da Mosè, secondo la legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issopo, asperse il libro stesso e tutto il popolo dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per voi. Alla stessa maniera asperse col sangue anche la tenda e tutti gli arredi del culto. Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue, e senza spargimento di sangue, non esiste perdono.

Era, dunque necessario che i simboli raffiguranti le realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi. Cristo, infatti, non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio, in nostro favore; e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo in poi. Ora invece una sola volta, nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a quelli che lo aspettano per la salvezza” (9, 15-28).

Commento:L’autore continua ribadendo il concetto già espresso in precedenza: Cristo è il mediatore della nuova alleanza tra Dio e l’uomo, sigillata con il versamento del suo sangue sulla croce per l’assoluzione dei peccati. Egli rievoca la prima alleanza, siglata tra Dio e Mosè sul monte Sinai, precisando che anche quella fu cruenta perché accompagnata dal versamento di sangue; ma allora quel “sangue era di vitelli e di capri, mischiato con acqua, con lana scarlatta e issopo, con cui il profeta asperse il libro, la tenda, gli arredi del culto e il popolo” dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per voi.  

Cristo, per compiere il sacrificio di se stesso, “non è entrato in un santuario fatto dalle mani dell’uomo, ma nel cielo stesso, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore”; e non l’ha fatto più volte, nella misura di una volta all’anno, come faceva il sommo sacerdote nella Legge mosaica ma, nella pienezza dei tempi, una sola volta per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso; e come gli uomini muoiono una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, che è morto una sola volta per la remissione dei peccati, ricomparirà  ancora una seconda volta a quelli che da lui si aspettano la salvezza.

Comunque, il filo comune che unisce le due alleanze, la prima e la seconda, è il sangue delle vittime, sparso per la salvezza di molti. Questo, almeno, sembra essere il significato generale di questo brano, non molto semplice da decifrare e da riassumere in termini chiari e sintetici, secondo l’obiettivo di questo lavoro.

Capitolo decimo

Il sacrificio di Gesù, il solo efficace

Testo: “Avendo, infatti, la legge solo un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, essa non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono continuamente di anno in anno, coloro che si accostano a Dio. Altrimenti non sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che i fedeli, purificati una volta per tutte, non avrebbero ormai più alcuna coscienza dei peccati? Invece per mezzo di quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati, poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue dei tori e dei capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:

Tu non hai voluto né sacrifici, né offerta,

un corpo invece mi hai preparato.

Non hai gradito

né olocausti né sacrifici per il peccato.

Allora ho detto: Ecco, io vengo

-Poiché di me sta scritto nel rotolo del libro-

per fare, o Dio, la tua volontà.

Dopo aver detto prima: tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti, né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà: così egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.

È in questa volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.

Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. Egli, al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre, si è assiso alla destra di Dio, aspettando che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con una sola oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ce lo attesta anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto:

Questa è l’alleanza che stipulerò con loro

dopo quei giorni, dice il Signore:

io porrò le mie leggi nei loro cuori

e le imprimerò nella loro mente,

aggiunge:

e non mi ricorderò più dei loro peccati

e delle loro iniquità.

Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più bisogno di offerta per il peccato” (10, 1-18).

Commento: I sacrifici che i sacerdoti leviti facevano ogni anno nella tenda, seguendo il cerimoniale dell’antica legge di Mosè, non potevano condurre gli uomini alla perfezione col perdono definitivo dei peccati perché quella legge era appena “l’ombra” della nuova legge dell’amore e del perdono inaugurata da Cristo. Infatti, quei riti dovevano essere ripetuti ogni anno, perché avevano un debole potere di cancellare il peccato soltanto momentaneamente. In pratica funzionavano come le immunizzazioni dei vaccini a scadenza temporale, i quali, perché siano efficaci, bisognava ripetere con cadenza temporale stabilita. Essi non potevano essere efficaci per rendere gli uomini perfetti con la cancellazione dei peccati, perché l’elemento simbolico sostanziale era costituito dal sangue dei capri e dei tori.

Cristo, invece, ha cancellato definitivamente i peccati degli uomini con lo spargimento di sangue, non di tori o di capri, ma del suo sangue, versato sulla croce, una sola volta per tutte. Per rafforzare il suo ragionamento, l’autore aggancia il suo concetto al contenuto del Salmo 40, nella traduzione greco-ellenistica dei “Settanta”, parafrasando, a modo suo, il contenuto dei versetti da 7 a 9.

Col suo sacrificio, Cristo ha salvato per sempre l’umanità peccatrice; è quindi asceso al cielo, dove siede alla destra di Dio padre, in attesa che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi.

Con l’oblazione di se stesso, fatta una volta per sempre, ha insegnato agli uomini la virtù del perdono e ha loro spalancato la via della santificazione.

Esortazione alla fiducia e alla costanza nella fede

Testo: “Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.

Manteniamo, senza vacillare, la professione della speranza, perché colui che ha promesso è degno di fede.

Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda nell’amore e nelle opere buone, senza disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortandoci a vicenda, tanto più che potete vedere come il giorno si avvicina.

Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma una terribile attesa di giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli.

Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto peggiore castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza, dal quale è stato un giorno santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? Conosciamo, infatti, colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la retribuzione!

E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo. È terribile cadere nelle mani del Dio vivo!

Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo essere stati illuminati, avete dovuto sopportare   una lotta grande e penosa, ora esposti pubblicamente a insulti e tribolazioni, ora facendovi solidali con quelli che venivano trattati in questo modo. Infatti, avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi. Non abbandonate, dunque, la vostra libertà, alla quale è riservata una grande ricompensa.  Avete solo bisogno di costanza, perché, dopo aver fatto la volontà di Dio, possiate raggiungere la promessa.

            Ancora un poco, infatti, un poco appena,

            e colui che deve venire, verrà e non tarderà.

            Il mio giusto vivrà mediante le fede;

            ma se indietreggia,

            la mia anima non si compiace in lui.

Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima” (10, 19-39).

Commento: In questo brano l’autore esorta i cristiani ad entrare nel santuario della fede, inaugurato da Cristo, attraverso il sacrificio compiuto nella sua carne. “Noi, egli dice, abbiamo la fortuna di avere un grande sacerdote (Cristo) sopra la casa di Dio (in cielo); pertanto, cerchiamo di accogliere una fede piena in lui, con l’anima e il corpo purificati dalle incrostazioni del peccato, attraverso il lavaggio nell’acqua pura delle virtù cristiane (fede, speranza e carità) e animati dalla viva speranza nel premio che ci ha promesso colui che è degno di fede. Se, dopo aver acquistato la fede, pecchiamo nuovamente con piena coscienza delle nostre azioni, non conta più alcun sacrificio per l’espiazione dei peccati, ma ci attende un terribile giudizio di condanna senza appallo e la vampa del fuoco infernale che divorerà i ribelli.

Se, come dispone la legge di Mosè, chi ha violato la norma viene condannato a morte sulla base di due o tre testimoni, quanto più severo sarà il castigo inflitto a colui che avrà l’affronto di disprezzare il sacrificio compiuto da Cristo per la nostra salvezza e ritenuto profano il sangue da lui versato per sigillare la nuova alleanza?”.

Egli ricorda ai fedeli, cui si rivolge, le pene, le tribolazioni e le persecuzioni patite inizialmente dai cristiani per causa della fede. Pertanto, essi non abbandonino, a cuor leggero, la libertà conquistata, dalla quale si attendono futuri beni migliori, per ricadere nella schiavitù del peccato. Occorre essere saldi nella fede e perseveranti nella speranza per poter raggiungere un giorno la meta la promessa e conclude dicendo:

“Noi non siamo di quelli che indietreggiano a loro danno dall’impegno preso, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima” (10, 19-39).

Capitolo undicesimo

La fede esemplare degli antenati

Testo: “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per essa gli antichi ricevettero buona testimonianza. Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, così che, da cose non visibili ha preso origine quello che si vede.

Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e, in base ad essa, fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.

Per fede, Enoch fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più perché Dio l’aveva portato via. Prima, infatti, di essere portato via, egli ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio.

Senza la fede è impossibile essergli graditi. Chi, infatti, si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano.

Per fede, Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.

Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere l’eredità, e partì senza sapere dove andava.

Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava, infatti, la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.

Per fede, anche Sara, sebbene fuori età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare”.

Nella fede, tutti questi morirono, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se essi avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di essere chiamato loro Dio: ha preparato per loro una città” (11, 1,16).

Commento: Il concetto fondamentale intorno a cui ruota tutto questo brano è il tema della fede. Infatti, l’autore esordisce con la seguente definizione: “La fede è il fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”.

Per dimostrare la sua affermazione egli evoca una serie di personaggi biblici esemplari, che sono diventati famosi perché hanno creduto per fede. Tra questi ricorda:

Abele, che per fede offriva a Dio sacrifici più graditi di quelli di Caino, per cui era ben visto in cielo. Per questo la sua figura è rimasta imperitura nei secoli e parla ancora agli uomini di ogni tempo.

Enoch, “che aveva avuto la testimonianza di essere gradito a Dio”, per non conoscere la morte, fu portato via da Dio stesso, prima che la sua morte avvenisse. Questo perché egli era uomo di fede. Senza la fede, infatti, è impossibile essere graditi a Dio.

Per fede, Noè, avvertito di un misterioso presagio divino sull’evento che, di lì a poco, sarebbe accaduto (il diluvio universale), costruì un’arca per la salvezza sua e della sua famiglia. Per la fede, egli aveva condannato le condizioni d’ingiustizia del suo tempo e per la stessa fede divenne l’erede della giustizia.

Per fede, Abramo, chiamato da Dio, lasciò la sua patria per andare in un luogo sconosciuto, dove avrebbe ricevuto l’eredità, ma senza sapere dove sarebbe andato e quale sarebbe stata la sua meta.

Per fede, soggiornò, sotto una tenda, nella terra promessa, come in una regione estranea; e così anche il figlio Isacco e il nipote Giacobbe, entrambi coeredi della promessa ch’egli aveva ricevuta. Sempre alimentato dalla speranza nella sua fede, egli si aspettava una città particolare, dalle solide fondamenta, progettata e costruita da Dio stesso.

Per fede, anche Sara, sebbene fosse già nella tarda stagione della vita, perché aveva superato ormai l’età fertile, credette nella possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che gli aveva fatto la promessa.

Per tutti questi motivi, da un solo uomo mortale e, per giunta, segnato dall’età avanzata, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia del mare, che non si possono contare.

Pur con tutti i loro meriti per aver creduto per fede, questi eroi della speranza morirono prima di poter attingere i beni promessi. Tuttavia, pur avendoli soltanto intravisti da lontano, si dichiararono di essere come stranieri e pellegrini sulla terra.

Chi si esprime in questo modo, dichiara apertamente di essere alla continua ricerca di una patria; e se da profughi in terra straniera avessero avuto bisogno di avere una patria identitaria stabile in questo mondo, avrebbero sempre avuto la possibilità di ritornare nelle loro patrie di origine. Se tutto questo non è avvenuto, abbiamo la prova dimostrata che essi, erano sì alla continua ricerca, non di una patria terrena, ma di una vera patria celeste, il luogo in cui ambisce abitare l’anima umana, sempre “assettata del Dio vivente”.

Per tutti questi loro meriti, Dio è ben lieto di essere chiamato loro Dio: infatti, egli ha preparato per loro una città, commisurata alla speranza della loro attesa.

Testo: “Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: in Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome.

Egli pensava, infatti, che Dio è capace di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe, e fu come un simbolo.

Per fede, Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future.

Per fede, Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi all’estremità del bastone.

Per fede, Giuseppe, alla fine della vita parlò dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa.

Per fede, Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché essi videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell’ordine del re.

Per fede, Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, piuttosto che godere, per breve tempo, del peccato. Egli stimava l’obbrobrio di Cristo, ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché aveva lo sguardo fisso sulla ricompensa.

Per fede egli lasciò l’Egitto, senza temere l’ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l’invisibile.

Per fede, egli celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue, perché lo sterminatore dei primi geniti non toccasse quelli degli Israeliti.

Per fede essi attraversarono il Mar Rosso come se fosse terra asciutta; questo tentarono di fare anche gli Egiziani, ma furono inghiottiti.

Per fede, caddero anche le mura di Gerico, dopo che si era fatto il giro intorno ad esse per sette giorni.

Per fede, Raab, la prostituta non perì con gli increduli, avendo accolto con benevolenza, gli esploratori.

Che cosa dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Ifte, di Davide, di Samuele e dei e dei profeti.

Per fede essi conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci ai leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riebbero per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.

Tutti questi, pur avendo ricevuto, per la loro fede, una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi” (11, 17-29). 

Commento: In questo passo l’autore sviluppa maggiormente il tema già trattato anche nel brano precedente. Infatti, egli continua a presentare la galleria dei i personaggi biblici famosi, che furono i veri e propri eroi della fede.

Ampio spazio è dato alla storia di Abramo, presentato anche da S. Paolo (cfr. Rm 4, 1-25) come il padre della fede. Pienamente convinto che Dio non viene mai meno alle sue promesse, nel momento della prova, egli era pronto a sacrificare quell’unico figlio, Isacco, nel quale aveva investito tutte le sue speranze di avere una numerosa eredità futura; e la sua tremenda determinazione discendeva dalla sua ferma convinzione che Dio può fare tutto e ogni cosa, compresa quella di far risuscitare i morti. Nell’interpretazione cristiana, il sacrificio di Isacco viene presentato come una prefigurazione del sacrificio di Cristo.

Per un atto di fede Isacco benedì i suoi figli, Giacobbe ed Esaù, pensando alle cose future.

Per un atto di fede, Giacobbe morente benedì ciascuno dei figli di Giuseppe, suoi nipoti, e si prostrò appoggiandosi all’estremità del suo bastone.

Per fede Giuseppe, alla fine della sua vita, esprime la sua volontà. Tra l’altro egli dispone che la sua salma venga traslata nella terra dei padri, prefigurando con ciò l’esodo degli Ebrei dalla terra d’Egitto.

Grande spazio è dato alla figura di Mosè, che rifiuta gli agi e i titoli ereditari di figlio della figlia del Faraone, per essere solidale con il suo popolo perseguitato. Egli è il capitano dell’esodo, la guida spirituale e materiale degli Ebrei in fuga dall’Egitto per far ritorno nella terra promessa. Mosè affronta la peregrinazione nel deserto, fame e sete, fatiche e sofferenze, lotte, proteste, la ribellione dei suoi, il tutto attenuato e appena sopportato dal ristoro della manna, scesa dal cielo e dell’acqua, fatta sgorgare dalla roccia. Egli affronta, di buon grado, tutte queste avventure e disavventure, intuendo, con largo anticipo, quale sarebbe stato il prezioso compenso che ne sarebbe conseguito con l’avvento di Cristo redentore nella vita e nella storia dell’umanità futura.

Sfilano poi, nella galleria della storia profetica, molti altri personaggi, noti e meno noti, all’opinione pubblica moderna: da Raab, la prostituta, che, secondo la narrazione di Giosuè, accolse benevolmente gli invasori Ebrei a Gerico, a Gedeone, Sansone, Davide, Samuele e tanti altri profeti; nonché tanti altri eroi della fede, poveri mortali, che hanno vissuto una vita di fatiche, di lotte, di stenti e di tormenti, ramingando l’esistenza nelle varie parti del suolo del pianeta; tutti questi, pur essendo stati protagonisti di guerre e di vittorie, di conquiste di regni, campioni di giustizia e promotori di pace sociale; tutti questi, pur avendo operato per motivi di fede nelle cose invisibili ma percepite come visibili, non conseguirono la promessa.  Sono stati tenuti in stand by, in attesa del nostro arrivo, onde attingere la perfezione insieme, noi e loro, mediante la salvezza portata da Cristo redentore a tutti gli uomini di fede e operatori di giustizia.

Capitolo dodicesimo

L’esempio di Gesù e la correzione del Signore

Testo: “Anche noi, dunque, circondati da un così grande numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era stata posta innanzi, si sottopose alla croce disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio.

Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue della vostra lotta contro il peccato e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:

Figlio mio non disprezzare la correzione del Signore

e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;

perché il Signore corregge colui che egli ama

e sferza chiunque riconosce come figlio.

È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli! Del   resto, noi abbiamo avuto come correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo, perciò, molto di più al Padre degli spiriti, per avere la vita? Quelli, infatti, ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio, invece, lo fa per il nostro bene, allo scopo di renderci partecipi della sua santità. Certo, ogni correzione sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che, per suo mezzo, sono stati addestrati.

Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite, raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore, vigilando perché nessuno venga meno alla grazia di Dio. Non spunti, né cresca alcuna radice velenosa in mezzo a voi e così molti ne siano contagiati. Non vi sia nessun fornicatore e nessun profanatore, come Esaù che, in cambio di una sola pietanza, vendette la sua primogenitura. E voi ben sapete che in seguito, quando egli volle ereditare la benedizione, fu respinto, perché non ottenne alcun cambiamento, sebbene lo richiedesse con le lacrime. Voi, infatti, non vi siete accostati a qualcosa di tangibile, né a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole tale che, quanti lo udivano scongiuravano che non si rivolgesse più loro la parola. Non riuscivano infatti a sopportare l’intimazione:

Se anche una bestia tocca il monte, sia lapidata.

Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi vi siete invece accostati al monte Sion e alla città del Dio vivo, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, il mediatore di un’alleanza nuova e al sangue dell’aspersione, dalla voce più eloquente di quello di Abele.

Guardatevi perciò di non rifiutare colui che parla, perché, se quelli non trovarono scampo per aver rifiutato colui che promulgava decreti sulla terra, molto meno lo troveremo noi, se volteremo le spalle a colui che parla dal cielo. La sua voce allora scosse la terra; adesso invece ha fatto questa promessa: Ancora una volta io scuoterò, non solo la terra, ma anche il cielo. Quell’ancora una volta sta ad indicare che le cose che possono essere scosse sono destinate a passare, in quanto cose create, affinché rimangano quelle che non possono essere scosse.

Perciò, poiché noi riceviamo un regno che non può essere scosso, conserviamo questa grazia, mediante la quale rendiamo un culto gradito a Dio, con rispetto e timore; perché il nostro Dio è un fuoco che consuma” (12, 1- 29).

Commento: In questo brano, l’autore invita i cristiani a correre, spediti e senza gli inciampi del peccato, verso la meta, che è la nostra fede. Indubbiamente la via da percorrere è “ardua ed erta” di pericoli e di prove di ogni genere, ma non tanto quanto era stata ardua e mortificante “la via dolorosa” che Gesù percorse con la croce sulle spalle per salire al Calvario, accompagnato dagli insulti e dalle gogne dei carnefici, che a lui si opponevano. “Noi, egli dice, pur incontrando per la via ostacoli e difficoltà, per nostra fortuna, non siamo ancora chiamati al martirio, come il nostro Signore Gesù”. Infatti, le nostre prove possono essere umanamente superate, considerando il fatto che Dio agisce in noi come il buon padre di famiglia o un educatore, che rimprovera, corregge e redarguisce i suoi figli/allievi a fin di bene. Egli, infatti, vuole farli crescere sani, attivi, ben formati e responsabili delle azioni che essi compiranno nell’arco della loro esistenza. Le rinunce e i sacrifici, i doveri e le punizioni, imposti dal genitore/educatore ai figli/allievi, come insegna la stessa Bibbia, sono tutti fattori di formazione umana e di crescita intellettuale e spirituale dei soggetti in età evolutiva.

Lo scrittore sacro sollecita i cristiani a essere costanti nella fede e a correre spediti verso la meta che essa indica, liberandosi da ogni interesse o legame esistenziale, che possa creare zavorra o impedimento nel cammino del loro perfezionamento spirituale. Come esempio negativo di questo cammino cita Esaù che, per un piatto di minestra, vendette la sua primogenitura e che, nonostante il suo successivo pentimento, non poté più recuperare il dono della primogenitura che il Signore gli aveva fatto.

Vengono poi presentate due assemblee, due similitudini parallele ma opposte nei loro fini e nelle loro scenografie, di cui, una si svolge sul monte Sinai, l’altra sul monte Sion e rappresentano due diverse chiamate del popolo fedele. La prima avviene in un’atmosfera di paura terrificante, sul balenio di “fuoco ardente, oscurità, tenebre, tempesta, squilli di trombe e suoni di parole” tali che, anche in Mosè suscitarono timore fino al punto di farlo esclamare: Ho paura e tremo. La trama apocalittica della scenografia è stata attinta da alcuni testi dell’A. T.

L’altra si svolge sul monte Sion, nella Gerusalemme celeste ed è un’assemblea festosa di angeli primogeniti in paradiso. Gesù, “dalla voce più eloquente di quella di Abele” (simbolo dell’innocenza perfetta) è l’artefice e il mediatore di questa nuova alleanza, da lui benedetta con l’aspersione del suo sangue sparso sulla croce. I destinatari di questa missiva sono esortati dall’autore ad imitare quest’assemblea, onde poter correre spediti verso la meta, la destinazione finale dell’esistenza, la santità in paradiso.

Infine, l’autore conclude dicendo: “Per attingere l’eredità del regno che non può essere scosso (dalle transeunti vicende umane) conserviamo la grazia, mediante la quale rendiamo un culto gradito a Dio, con rispetto e timore; perché il nostro Dio è un fuoco che consuma”.

Capitolo tredicesimo

Esortazioni conclusive

Testo: “Perseverate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli, senza saperlo. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, perché anche voi siete in un corpo. Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. Dio, infatti, giudicherà i fornicatori e gli adulteri.

La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete. Ha detto infatti: Non ti lascerò e non ti abbandonerò. Così possiamo dire con fiducia:

Il Signore è il mio aiuto, non temerò.

Che cosa mi potrà fare l’uomo? 

Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!

Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga riscaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a quelli che ne usarono. Noi abbiamo un altare, del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che prestano servizio nella tenda. Infatti, i corpi degli animali, il cui sangue per l’espiazione dei peccati viene portato nel santuario dal sommo sacerdote, vengono bruciati fuori dell’accampamento. Perciò, anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, ha sofferto fuori della porta. Usciamo, dunque, anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura. Per mezzo di lui, dunque, offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che lodano il suo nome.

Non dimenticatevi della beneficienza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.

Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto; obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe di vantaggio per voi.

Pregate per noi, perché crediamo di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto.

Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io possa essere restituito a voi al più presto.

Il Dio della pace, che ha fatto tornare dai morti il pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli.

Amen.

Vi raccomando, fratelli, accogliete questa parola di esortazione: proprio per questo vi ho scritto molto brevemente. Sappiate che il nostro fratello Timoteo, è stato messo in libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui. Salutate tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli dell’Italia. La grazia sia con tutti voi” (13, 1-25).

Commento: L’autore dedica quest’ultimo capitolo all’esortazione dei fratelli ad essere forti e coerenti nella fede e a operare sempre il bene, in tutte le circostanze, verso se stessi e verso gli altri.

“Praticate, egli dice, l’amore fraterno, l’ospitalità, abbiate cura dei carcerati come se foste voi stessi in carcere, soccorrete tutti quelli che soffrono per un motivo o per l’altro. Rispettate il matrimonio come un patto sacro, in modo tale che il talamo nuziale non sia offuscato da macchie o da ombre; non siate avari, ma delle vostre sostanze fate parte anche agli altri, a quelli che ne hanno bisogno perché vivono nell’indigenza; rispettate i capi della religione, che vi hanno annunciato la parola di Dio e vi hanno guidato a conoscere e ad amare la figura di Cristo salvatore, che ai suoi eletti conferisce i doni dello spirito per sostenerci nel cammino verso la santità; imitate il modello di vita proposto da “Gesù Cristo che è sempre lo stesso, ieri, oggi e sempre!”.

L’esperienza della fede sia vissuta in maniera sincera, totale, costante e coerente, senza lasciarsi deviare da false dottrine o mode passeggere. La figura di Cristo è il pilastro centrale della nuova stagione della storia della salvezza, inaugurata da Cristo, nella quale Cristo stesso costituisce l’altare sacrificale, al posto della vecchia arca mosaica. Per compiere il suo doloroso sacrificio cruento Gesù è uscito fuori da Gerusalemme e si è recato nel Calvario, perciò, anche noi usciamo fuori dalla fortificata città del nostro egoismo per correre spediti verso di lui che ci salva dalla precarietà dell’esistenza terrena, dove tutto è provvisorio, per condurci insieme a lui nella Gerusalemme celeste.

L’autore ribadisce l’invito ai fedeli a essere sempre obbedienti e rispettosi dei capi religiosi, responsabili della dottrina e delle cerimonie del culto anche nei loro confronti, compreso lui, che ha scritto la lettera ed è consapevole di aver compiuto un buon servizio quando afferma: “Crediamo di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto. Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché io possa essere restituito a voi al più presto” (13, 18-19).

Quest’ultima affermazione lascia sottintendere che l’autore, in quel momento, fosse tenuto lontano dai suoi interlocutori per costrizione, magari in esilio o in carcere, da cui sperava liberarsi quanto prima, onde poter tornare in mezzo a loro a riabbracciarli. 

Segue un’accorata invocazione al Dio della pace, “che ha risuscitato dai morti suo figlio, Gesù Cristo, il pastore grande delle pecore. Questi, offrendosi spontaneamente come vittima sacrificale, col suo sangue sparso sulla croce, ha suggellato la nuova alleanza tra Dio e l’umanità decaduta a causa del peccato di Adamo.

Questo Dio, grande e onnipotente, artefice della creazione del mondo e di tutte le cose che in esso esistono compreso l’uomo, vi renda perfetti in ogni cosa, affinché possiate fare sempre la sua volontà, compiendo azioni a lui gradite per mezzo di Gesù Cristo, al quale tributiamo onore e gloria nei secoli dei secoli.

Amen!”

In coda alla lettera segue un biglietto in cui l’autore esprime tre concetti:

Esorta i fedeli a porre mente e azione ai consigli e alle cose che egli ha, brevemente, esposto nel documento;

Comunica la notizia che il fratello Timoteo è stato liberato dal carcere e che presto si vedranno tutti insieme;

L’invio dei saluti ai capi religiosi e ai santi destinatari da parte dei fratelli dell’Italia; il che lascia presumere che la lettera sia stata scritta dall’Italia a un’altra comunità religiosa di altra contrada sconosciuta. Meno probabile appare l’ipotesi opposta: cioè che il documento sia stato scritto da località ignota, dove c’era una nutrita schiera d’italiani, i quali salutano i fedeli di un’altra comunità, siano essi italiani stessi o di qualunque altra località sconosciuta.

Infine, il saluto terminale con l’auspicio benevolente: “La grazia sia con tutti voi!” (13, 20-25).

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